Il terrore sparso dai nazisti sull'Europa ricade, spietato, sulla capitale del Reich di A. Galante Garrone

Il terrore sparso dai nazisti sull'Europa ricade, spietato, sulla capitale del Reich VENT'ANNI FA, TRA JLE FIAMME, IL CROLLO DELL'IMPERO HITLERIANO Il terrore sparso dai nazisti sull'Europa ricade, spietato, sulla capitale del Reich I sopravvissuti non potranno mai dimenticare quelle poche settimane di paurosa tragedia - Gli edifici ridotti a cumuli di macerie dai bombardamenti alleati (la « Luftwaffe » non c'era più), l'afflusso di centinaia di migliaia di profughi che accorrevano da oriente sotto l'incalzare dei russi, interrotte le condutture dell'acqua e dell'elettricità, mancano il carbone, la benzina, i viveri - Per la prima volta i tedeschi combattono sul «loro» territorio, fra le «loro» case trasformate in roghi - E dal bunker, gli ultimi ordini dell'allucinato Fuhrer che ancora sognava sangue e vendetta (Dal nostro inviato speciale) Berlino, 7 maggio. Vent'anni fa la Germania si arrendeva senza condizioni. Alla mezzanotte dell'8 magnio, tacquero i cannoni su tutti i campi di battaglia; le ultime scariche dei mitra si dispersero nel silenzio della prima notte di pace in Europa. Al di là delle commemo¬ razioni, dei discorsi ufficiali, delle sfilate, degli slogans propagandistici, che a partire dal 1" maggio si succedono nelle due Berlino, non è difficile percepire qualcosa che, nonostante tutto, sembra unire i berlinesi di qua come di là dal muro: ed è il ricordo vivo della tragedia che allora si abbatté sulla loro città. Nei giornali e nei settimanali, da qualche giorno l'accento batte sull'agonia di Berlino; ed è appena uscito un libro sugli ultimi cento giorni della guerra, che proprio in Berlino hanno avuto il loro tragico epilogo, il loro € punto focale* (come suona il titolo d'un altro libro uscito a Berlino Est). E' un sentimento genuino, die nessuna tensione polemica riesce a contraffare; quasi il bruciore di una ferita non ancora del tutto rimarginata. Da alcuni giorni la primavera è scoppiata a Berlino, improvvisa e splendente, dopo un aprile freddo e senza sole. Dappertutto, è un rigoglioso fiorire di gialle forsizie. Ma i berlinesi ricordano (ed Erich Kuby lo ha detto sull'ultimo numero dello Spiegel, dando inizio a una serie di articoli sui russi a Berlino nel 1!).'/!)) che anche allora, nei giardini sconvolti tra le case in rovina, era una incredibile profusione di fiori. I sopravvissuti non potranno mai dimenticare quelle poche, settimane, di paurosa tregenda, che Berlino visse dall'alba del 16 aprile ai primi di maggio. Da mesi e mesi, anzi da anni, i bombardamenti sempre più pesanti — non più validamente contrastati dalla Luftwaffe e dalle batterio contraeree — avevano sconvolto la città, e accumulato montagne di macerie. Ma Berlino viveva ancora, o almeno serbava, una parvenza di vita. In qualche sala cinematografica, si proiettavano film di guerra, o di evasione sentimentale. I Bcrliner Philharmoniker eseguivano ancora musiche di Beethoven, Brahms, Strauss. Questa estrema, ingannevole illusione di vita in qualche modo normale fu spazzata, via, alla metà d'aprile, dall'attacco russo che investì la capitale. Da qualche tempo, ormai, il precipitoso affluire di centinaia di migliaia di profughi dall'oriente, rifugiatisi a Berlino con gli ultimi treni, aveva dato la sensazione della catastrofe. I ■nuovi abitanti, laceri e privi di mezzi di sussistenza, si stipavano nelle baracche o nei sotterranei. Erano saltate le condutture dell'acqua e dell'energia elettrica; mancavano il carbone e la benzina. Ma l'avvicinarsi delle armate sovietiche, accompagnato dal rombo delle artiglierie, diede la sensazione fisica del tracollo definitivo Se si pensa che fin dai tempi di Napoleone i tedeschi non avevano mai dovuto lottare per la difesa del suolo patrio, ci si può fare una idea dello schianto, anche psicologico, che significò per i berlinesi l'attacco portato, con furore di giusta vendetta e con soverchiante potenza di mezzi, fin nel cuore della orgogliosa capitale. I folli ordini del giorno di Goebbels tentavano di galvanizzare lo spirito di resistenza agitando lo spettro di un duplice terrore: il terrore del massacro e delle deportazioni in massa ria parìe dei russi {« O vincere o Siberia », era scritto sui muri della città), e il terrore delle feroci repressioni contro gli sbandati, o gli ufficiali tentati di cedere le armi. Ma tranne uno. minoranza di fanatici, i berlinesi si rendevano conto che era una lotta senza speranza; mentre Hitler, rintanato nel bunker sotto la Cancelleria e ormai segregato dal mondo, continuava a. illudersi. Inimmaginabile fu lo strazio degli iillimi