L'ostinata lotta delle donne turche contro un'antica tradizione di schiavitù

L'ostinata lotta delle donne turche contro un'antica tradizione di schiavitù In un paese dove il 60 per cento degli abitanti non sa leggere L'ostinata lotta delle donne turche contro un'antica tradizione di schiavitù La rivoluzione di Kemal Ataturk tolse il velo, abolì i matrimoni precoci e la poligamia, cancellò il diritto maritale di ripudio, introdusse il divorzio - Oggi la donna gode dell'assoluta parità, può accedere a qualunque carriera - Ma la realtà è ancora ben diversa, i costumi ereditati da secoli di dispotismo sono difficili da trasformare - Le opposizioni restano tenaci, la stessa povertà dell'altipiano anatolico, arido e bruciato dal sole, è d'ostacolo ad una vera modernizzazione (Dal nostro inviato speciale) Istanbul, maggio. Gli attori girovaghi, che vanno di piazza in piazza per tutta la Turchia, quando vogliono intrattenere il loro pubblico con una sce* netta d'effetto sicuro, ripescano dal vecchio repertorio il dialogo tra Vhogia (prete islamico) e un amico. « Ti sei sposato una seconda volta: la prima moglie era un po' logora?», dice l'amico. « Le tengo tutt'e due, sarò amato da entrambe, e ripartirò il mio affetto tra la giovane e l'anziana ». « Come sei saggio, hogia! Ma quale delle due preferisci?». « L'una e l'altra, te l'ho già detto ». « Ma se ti trovassi in pericolo, quale delle due salveresti? Mettiamo il caso: sei in barca nel momento d'un naufragio: bisogna decidere. Salvi l'anziana o la giovane"! ». A questo punto l'hogia si rivolge verso la moglie numero uno. « Tu, se non sbaglio, un pochino sai nuotare, non è vero? ». La storiella risale ai tempi della Turchia sultaniale, quando era possibile per il turco sposar molte mogli, e tenerle tutte sotto chiave. Ed era anche possibile alla donna entrare a scatola chiusa nella casa del marito, salvo il diritto di costui di rimandarla a casa con il libello del ripudio, ove egli giudicasse d'essere stato tratto in inganno sulla qualità della merce, voglio dire sulla sostanza del contratto nuziale. Kemal Ataturk tagliò corto su questi costumi. Agli uomini impose di togliersi dalla testa il fez, il berretto nazionale. « Come si fa? », brontolavano i conservatori. « Sono tanti secoli che lo portiamo. E poi, vedete, non possiamo adottare il feltro di tipo occidentale... ». Piagnucolando, facevan capire che il cappello a lobbia, con la sua tesa, impediva l'esercizio delle devozioni tradizionali; al passar del sultano, il vecchio turco precipitava in ginocchio, e la sua fronte sfiorava la terra. Con il cappello, ciò non sarebbe potuto più avvenire perché la tesa s'interpone tra la fronte e il suolo. Kemal Ataturk adottò un sistema radicale: abolì la dinastia e, insieme, anche il fez. Coloro che incauta mente, caparbiamente, resistettero a quest'ordine, furono perseguiti con tutti ' mezzi. I più recalcitranti tra i portatori di fez vennero arrestati e appesi alle forche, in piazza, a titolo d'esempio. Quanto alle donne, il grande fondatore della repubblica turca usò modi più garbati. « Perché vi nascondete il volto? Non siamo, noi e voi, esseri umani tutti quanti ? ». Erano gli anni fra il venticinque e il trentacinque. Kemal Ataturk arringava le folle femminili, spingendole & dar l'esempio: togliersi dalla faccia il velo — d'origine araba — significava affrettare i tempi del necessario avvicinamento della Turchia alla civiltà dell'Occidente. Le donne, in quegli anni, erano vestite di seta: ampi calzoni, allacciati alla caviglia, corpetti rilucenti, e. in testa, quel velo — il marciai — che le consacrava ad un destino oscuro, anonimo, di mogli-serve, di silenziose schiave. Il marito-padrone aveva, per legge e per consuetudine, tutti i poteri sulla donna. Non ci fu bisogno di ricorrere alle forche per con¬ vincere la donna turca a [cambiare il costume. Quietamente si tolse il velo, ci si trovò benissimo e non lo rimise mai più. Nei giorni scorsi, parlando con molte signore della buona società di