Il ventennale del suicidio di Hitler è trascorso nell'indifferenza dei berlinesi

Il ventennale del suicidio di Hitler è trascorso nell'indifferenza dei berlinesi Sulla tragedia del «bunker» non è nata una leggenda Il ventennale del suicidio di Hitler è trascorso nell'indifferenza dei berlinesi Ieri non c'erano né tedeschi né turisti attorno alle poche macerie tra la sterpaglia, unici resti dell'orgogliosa Cancelleria del «Reich millenario» ■ Il suicidio, che il Fuehrer volle circondarle di una solennità nibelungica, appare un fatto remotissimo, la conclusione di un passato atroce ma quasi incredibile - Gli ultimi giorni del dittatore tolgono dignità alla morte volontaria - Chiuso nella reggia sotterranea, circondato da cortigiani ambiziosi e fanatici, aveva perduto ogni contatto con la realtà - Ma continuava a prevedere apocalittiche stragi e l'ultimo suo gesto fu un ordine di fucilazione (Dal nostro inviato speciale) Berlino, 30 aprile. Ormai tutti sanno che il SO aprile 191,5 Hitler si tolse la vita nel bunker .sottostante alla orgogliosa Cancelleria del Reich; e che, poco dopo, il corpo suo e tinello di Eva Braun, avvelenatasi al suo fianco, vennero dati' alle fiamme con 1S0 litri di benzina, e sepolti in giardino, nel cratere aperto da una bomba. Dapprima, un alone di mistero avvolse la fine di Hitler; e ci fu perfino chi la mise in dubbio. Per qualche tempo i sovietici diedero corso alla voce che gli alleati lo avessero nascosto, ancor vivo, nelle loro zone di occupazione. Più tardi, accumularono reticenze, ed euasim silenzi. Forse pensavano che fosse meglio nascondere i particolari del'a sua morte, per impedire che dal culmine apocalittico di quella tragedia sorgesse qualche funerea leggenda, la reviviscenza di un nibelungico mito. Uno storico inglese, H. R. Trevor-Roger, cercò fin dal 191,5 di ricostruire i fatti, per conto degl'Intelligence Service. Il suo libro. Gli ultimi giorni di Hitler, uscito per la prima volta nel 191,1 e dì recente ristampato e ampliato, ha fatto piena luce, con onestà di intenti e buon metodo oxfordiano : tutte le storie scritte in questi anni vi attingono a piene mani, magari senza citarlo. Era ed ù convinzione del Trevor-Roper che il solo modo per impedire il risorgere di un mito hitleriano sia proprio quello di fare appello alla più scrupolosa verità storica. Sono passati vent'anni, e la leggenda non è nata. Mi sono recato sul posto (che è compreso nella Berlino orientale) proprio questa mattina, e ho potuto rendermene conto con i miei occhi. Non c'era nessuno, neanche un turista. Un poliziotto e un anziano operaio, che passavano di lì, e poco prima un autista di piazza, mi parlavano della fine di Hitler con disinvolta indifferenza. Macerie, cose lontane, finite, irrevocabilmente finite. Ed è forse per questo, che dell'anniversario della morte di Hitler oggi non si fatta parola. Tacciono i giornali delle due Berlino. E a Berlino Est, già tutta pavesata di bandiere e di scritte per il 1" maggio, la data di vent'anni fa che più ricorre è quella dell'S maggio, la data della capitolazione delle forze tedesche e della * liberazione dal fascismo ». Anche un libro uscito in questi giorni a Berlino Est, un'impressionante raccolta di fotografie sulla tragedia della città a cura di Heinz Bergschicker, dà poco risalto alla fine di Hitler. Eppure, anche per chi non j è affatto disposto ad accettare la visione teatrale, me- \ lodrammatica che Hitler, nel suo torbido romanticismo, si era fatta della propria fine i imminente, la contemplazione I d'i queste poche, misere ro- j Dine della nuova Cancelleria . ( il fastoso palazzo del Reich j « millenario », dai colonnati di porfido, dalle vastissime 1 sale marmoree, smantellato e \ distrutto dagli obici russi), di questa erba che tutto soffoca e cancella, anche le vasche del giardino spianato e irriconoscibile, non è priva di una grave suggestione. Quel che colpisce, è proprio il totale abbandono, lo squallore, l'oblio che sembra essersi insinuato nelle cose prima ancora che negli uomini. Di fronte a questo miserando epilogo, tutto ciò che, per volontà del Fuehrer stesso, fu inscenato nel momento della sua morte — il < funerale dei Vichinghi», il crepuscolo degli dei nel crollo del Walhalla — ha un sentore salso, di cattivo gusto: così come mal si addicevano i solenni accordi della sinfonia di Bruckner che accompagnarono l'annunzio, dato alla radio, della scomparsa del dittatore. La