"Disgelo,, non è libertà nemmeno in Jugoslavia di Alberto Ronchey

"Disgelo,, non è libertà nemmeno in Jugoslavia 1 limiti della critica a Belgrado e Mosca "Disgelo,, non è libertà nemmeno in Jugoslavia (Dal nostro inviato speciale) Belgrado, maggio. c Estate à Mosca 1064 » è i! titolo del breve saggio lcttcrario-politii , apparso sulla rivista Deh, per il quale è stato processato in Jugoslavia Michele .Mihajlov, assistente di slavistica alla facoltà di filosofia dell'Università di Zara. Quattro brani incriminati, su 72 pagine, hanno procurato al giovane filologo una condanna a nove mesi. Lo stesso maresciallo Tito aveva raccomandato di punirlo. L'ambasciatore sovietico era fuori di sé: quello che si scrive in Jugoslavia penetra in Bulgaria, in Polonia, in Ungheria, e il prestigio sovietico aveva già subito troppe forme di degradazione. Mihajlov è stato processato in base all'articolo 175 del Codice penale iugoslavo, che punisce « chiunque getti il discredito su un paese straniero ». Il saggio di Mihajlov conteneva notizie interessanti. A Mosca, in certe serate fra studenti universitari, vanno di moda le canzoni dei forzati nei Lager di Stalin. La volontà di scoprire che cosa accadde davvero all'epoca della « schiavitù di massa » è molto forte nella nuova generazione russa. I memorialisti come Solgenizin, che per primi hanno ricordato la vita dei Lager, non sono che avamposti d'una tendenza trattenuta a stento dal partito. Leonid Leonov, il vecchio letterato russo, ha detto a Mihajlov: «Per ottant'anni la gente continuerà a scrivere sui campi di concentramento sovietici ». Un assistente dell'Università di Mosca gli ha detto che il partito Ita riabilitato solo i suoi uomini: ma che cosa è accaduto delle moltitudini non iscritte al partito? Mihajlov ha trattato l'argomento ponendo sullo stesso piano i Lager di Stalin c quclU di Hitler: anzi ha osservato che i primi Lager nacquero in Russia. Su questo punto è stato imputato per offese a un paese straniero. L'argomento poteva essere discusso in sede storicopolitica-, Tito ne ha fatto un processo penale. « Io ho presentato fatti storici 1, ha detto Mihajlov. Basta rileggere lo stesso rapporto «segreto » di Kruscev al XX Congresso. Ma il presidente del tribunale ha detto: « Io non ti domando se questi sono fatti o no. Io ti domando perché hai paragonato i campi nazisti e sovietici, se non avevi l'idea di schernire l'Unione Sovietica ». Mihajlov ha risposto che il terrore dispotico non può essere migliore o peggiore secondo i casi almeno nel giudizio morale. Certo, i Lager nazisti davano la « morte scientifica » secondo un'ideologia razzista, quelli so. vietici davano una morte « em pirica i) e spesso accidentale, me no disumana, e nascevano dalle tensioni tragiche d'una rivoluzione e d'una guerra civile. Eppure fu sempre genocidio (milioni di uomini, intere minoranze nazionali) e i Lager sovietici furono i primi. Si può discutere sul diverso contesto idcologicostorico? Forse si può. ma non in un processo. Mihajlov poteva osservare clic Hitler, nell'ambito della civiltà germanica, tu un fenomeno di gran lunga più baibain e regressivo che Stalin nell'ambito della storia russa. Adesso Mihajlov andrà in appello. E' a piede libero, anche se isolato e licenziato dall'Università di Zara. Nessuno a Belgrado ama discutere su questo caso. Ho interrogato alcuni scrittori e mi hanno risposto che non avevano seguito bene la vicenda. Eppure la Jugoslavia è il «più liberale» fra i paesi dell'Est. I limiti di chi vuole esprimersi, come tutti sanno, in Jugoslavia sono di gran lunga più duttili che in Russia, in Ungheria, nella stessa Polonia. Ma esistono vaste « zone proibite » : alcune a periodi alterni secondo il variare delle vicende politiche e altre a tempo indeterminato An ni fa si poteva dire tutto sulla Russia, oggi non tutto. La ragion di Stato vieta a periodi va riabili il giudizio sui rapporti con molti paesi del « campo socialista » e sulla politica estera (dai legami con Nasser al «so cialismo musulmano » di Ben Bella). Fra gli argomenti proibiti in via permanente sono il monopolio comunista del potere e la persona del maresciallo Tito. Milovan Gilas è ancora in prigione, pur essendo stato uno dei quattro massimi leaders della