Saigon in un'atmosfera ambigua attende l'offensiva dei guerriglieri di Francesco Rosso

Saigon in un'atmosfera ambigua attende l'offensiva dei guerriglieri Nel Vietnam è oomlnolata la stagione delle piogge Saigon in un'atmosfera ambigua attende l'offensiva dei guerriglieri Il maltempo, che blocca aerei e carri armati, favorisce le iniziative del Vietcong - Ma nessuno si attende un attacco frontale contro le imprendibili posizioni dei « marines » - I sudvietnamiti difficilmente offriranno un solido appoggio alla lotta degli americani: i potenti protettori hanno trovato pochi amici leali tra i politici e i militari Dopo quattro mesi di faticoso servizio nell'Indocina in guerra, il nostro inviato Igor Man è rientrato in Italia. La crisi del Vietnam sarà seguita ora da Francesco Rosso, che in questo primo articolo fa il punto della aggrovigliata e inquietante situazione. (Dal nostro inviato speciale) Saigon, 8 maggio. Attendiamo l'offensiva dei guerriglieri comunisti. Dove, quando, come, non si sa, ma ne parlano tutti con un gioco di congetture concertate in modo da lasciar comprendere che la ventilata offensiva comunista potrebbe essere la risoluzione della guerra nel Vietnam, perché non vi è dubbi che i guerriglieri sarebbero sconfitti ed Hanoi dovrebbe infine piegarsi alle trattative di pace. E' molto difficile valutare quanto c'è di concreto in tante supposizioni, specialmente a Saigon, capitale di uno Stato di sedici milioni di abitanti, in gran parte, se non tutto, controllato, insidiato e minacciato dai guerriglieri. Strana città, Saigon, dove si fa tanta cavillosa politica, si prendono decisioni, si emanano ordini, che di rado vengono eseguiti. Sono davvero decisi i vietnamiti del Sud a combattere contro i comunisti interni e del Nord? Tranne una sparuta minoranza di anticomunisti viscerali, gli altri lo sono in un certo senso ed entro certi limiti; fanno la loro politica combattendo tiepidamente per non sprecare le proprie truppe e averle disponibili per ennesimi non improbabili colpi di Stato, oppure per manovrarle al momento delle trattative per la pace, quando ci saranno. A Saigon si fanno tante cose, anche delle feste. Giorni addietro ci hanno invitati ad un ricevimento offerto dal primo ministro, una sontuosa cocktail party per festeggiare le dimissioni del Consiglio militare, che esercitava dispoticamente il potere, una giùnta di generali che inopinatamente hanno deciso di andarsene lasciando politici civili a governare. Noi dobbiamo occuparci soltanto della guerra contro i comunisti, hanno dichiarato i generali durante il consiglio di gabinetto, contrappuntato dai sibili dei cacciareattori e dal sinistro stridìo dei carri armati, che stranamente proprio in quei momenti compivano evoluzioni intorno al palazzo. Al termine, mentre i generali tornavano ai loro reggimenti, il presidente del Consiglio ha offerto un ricevimento al Corpo diplomatico e alla stampa per festeggiare l'uscita del governo dalla tutela militare. Ad un ufficiale presente alla festa abbiamo domandato che cosa significasse la inattesa decisione dei generali di sgomberare l'arena politica. Vogliono scaricare sul governo la responsabilità della presenza americana, ha risposto. Gli sbarchi di marines e di paracadutisti hanno ferito il loro orgoglio; inoltre vogliono distinguersi da questa politica di intervento americano, pensando che domani dovendo trattare col Nord Vietnam il loro gesto sia tenuto in considerazione. E' una interpretazione plausibile? Forse, ma non mi sentirei di avallarla, perché potrebbe essere vero il contrario. A Saigon tutto è possibile, persino che il go verno, invitando gli americani a difenderlo dai comunisti, avesse già riserve mentali e propositi contorti, che sfuggono ad una razionale classificazione. Città affascinante, Saigon è un acquitrino della psicologia orientale Sono trascorsi sei mesi dall'ultima volta che l'ho visitata e non vi dico i mutamenti. E' già interamente attrezzata per gli ospiti nuovi, marines e paras, con centinaia di bar equivoci aperti d'urgenza, uno appiccicato all'altro, con eserciti di signorine calate dai suburbi a rallegrare le ore vuote dei Johnny e dei Tom my: una babelica retrovia in cui la voluttà ha spesso il sapore della morte per l'eventuale bomba del terrorista o la rasoiata alla gola vibrata da una guerrigliera camuffata da ragazza di piacere. Affascinante, Saigon, anche se il monsone imperversa scrollando cateratte di acqua dal cielo perennemente ottenebrato, se il caldo feroce slomba anche i più duri e le zanzare piombano a nuvole, appiccicandosi alle vene come sanguisughe. I Tommy e i Johnny ci sguazzano in questa città, che sembra galleggiare sull'acqua, quella dei fiumi e canali e quella che crolla in pioggia. Qui almeno si ha la sensazione di vivere. Ecco