II rifiuto della figura e del paesaggio è una triste distruzione della pittura

II rifiuto della figura e del paesaggio è una triste distruzione della pittura PANORAMA DI CINQUANTANNI IN UNA MOSTRA TORINESE II rifiuto della figura e del paesaggio è una triste distruzione della pittura In mezzo secolo di esperimenti non mancano le opere d'alto valore - Ma un complicato cerebralismo ha sostituito l'emozione estetica - Il bilancio finora appare negativo: un immenso cumulo di macerie, da cui è dubbio che nasca l'«arte nuova» La galleria «La Bussola» ha compiuto senza dubbio uno sforzo considerevole per offrire ai torinesi un panorama pittorico internazionale degli ultimi cinquantanni: che infatti si va dal Ritratto di Cravan, « collage » 1912 del futurista Severini (il quadro è menzionato anche nel secondo volume degli « Archivi del Futurismo » di M. Drudi Gambillo e di T. Fiori) alla Femme s'essuyant les pieds, di Picasso, riprodotto nel libro / Picasso di Picasso (Milano, Garzanti, 1961) di D. Douglas Duncan. Queste due citazioni vogliono indicare l'impegno, la cautela della scelta eseguita dalla galleria, allineando una trentina di pezzi che farebbero gola a qualunque museo italiano d'arte contemporanea: un raro Dali cubista (1921), una versione dei Bagni miste- n'osi (1933) di De Chirico, un coloritissimo Léger dedicato al danzatore Serge Lifar, un Chagall con la solita Couple trasvolante sopra 1 tetti, e poi Utrillo, Klee, Mirò, Wols, De Staél. Gischia, Matta, DubulTet, Mathieu, Lam, Appel, Bissier, e i nostri Caria, Morandi, Casorati, Soldati, Sironi, Mafai, Marini, Campigli, Rosai, Pirandello, Guttuso, De Pisis. Nomi famosi, sui quali s'appoggia e svolge la vicenda estetica press'a poco dalle picassiane Demoiselles d'Avignon (1907) ad oggi; artisti disputati dai collezionisti a suon di milioni; proposte figurative per una nuova visione dell'arte, del mondo, della vita, che hanno fatto e fanno scorrere fiumi d'inchiostro, quali mai fluirono per i periodi più alti delle culture del « visibile » nei secoli passati: la bibliografia di Picasso batte quella di Giotto, di Raffaello, di Tiziano, di Michelangelo, di Rembrandt; i prezzi di questi maestri moderni gareggiano, talvolta superandoli, con quelli del passato più illustre. E tuttavia non vediamo la folla far coda in via Po per entrare nelle sale] della «Bussola», dove la gen-1 te si pigerebbe se vi fossero esposti dieci Mantegna, venti Corot, trenta Renoir. Ciò avverrà — per questi artisti che adesso chiamiamo moderni o contemporanei — fra cinquant'anni o fra cinque secoli? L'avvenire è nel grembo di Giove. Quel che si può per ora constatare, riducendo all'osso la questione cioè cercando l'osso fra miliardi di parole, più o meno comprensibili e chiarificatrici, è una verità così semplice da sembrare una banalità. A un certo momento, sull'inizio del nostro secolo, alcuni pittori e scultori che fino allora avevano dipinto e scolpito, non sempre con successo, sulla linea dei loro antecessori, si persuasero che ciò che facevano non li accontentava più, non li interessava più, non gli pareva cònsono con la civiltà in cui vivevano; e cercarono « altro ». La ^prospettiva? lo «spazio» come realtà ottica, patrimonio comune di tutti gli uomini e non come categoria intellettuale? lo sforzo di aderire verisimilmente alle proporzioni umane quali veicoli per esprimere sentimenti umani? o di interpretare le cose naturali per fornire immagini del mistero della natura? Illusioni che avevano ingannato generazioni intere di artisti, dei quali ben diversi erano gli j autentici valori, che bisognava urgentemente imparare a « leggere ». E gettarono all'aria tutta la vecchia impalcatura. Non era più necessario un colloquio: aperto, immediato, risolutivo. Era necessario che lo spettatore discernesse e intendesse le intenzioni recondite, il criptogramma del poeta. Che importava definire? Bastava vagamente suggerir". E ciascuno accogliesse il suggerimento a modo suo. Relatività di concetti, relatività di sensazioni. Un segno qualsiasi, ma che costituisse un < rapporto » con un altro seguo, un pezzetto di carta appiccicato su una zona di colore, un garbuglio di tinte, un volto con gli occhi che escono dalle orecchie e le orecchie che escono dai naso, un galleggiare di forme ameboidi in tonalità opalescenti, poteva dire infinitamente di più d'una Piedi di Mi¬ chelangelo o dei Disastri della guerra di Goya. In principio il pubblico recalcitrò, perché non capiva più niente. Ma vennero dei sapienti a dirgli che aveva torto, che in quelle immagini c'era tutto, e forse assai di più che nella Scuola d'Atene, che doveva semplicemente sforzarsi di «comprenderle»; e vennero i libri per spiegare «come si guarda un quadro ». A poco a poco — per la forza fatale delle abitudini — la gente accettò: prima dubitosa e con scarso amore, poi gradatamente convinta che se quella era la minestra, bisognava pur mangiarla. E fu il trionfo — artisti e critici insieme plaudenti — dell'arte del nostro secolo. La pittura era stata, con modulazioni infinite, l'immagine del mondo e della vita. Con uno spiegamento straordinario d'ingegno l'hanno distrutta, e di conseguenza hanno fracassato la realtà del mondo e della vita. Da cinquant'anni ci si sforza di sostituire con nuove costruzioni queste immani TOsaeaTVostofaLirrnteico edSi-ciò. Quel che si vede alla « Bussola », tolti sette od otto quadri, ne è documento esplicito. Forse qualcuno, esaminandolo, avvertirà una sconfinata tristezza, mar. ber.

Luoghi citati: Atene, Milano