quindici, venti giorni di Berlino. Tutto il terrore che i nazisti avevano per anni sparso sull'Europa ripiombava ora, concentrato, sulla capitale del Reich. La gente si affollava nei sotterranei, nei rifugi, mescolata ai feriti e ai morenti; o si assiepava in lunghe code davanti ai negozi ancora aperti, appena scomponendosi quando una bomba d'aereo o un obice scoppiava nei pressi seminando la. morte o dando l'assalto ai depositi devastati dal bombardamento. Sui cavalli uccisi da bombe, si avventavano fameliche le donne, facendoli a brani. Ordini spietati di Hitler, come l'allagamento di una galleria della metropolitana, da cui si temeva d sopraggiungere dei russi ma dove in realtà si erano rifugiati a. migliaia i berlinesi, davano all'ecatombe dimensioni da diluvio universale. Pareva la fine del mondo: ed era, in effetti, la fine di un mondo tracotante e superbo. Tutta la città era un rogo immenso. I palazzi precipitavntin uno sull'altro, le larghe vie della città (le più larghe d'Europa) erano ostruite di macerie, un'immensa nube di fumo si levava a oscurare il cielo; di notte, la Sprea rifletteva il bagliore degli incendi. I morti si ammonticchiavano per le strade, dopo una lotta disperata e insensata, in cui erano stati gettati allo sbaraglio i ragazzi, perfino i fanciulli, e uomini attempati o malati. Una fanatica ebbrezza spingeva le giovinette slesiane ad affrontare i carri armati con il panzerfaust. Un' infinità di fotografie, che in questi giorni sono state pubblicate nei libri di cui ho detto, testimoniano tutto l'orrore delle distruzioni e delle stragi, l'assurdità, militare e umana, di questa resistenza a oltranza. Uno dopo l'altro, i eiuar- : fieri della città ormai accer- I chiata cadevano in mano ai russi; sulle macerie fuman- ■ ti si inalberavano le handie- -• 1 e e i o a e r , e o i e i o i . i a e r i l o l i n a a e i e a i e à a o l a e re rosse. Dal lago Te gel e dall'aeroporto di Tempe.lhof le elivisioni russe erano ormai penetrate nel cuore stesso della città: al Tiergarten, alla Potsdamer Platz, alla VJilhelmstrasse. L'hotel Adlon -• 1 e, lì accosto, la Cancelleria erano ormai sotto il tiro degli obici, e, già quasi dei fucili mitragliatori. Eppure si combatteva ancora, per la caparbia voluttà dì annientamento totale die era in Hitler e in altri pochi forsennati. Qua e là, penzolavano i corpi di poveracci che avevano tentato di salvarsi, e che le SS, inferocite, avevano impiccato. Per questo Berlino fu semidistrutta. E le tracce di queste inumani distruzioni colpiscono il visitatore straniero, anche là dove una meravigliosa, vitalità ha fatto risorgere splendidi quartieri, e foreste poco meno che ventennali, e restaurato o interamente rifatto gloriosi palazzi. Le grandi spianate nel centro stesso della, metropoli, e il curioso aspetto che assumono, tra le molte case nuove eli un razionale rigore architettonico, alcune annerite case, o brandelli di case, dell'età guglielmina. danno l'idea della vastità dello scempio, dell'inabissarsi di un mondo. Affiora più volte, dalle pubblicazioni recenti e anche da taluni discorsi ttditi in questi giorni a Berlino, la comprensibile tendenza a dissociare la responsabilità di Hitler e di altri pochi dei suoi accoliti, da quella di tanti altri tedeschi che, come i berlinesi del 19^5, soffersero pene indicibili. Non è uno tendenza storicamente accettabile. Molte furono le connivenze di funzionari e alti ufficiali che troppo tardi apersero gli occhi, e magari cercarono di fare qualcosa, e grave fu l'indifferenza, l'apatia, la passività cieca e ottusa delle masse, quando non anche l'inebriato compiacimento delle vittorie che acquetava ogni scrupolo di coscienza. Tutto questo deve essere ricordato e meditato, dai tedeschi e dai non tedesch i. Ma occorre anche guardarsi da sbrigative condanne che coinvolgano tutto un popolo. A citi persistesse in questo atteggiamento, consiglierei di visitare, nel carcere berlinese di Plotzensee, il monumento a ricordo delle vìttime della dittatura hitleriana: mèta, in questi giorni, di frequenti pellegrinaggi eli giovani tedeschi. E' un luogo commovente che, nella sua quasi lugubre semplicità, ricorda il nostro Martinetto eli Torino. Un muro chiaro, un'urna con la terra raccolta rlai vari campi di concentramento, le nude stanze dove furono giudicati, e impiccati a ganci di macellaio, o decapitati, non solo alcuni partecipi della congiura del 20 luglio 19!,!h ma molti resistenti tedeschi e non tedeschi, dal 1933 al 19IfS: fra gli altri, Julius Fucik, e la ventiduenne Eva Maria Buch, che il S agosto 191)3, poche ore prima di essere impiccata, lasciò scritto: «Ora in me tutto è pace e gioia ». A. Galante Garrone