Giustizia tradita di Nicola Adelfi

Giustizia tradita Giustizia tradita L'annullamento del processo Bebawi dopo tre mesi e mezzo di udienze dicono sia un caso unico nelle cronache giudiziarie del nostro Paese, li' stato deciso perché quasi la meta dei giudici popolari non aveva i requisiti prescritti: uno aveva superato i limiti di età, gli altri due mancavano del titolo di studio richiesto. Ora si stanno cercando le responsabilità di coloro che inclusero persone non qualificate negli elenchi dei giurati romani. 1 uttavia, sarà difficile venirne a capo. Le nostre leggi infatti prevedono l'intervento di diversi organi amministrativi e giudiziari nella compilazione di quegli elenchi: vi prendono parte una commissione comunale presieduta dal sindaco, poi una commissione mandamentale presieduta dal pretore, infine il presidente e il pubblico ministero del Tribunale. Tutto questo oculato rigore da parte della legge si spiega con l'importanza e l'elevatezza delle funzioni dei giurati, Tuttavia, come si è detto, quasi la metà dei giurati nel processo Bebawi era formata da persone che non avevano i requisiti per diventare giudici popolari. E' un caso certamente allarmante. Il pensiero va subito al denaro che quel processo è costato finora allo Stato, agli imputati, alla parte civile e ai loro congiunti: si tenga presente che molti testimoni, diversi parenti della vittima e degli imputati erano arrivati a Roma da paesi lontani e hanno dovuto affrontare le spese di un lungo soggiorno in una città straniera. Come anche, chi potrà mai calcolare quale carico di emozioni, persino di ansie estreme, abbia accumulato il lento fiume del processo nei cuori e nei cervelli delle persone che hanno una parte diretta o indiretta in questa vicenda giudiziaria? Ieri però ogni cosa è stata cancellata con una breve ordinanza della Corte. Le cinquanta udienze è come se non fossero avvenute mai. Bisogna cominciare il processo da capo, quando che sia. In autunno? Forse, si vedrà Intanto, gli imputati sono tornati nelle loro celle, i testimoni ciascuno nel suo paese; i parenti dei Bebawi e di Farouk Courbagi — ucciso, si badi bene, quasi due anni e mezzo fa — devono tenersi pronti ad altri viaggi, ad altri lunghi e costosi soggiorni all'estero Guai a chi capita nelle mani della giustizia, si diceva nei l'Italia prerisorgimentale. E per il rispetto che portiamo al no stro Paese, come ci piacerebbe se nessun italiano avesse mai più a dover ripetere quell'antico lamento. Oggi tuttavia è solo una speranza per domani. Invero, sono cronache di ogni giorno — documentate anche attraverso inchieste televisive — i casi di cittadini denunciati all'autorità giudiziaria e rinviati a giudizio che aspettano tre, quattro, anche più anni, prima di essere giudicati. A volte sono assolti. Ma intanto la loro casa è andata in rovina. Private del principale sostegno, le donne devono vendere la loro roba per assistere il con giunto carcerato con avvocati e carta bollata; e capita anche che l'imputato riconosciuto poi inno cente riacquisti bensì la libertà, ma non più il suo onore, il suo lavoro, il suo stesso focolare Sono drammi sconvolgenti. Uno il di essere innocente, chiede e implora di essere giudicato al più presto, e invece passano lenti i mesi, gli anni, la sua famiglia va in malora, nel carcere gli arrivano notizie di un figlio o di una figlia che si è data a una vira sciagurata. Ma anche se prescindiamo da questi casi, che peraltro non sono rari, ciascuno di noi ha esperienze personali che lo inducono al pessimismo. Cause penali e civili che si trascinano per ann e anni fra innumerevoli rinvii appelli, controappelli, ricorsi in Cassazione. Non si finisce mai Per questo, vediamo sempre più spesso i cittadini rinunciare ai loro più giusti, più certi diritti piuttosto che impelagarsi nelle aule della giustizia. Naturalmente, c'è chi ne approfitta. Ovviamente ne approfitta chi è dalla parte del torto Egli sa che con un buon avvocato finirà col pagare il suo debito chi lo sa quando. Per esempio, sono di ogni giorno le lec tere di protesta mandateci da automobilisti che aspettano da an ni di essere rimborsati per un danno subito. A volte, e vi parlo di una esperienza personale, dopo quasi quattro anni la causa per un infortunio automobilistico non ar riva neppure alla prima udien za. Siccome pochi sono disposti ad aspettare indefinitamente; succede che i più — chi per il bisogno e chi per non sentire più parlare di cause e di spese all'avvocato — finiscono con l'accontentarsi di una piccola parte di quel che gli spetterebbe, La morale è ovvia: le lungag- gini della giustizia si risolvono in un premio per i disonesti. All'inizio del secolo scorso Pietro Colletta, tenendo sotto gli occhi il regime e la società borbonica, scriveva nella sua egregia « Storia » che <t più della civiltà, la giustizia è il bisogno dei popoli ». E' un bisogno primordiale. Né può concepirsi un popolo libero e bene ordinato senza un sistema giudiziario che ristabilisca prontamente l'equilibrio penale o civile tutte le volte che viene turbato. Viceversa, una sentenza che ripari un torto molto tempo dopo da quando avvenne perde troppo della sua efficacia, fallisce i suoi scopi essenziali. Torniamo al processo Bebawi. Un osservatore svizzero, Jacques Fcrrier della Tribune de Genève, ha così commentato l'annullamento del processo : « La colpa di tutto è nella eccessiva complessità delle leggi italiane e nell'esagerato formalismo ». Su per giù lo stesso concetto ebbe a esprimere un paio di settimane fa il presidente Saragat parlando davanti al Consiglio Superiore della Magistratura. Tra l'altro egli invitò i magistrati ad acquistare « una visione globale e noti settoriale dei problemi della giustizia » : ossia, la Magistratura non deve stare chiusa in se stessa e farsi un settore appartato della nazione, ma deve esistere per la collettività e nella collettività. Nicola Adelfi

Persone citate: Bebawi, Farouk Courbagi, Jacques Fcrrier, Pietro Colletta, Saragat

Luoghi citati: Italia, Roma