Istanbul, cercavo di scoprire quale fosse la loro opinione politica. « Sono kemalista », mi diceva l'una. E l'altra : « Sono kemalista anch'io ». In una tavolata dove avevano preso posto una ventina di signore turche, non riuscii a trovarne una che non fosse kemalista. « Sarà come da noi all'indomani del Risorgimento », pensavo tra me, « quando a parlar male di Garibaldi si rischiavano schiaffi e fischi e l'accusa di oscurantismo». Ma poi, approfondii la mia ricerca: anche le cameriere dell'albergo, anche le commesse dei grandi magazzini, proletarie e im piegate, intellettuali e madri di famiglia, tutte si mostravano kemaliste. La donna forma il viven te piedistallo alla gloria di Kemal Ataturk. Dichiarar' si kemaliste significa qual cosa di più che dirsi buone patriote: significa schierar si per un modo di vita, per un costume moderno, libero dei pregiudizi che il velo e il fez suggerivano e quasi imponevano. Il fatto è che insieme ai costumi dell'ab bigliamento, il grande Kemal ha fatto volar via anche norme e consuetudini avvilenti. La Turchia che egli ha costruito somiglia un po' a un edifìcio messo in piedi alla svelta con eie menti tratti un po' di qui e un po' di là: il Codice ci vile è quello della Svizze- ra, quello penale dell'Italia quello commerciale della Germania. Non tutte queste novità sono state ben digerite, però sono caduti la poligamia e i matrimoni precoci, è stato adottato il cognome di famiglia, introdotto il divorzio, abolito il ripudio, aperto alle donne il diritto al voto, all'eguaglianza, a tutte le carriere di Stato. Oggi, mentre in Italia le prime donne-magistrato s'affacciano timidamente nei nostri tribunali, in Turchia la donna siede in Corte di Cassazione e decide di importanti questioni giuridiche. Con tutto ciò la vita non è rosea: i disoccupati sono più d'un milione, i sottoccupati anche di più, il reddito tra i più bassi del mondo civile. Talune regioni hanno appena un medico per quattro-cinque e anche novemila abitanti. Mancano le infermiere, mancano i maestri di scuola. Il sessanta per cento della popolazione è analfabeta. In meno di trent'anni gli abitanti sono raddoppiati di numero: i turchi crescono al ritmo preoccupante d'un milione all'anno (ora sono 31 milioni), e non c'è governo che riesca a soddisfare le richieste di strade, di acqua, di abitazioni, di scuole, di posti di lavoro che quest'accrescimento im pone. Qualche anno fa, ven ne commissionato ad un economista olandese, il prof, Tinberg, il compito di elaborare un « piano » per ■ il riassetto economico del pae se. Il prof. Tinberg con eluse il suo studio con mol te proposte, e con una pre messa: non si può immaginare un corretto è armo: nico sviluppo dell'economia turca senza che il tasso di natalità sia infrenato. « Per far questo — suggeriva il prof. Tinberg — si debbono abolire le norme che vietano la diffusione delle conoscenze e degli strumenti anticoncettivi e avviare la popolazione, maschi e femmine, ad una più ragionevole condotta sessuale». Con ciò, la Turchia s'è trovata di nuovo davanti agli scogli cht il grande Kemal Ataturk aveva af frontato e superato: il «piano » del prof. Tinberg venne condannato dall'alto dei !minareti. « Perché non ri tornare alle nostre sane tradizioni?», dicono i pii conservatori. Certo, nessuno pensa di rimettere il fez in testa ai turchi, o il velo sul volto alle turche. Ma la tentazione di risalire alle concezioni ataviche dei rapporti tra uomo e donna, della supina e irresponsabile accettazione della disciplina è fortissima. Se queste tendenze prevalessero, l'Occidente perderebbe la sua battaglia in quest'angolo delicato e complesso del mondo mediterraneo. Gigi Ghirotti Ragazzi di Urgup, nella zona centrale dell'altipiano anatólico. Le due bizzarre cupole di roccia che si vedono a sinistra sono i cosiddetti « monoliti », di origine naturale, dovuti all'erosione. Un tempo si ricavavano, all'interno di essi, delle caverne che ancora cent'anni fa venivano usate come abitazione dalle famiglie povere