Un garbato film francese increspa le acque del Festival

Un garbato film francese increspa le acque del Festival Alla rassegna cinematografica di Cannes un epigono di Buster Keaton e Max Linder Un garbato film francese increspa le acque del Festival «Yoyo» di Pierre Etaix: storia di un eroe del circo che ricorda le antiche «comiche» - Presentato un cortometraggio della Cina comunista (Dal nostro inviato speciale) Cannes, 15 maggio. Di Pierre Etaix il pubblico italiano conosce, senza avergli fatto grande accoglienza, «Le soupirant », l'incisore del Premio Delluc 1963, che da noi si chiamò «Io e le donne ». Yoyo, che la Francia ha oggi presentato al Festival nel più forte bisogno di un elisir corroborante, è il secondo lungometraggio del trentasettenne attore-regista francese, che si è giovato, per lo scenario e i pochi dialoghi, della collaborazione di Jean-Claude Carrière, già da lui sperimentata nei cortometraggi «Rottura» e « Anniversario felice ». Etaix viene dal circo e dal music-hall, e nella tipologia del cinema comico, ove esordi con una porticina in «Pickpocket > di Bresson, si colloca fra Buster Keaton, che arieggia nel volto scavato e grave, e Max Linder di cui riporta qualche movenza. Inevitabilmente, deve qualcosa anche alle direttrici sentimentali di Chaplin, e molto al gusto miniaiuristico di Tati, di cui è stato assistente. Se poi si aggiunge un pizzico di Fellini, il sospetto che di lui, Etaix, non rimanga nulla, è legittimo. E invece no. Sulle tante reminiscenze di cui si nutre, e che non si cura di nascondere, anzi mette in bella vista, con la compiacenza del cineasta colto, egli sparge il dono della freschezza e un autentico estro di intarsiatore. La favolntta di Yoyo, che si richiama nel titolo al gingillo di cui impazzirono gli anni più grulli die ruggenti, è questa. In un sontuoso castello marcisce di noia un solitario nababbo sui cui ozi si riverbera la moda del lontano 1925. Questo preambolo è senza dubbio il tratto più felice del film, perché senza artificio, per vera ìiecessità ambientale, induce il regista a servirsi dello stile del «muto» e neanche troppo ironizzato. Buffo com'è, marionetta in mano alle tante marionette che lo servono, quel nababbo sviluppa una spassosa geometria, e ne viene al film, sinceramente muto e tutto visivo, un ritmo che purtroppo non avrà sempre. Balletti di girls a domicilio, partite di yoyo e di caccia piccole ricreazioni navali e altro ancora, passano come acqua fresca sul tedio del riccone, che soltanto quando < solo e può contemplare il ri tratto d'una sua ex fiamma, non sembra più un automa. Un giorno capita un piccolo circo ch'egli si fa venire in casa, nella corte del suo castello, e nella cavallerizza ravvisa la sua bella e in un pagliaccetto il bambino avuto da lei. Estasi e rimorso. Ma eccoci al 1929, l'anno della grande depressione economica, significata per comiche defenestrazioni di finanzieri rovinati. Impoverito, senza più neanche una seggiola su cui montare per impiccarsi, il nostro ometto abbandona il castello e si annette al circo, vivendo beato in seno alla nomade famiglinola. Intanto scoppia la guerra e il piccolo Yoyo, come fu ribattezzato il fanciullo, ne ritorna uomo. Lontano dai geni tori, raminghi per il mondo, sì rimette all'arte del clown ottenendo un successo straordinario che lo rende ricco quasi come era stato suo pa dre. E al padre pensa questo bravo figliuolo che ne ricom pra il castello diventato tana per i conigli e lo rende anche più splendido di prima. Una grande festa segna il ritorno ai fasti aviti, nella quale Yoyo gira mesto e spaesato. Ma ecco avvicinarsi un piccolo circo, è quello di papà e mammà. Che soddisfazione per Yoyo offrir loro quella reggia restaurata. Ma quelli non c'entrano nemmeno e tirali di lungo: non sarebbero mai così matti da vendere la loro libertà per un miserabi¬ le castello. E Yoyo, buon sangue non mente, tiene loro dietro sulla groppa di un elefante. Lo schema, che ristuzzica la retorica del circo quale simbolo di vivere libero e felice di contro alla schiavitù del benessere, conta poco; conta il modo con cui Etaix, che sostiene le due parti, l'ha riempito come regista e come interprete. I gags non saranno 1500 come è stato detto, ma sono parecchi, e tutti, almeno nell'esecuzione, di prima qualità. Come la prima parte del film è la migliore, cosi anche quelle prime invenzioni sono le più felici: il miliardario nel maniero, lo spogliarello della scarpa con la ghetta, la passeggiata igienica del cagnolino scortato dall'Hispano modello 192//, la crisi del 1929, l'acrobatico viaggio nel carrozzone e qualche altra. Successivamente la stoffa si sfilaccia un po', e le trovatine incominciano a presentarsi in ordine sparso, su un fondo di casualità antologica. Ce ne so no di ottime, e per lo più so- no le infinitesimali, ove più sisente la scuola di Tati, come quella della vecchia signorache genuflettendosi smoccolala candela con l'ala del cappello, e quella, fulminea, dell'eiemosiniero elemosinato sulla porta della chiesa. C'è anche una satira della televisione lodevole soprattutto per la clemenza del tocco. L'originale e il 1111111111111 il trito sentono ugualmente il freno del gusto. Ma un'abbondante mezz'ora si potrebbe senza danno portare via alla seconda parte. Tutto sommato però, senza sposare le esagerazioni di una parte della critica francese che ha gridato alla rivoluzione del film comico (mentre Etaix è, se mai, un fine conservatore), un film spesso spiritoso e intelligente, che accompagnato da un delizioso filo musicale di Jean Paillaud, produce un'impressione di refrigerio: il refrigerio di quel silenzio in principio; il refrigerio (che è un po' di tutti i film comici) cPuna rivendicazione di semplicità, d'una rivalsa dei gesti e degli oggetti, pur capaci di piccoli drammi, sulle idee e sui problemi. Un film come questo può profondamente deludere soltanto chi abbia perso il gusto e il rispetto per le cose minori: ottusità cui conduce più rapidamente il cinema, così amante del grosso. Col protagonista sono buone «spalle», fra le quali la cantautrìce Lu ce Klein e quella Claudine Au ìgier che vedremo al fianco di ìScan Connery — James Bond ] in «Operazione tuono». Prima, la Cina comunista aveva presentato II gallo canta a mezzogiorno, cortometraggio didattica-ricreativo a colorì, con pupazzi animati. Leo Pestelli L'attrice bulgara Kiamil ed il regista Zako Hestua ieri a Cannes (Telefoto Ansa'

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