fine dell'uomo fu spoglia, in realtà, di ogni eroismo, di ogni umana grandezza. Alla vigilia della morte, egli era ormai l'ombra di se stesso. Un giovane ufficiale che allora lo vide, così ce lo descrive: « La sua testa tentennava lievemente. Il braccio sinistro gli pendeva inerte e la mano gli tremava visibilmente. Vi era, nei suoi occhi, una luce incerta... Il suo volto, le orbite infossate davano l'impres- sione di un uomo colpito da un grave esaurimento. I suoi movimenti erano quelli di un vecchio >. Un povero straccio che avrebbe meritato pietà, se da quell'essere semidistrutto non avesse continuato a sprigionarsi una demoniaca potenza di male. Ma ancor più che lo sfacelo fisico, era evidente il totale distacco dalla realtà. La vita stessa nel bunker sprofondato nel sottosuolo, dove il giorno non si distingueva dalla notte, ed era sempre più difficile comunicare col mondo esterno e rendersi conto del precipita- re delle cose, aveva accen tuato questo assoluto estro- «iar.si da ogni visione razio- naie ed obiettiva. Di fronte alle sue sfuriate, come alle folli esaltazioni (tipica, fra tutte, l'illusione che il generale Wenck sarebbe giunto co?i la sua — inesistente — armata a liberare Berlino dai russi) 0 ai repentini accasciamenti, quasi nessuno osava dirgli la verità. E' rimasto famoso questo episodio. In aprile Goebbels leggeva una sera, ad alta voce, a Hitler una pagina del suo libro preferito, la Storia di Federico il Grande di Carlyle. Il grande re si sentiva agli estremi, e pensava che, se non fosse sopraggiunto qualche avvenimento straordinario, si sarebbe tra poco suicidato. Ma poco dopo, la zarina moriva, e il miracolo si compiva. A queste parole, gli occhi del Fuehrer si erano inumiditi di lacrime. Egli aveva allora febbrilmente consultato, con Goebbels, alcuni oroscopi, che. sembravano annunciare, dopo un susseguirsi di disastri, una strepitosa vittoria nella seconda metà di aprile. Per tale motivo, la notizia della morte di Roosevelt fu accolta come un segno certo del destino, della miracolosa « svolta»; e nel bunker, quella sera, tutti bevvero champagne. Ma l'euforia, o la fedeltà, erano in pochissimi: in Goebbels e in Eva Braun più che in altri. In quella corte sotterranea dominata da un mentecatto, quasi tutti si preoccupavano della propria situazione (come Bormann, il « Mefistofele di Hitler»), pensavano alla successione, o a mettersi in salvo. L'ossequio servile era, nei più, simulato. Proprio in una delle ore più tragiche, quando Hitler aveva deciso di porre fine ai suoi giorni, a pochi passi da lui si ballò e si schiamazzò fino al mattino. Figure torbide o meschine o esaltate circondavano il capo. E anche i suoi ultimi giorni, per quanto foschi di tragedia, furono miseri e abietti. Lo dominava una nichilistica volontà di trascinare tutta la Germania con sé nell'abisso. Lo aveva detto alcuni anni prima a Rauschning: «Noi possiamo essere distrutti, ma se lo siamo, inabisseremo tutto un mondo con noi, un mondo in fiamme ». Ed ora, mentre il cielo di Berlino era tutto un incendio, Hitler eseguiva a puntino il suo feroce proposito di distruzione. E sempre Io accompagnò un'acre voluttà dì vendetta e di sangue. L'ultimo gesto fu la fucilazione di Fegelein, un vile, ma un uomo di buon senso, che aveva cercato di trarsi fuori dall'inferno del bunker, Più ignobile di tutto fu il suo testamento politico, con cui cercò di allontanare da sé la responsabilità della guerra, « esclusivamente provocata da quegli uomini di Stato internazionali di origine ebraica o che lavora¬ vano per gii interessi ebrai ci » e additò nel giudaismo l'<avvelenatore di tutti i pollali», contro cui bisognava lottare spietatamente. Così, mentre in Europa sì spalancavano gli ultimi campi di concentramento, egli incitava ancora all'odio, allo sterminio, al genocidio. Ecco perché lo squallore e la solitudine di queste rovine della Cancelleria, e di queste sterpaglie del suo giardino, sembrano acquistare il significato simbolico di una giusta nemesi storica. A. Galante Garrone Quest'immagine è l'ultima autentica di Hitler. Fu scattata di nascosto dal fotografo ufficiale del regime, Hoff mann, poco prima del suicidio. Il Fiihrer, col suo aiutante di campo, osserva le macerie della Cancelleria ] distrutta dai cannoni sovietici. Alle sue spalle, l'ingresso del rifugio sotterraneo in cui si avvelenò con Eva Braun

Luoghi citati: Berlino, Berlino Est, Europa, Germania