la parola valida per Saigon, sensazione, ma nulla di più concreto. Si direb be che Saigon esista in fun zione dei suoi ospiti ame ricani, ma, oltre l'apparenza e la cinica cortesia profes sionale delle ragazze che popolano i bar, sembra che gli ospiti siano isolati, non riescano a stabilire rapporti autentici con la gente Alcuni si domandano perché, stando così le cose, gli americani sono venuti ad impantanarsi in queste risaie, nella giungla che soffoca mezzo Vietnam con la sua lussuria vegetale e in quella ancor più inestricabile della mentalità orientale. Altri dicono: quale diritto hanno gli americani di interferire nelle faccende del Vietnam? Domanda stolida: hanno diritto di starci perché sono stati chiamati dal governo vietnamita. Certo, se spendono tanti milioni di dollari e mandano i loro soldati a combattere in queste paludi, non lo fanno soltanto per i begli occhi dei governanti vietna miti, difendono anche i prò pri interessi, che coincidono con quelli del mondo libero. Se abbandonassero il Vietnam, perderebbero l'asse su cui ruota la loro politica asiatica, che mira a contenere l'espansione della Cina di Mao Tse-tung. Se sia o no una politica giusta, non sta a me giù dicare, riferisco soltanto situazioni concrete. Perdendo il Vietnam, gli Stati Uni ti lascerebbero scoperta la Thailandia, dove già si af faccia la guerriglia comunista, e le Filippine e la Malesia, anch'esse insidiate dalla irrequieta Indonesia di Sukarno. Senza contare Cambogia, Laos e Birma nia, già così permeate dalla infiltrazione cinese, sareb bero facile preda di Pechino. Nel Vietnam, quindi, non si combatte soltanto contro i guerriglieri e il Nord Vietnam comunista che li sostiene; è in gioco 10 schieramento difensivo delle posizioni americane in Asia, che potrebbe essere compromesso seriamente se i guerriglieri comunisti prendessero il sopravvento. Dal loro punto di vista, quindi, gli americani hanno più di un motivo per tener duro nel Vietnam del Sud e ci stanno anche se i loro alleati, dopo averli invitati, 11 snobbano alquanto preoccupati dalle accuse che gli lanciano i loro avversari del Nord comunista di essere complici del neocolonialismo, neoimperialismo e di altro. Accusa sgradevole, che i vietnamiti meridionali respingono come possono, prendendosela col generale De Gaulle che gli ha spappolato il fronte interno con la sua proposta di neutralizzare il Sud Vietnam e che ha trovato tanta gente disposta ad accoglierla purché la guerra finisca. Così organizzano manifestazioni anti-francesi e due giorni or sono hanno demolito i ruderi del monumento ai Caduti francesi nella guerra di Indocina, già deturpato nel luglio scorso. Ma parliamo ancora degli americani ospiti di un paese che, dopo averli invitati, li guarda con sospetto. Sono convinto che non si attendevano la gratitu dine dei vietnamiti, ma una cortesia meno formale e una più intima collaborazione certo era nei loro programmi. « Non ci sarà una se conda Diem Bien Fu », dicono tutti e probabilmente sarà così. E' impensabile, infatti, che pochi guerriglieri, mettiamo anche cinquantamila, riescano a buttar fuori gli americani come hanno fatto nel 1955 coi francesi. Gli americani resteranno, non vi è dubbio, ma in quali condizioni? Chiusi nelle loro grandi basi di Da Nang, Pleiku, Bienhoa, Cap-Saint-Jacques, fortilizi inespugnabili come gli antichi castelli medioevali. I generali vietnamiti possono fare tutti i giochi che vogliono, sbizzarrirsi in colpi di Stato a ripetizione, fare l'occhiolino ai comunisti mentre li combattono; ma hanno dinanzi a sé la concretezza di questa presenza e non possono ignorarla. Però è una presenza scomoda per tutti, americani compresi. « Anche se dovessero rimanere chiusi nei loro fortilizi — dicono gli esperti — sarebbe già un vantaggio per loro: da quelle basi potrebbero tenere a bada, senza difficoltà, la Ci na comunista >•>. Sono verità incontrovertibili, ma non è gradevole vivere fra gente che non sai se sia amica onemica, Il giorno in cui si combattesse davvero, si avrebbe almeno una realtà, si uscirebbe dal mondo di fantasmi che si affollano di qua e di là dal fronte. Ma passano i giorni, quotidianamente i bollettini parlano di dieci, quindici, venti guerriglieri uccisi, ma mai in combattimento diretto; uno stillicidio che ottunde persino la pietà, tanta è l'abitudine alla morte; la pioggia aumenta di violenza e i guerriglieri continuano a rimanere affondati nella giungla, inafferrabili come sempre. E sarebbe assurdo pensare che abbandonino la tattica consueta di colpire e di ritirarsi. Se accettassero il combattimento in campo aperto, quasi certamente sarebbero annientati e finora hanno dimostrato di non essere tan to ingenui. Francesco Rosso

Persone citate: De Gaulle, Diem, Francesco Rosso, Igor Man, Mao, Sukarno