rivoluzione jugoslava: prima contestò il sistema monopartitico (condanna a tre anni), poi criticò la condotta ambigua di Tito dinanzi alla repressione ungherese (altri tre anni), quindi pubblicò il saggio « La nuova classe» contro i costumi oligarchici (7 armi) e infine fu condannato per « violazioni del segreto di Stato », avendo dato alle stampe le sue « Conversazioni con Stalin ». Le basi dello Stato sono leni¬ npdtdrspsvdcpncpfdcp—cApsmddRclclt niste. La carica dispotica dei paesi dell'Est non discende solo da Stalin, che la esasperò col terrore, ma discende anzitutto da Lenin. Fu Lenin clic dopo la rivolta dei marinai di Kronstadt, sia pure in un periodo di lotta per la sopravvivenza, emendò lo statuto del partito bolscevico vietando le « frazioni », o tendenze organizzate. Quel modello c stato imitato poi da tutti i partiti comunisti. Ho domandato a uno fra t numerosi teorici minori del socialismo jugoslavo perché neppure questo revisionismo tolleri frazioni organizzate, o in subordinata mozioni di maggioranza c minoranza nelle assemblee di partito. « Vietare qualche cosa — ha risposto — è sempre facile, basta un tratto di penna Abolire un divieto comporta un processo lungo e rischioso. Questa è la mia opinione, ma non mi citi per nome ». In Jugoslavia tuttavia i candidati alle elezioni pubbliche sono due o tre in ogni collegio; in Russia c'è un solo candidato per collegio, così che risulta assurda la stessa pratica elettorale. Gli jugoslavi possono mormorare contro il sistema, discutere sull'economia, persino scioperare (nel '64 s'è avuto più d'un centinaio di scioperi). Letterati e artisti possono essere sperimentali, informali o naturalisti a loro arbitrio. Al Club degli scrittori di Belgrado si discute fino all'eccesso; e poiché alcuni mesi fa le dispute si concludevano a colpi di sedia, il Club fu chiuso per qualche tempo. Le case edi trici pubblicano libri proibiti in Russia o in Ungheria. Ma come ha osservato Gheorghy Lukacs, il massimo fra filosofi marxisti, che vive amareggiato a Budapest, bisogna distinguere fra « disgelo » e libertà: «Sartre dice cfc Ut sola cosa che ancora lo separa dai covainisti è la mancata pubblicazione in tutti i paesi dell'Est di Kafka, Joyce e Proust. A me questo interessa fino a un certo puntoli disgelo non mi basta più ». Ora il « massimo di liberalismo » che il mondo comunista ha raggiunto in Jugoslavia è in realtà un « massimo di disgelo » In « Alice nel paese dei miracoli progressisti », commedia musicale e satirica in tre atti di Novakovic, molto popolare a Belgrado, si vede una riunione di consiglio operaio: un uomo parla senza fine sulla così detta « autogestione » di fabbrica tutti gli altri dormono. Poi la scena cambia, ma i personaggi sono gli stessi: è il comitato sindacale. Infine la scena cambia ancora, ma i personaggi sono sempre gli stessi: è il comitato di partito. Una simile satira precisamente un « massimo di disgelo ». Tuttavia la gente ride, e Gilas rimane in carcere. Qual è l'indennizzo per la con fisca delle libertà politiche di tipo occidentale? Non la prosperità materiale, a Belgrado come a Mosca e a Budapest. La gestione autoritaria del potere indennizza la classe operaia, non di rado, concedendo un certo diritto all'inefficienza, con quei ritmi lenti delle catene di montaggio che generano bassi salari c bassi consumi. E poi la socializzazione dovrebbe diffondere il vago senso della « comproprietà collettiva », capace di eliminare l'alienazione dell'uomo come strumento di produzione Ma già alcuni filosofi marxisti, come Pcdrag Vranicki dell'Università di Zagabria, hanno osservato che « Calienazione non è un problema esclusivo della società borghese», se non altro a causa della 1 mo notona meccanicità del ciclo produttivo », dovunque simile, e inoltre perche anche variando il sistema « ogni livello gerarchico tende ad acquistare la massima autonomia rispetto ai livelli inferiori, il che conferma che la tendenza a nuovi modi di alienazione è un processo permanente ». In Russia nessuno potrebbe esprimersi così: ma il governo titoista è capriccioso, imprevedibile come la tolleranza d'un despota ammodernato che vuol essere indulgente sull'inessenziale e tuttavia c suscettibile a giorni alterni. Alberto Ronchey