Monk ha concluso in bellezza il festival del jazz a Sanremo di Maria Rossi

Monk ha concluso in bellezza il festival del jazz a Sanremo Applaudilo con il suo quartetto in una spettacolare esibizione Monk ha concluso in bellezza il festival del jazz a Sanremo Altri due pianisti hanno brillato in questa manifestazione, l'anziano Earl Hines e il francese Martial Solai - Tutte le « stelle » italiane nella Concert jazz band a chiusura della serata Nostro servizio particolare Sanremo, lunedì mattina. Thelonius Monk, dai molti copricapi che fanno spettacolo, dalle dita imbrillantate (come non vedere gli anelli su quelle mani che passeggiano sulla tastiera alla ricerca delle idee?), dalle brevi camminate durante gli assoli dei compagni, Monk dicevamo, è una personalità del jazz moderno. Non perché incroci le mani in quel modo o adoperi il gomito per strisciare sul pianoforte, ma per il suo gusto armonico, il suo estro istintivo, tutto luci ed ombre, la sua ritmica irregolare ma potente. Lo definiscono « enigmatico, immaginifico, spericolato». Certo vive nella sua musica e si apparta dal resto del cosmo. Impossibile sapere prima che cosa suona — I'm getting sentimental over you, Epistrophy, Bemsha swing, Blue Monk — ma non importa che cosa, importa come. Suona « a modo suo » quella che lui definisce « la sua musica»: una musica che ha qualche cosa di originale da dire. Monk è arrivato da Londra, si è fermato a dormire a Nizza ed è giunto a Sanremo proprio per il concerto con il quale si è chiuso Ieri sera il Festival del jazz. Ha riscosso un successo caldo dovuto in parte anche al sax del suo quartetto e al modo davvero originale in cui le voci del sassofono e del pianoforte si combinano fondendosi e alternandosi, perden¬ dosi di vista e ritrovandosi con un gioco sapiente per nulla lasciato al caso. Il vecchio pianista Earl Hines, il «padre» dei pianisti di scuola tradizionale, il fondatore del « trumpet style » sulla tastiera, ex-collaboratore di Armstrong in alcuni celebri dischi degli « Hot Five » è venuto ' in Italia nel '49 con la formazione degli «All Stars» e in Europa nel '57 con Jack Teagarden; è tornato ora a sessant'anni e resta sempre un grandissimo pianista ricco dì impeto e di immaginazione, eppure equilibrato e di una lucida ritmica. Ha ottenuto applausi in Caution Blues e nel .Rifratto di Fats Walter. Hines è la tradizione, Monk è la modernità. Con Martial Solai, il « re del piano europeo », sono I tre grandi pianisti jazz di questo 10" festival, tre nomi, tre epoche, tre stili. Ed uno dei meriti della manifestazione, per circostanze congiunturali limitata a due sole serate a sette complessi, è quello di averci fatto ascoltare grandi nomi del jazz di varie epoche, compreso il clarinettista Bill Smith col suo « American jazz ensemble », un solista che è vissuto molto in Italia a Roma presso l'Accademia americana dove è tornato dopo un lungo periodo statunitense di grandi successi, che qui è stato accompagnato da un pianista americano che vive anche lui Roma, John Eaton, e da ritmi italiani: Bruno Crovetto, basso, e Carmine Pepe, batte ria, che si sono presentati per la prima volta al giudizio de gli appassionati. Se i «Double-Six» col loro canto strumentale hanno portato sabato sera una nota di grande originalità, mimando noti brani di Count Basie, Ray Charles, Quincy Jones e Dizzy Gillespie, e sostituendo le loro voci agli strumenti dei più noti solisti, questo genere in cui eccellono non potrà durare sempre proprio perché è uno spettacolo, un « numero » non privo di humour ma che in fondo copia ma non crea. Già se ne rende conto la « leader », l'intelligentissima Mimi Perrin, che ha dato qui un saggio di una diversa interpretazione «a cappella» di Blue ifoon In un arrangiamento fatto apposta per il suo gruppo. Sempre dal concerto di sabato, va rilevata la bravura del chitarrista negro Wes Montgomery; l'attesa del fans non è andata delusa. La sua chitarra è straordinariamente ricca e personalissima ed ec celiente sia nei brani classici come impressions, The girl next door, Bere's that rainy day, sia nelle sue composizioni quali Four on six e Ttoisted blues. Ha chiuso il Festival in bellezza la « Concert jazz band » con tutte le « stelle » italiane che hanno brillato di luce propria, ciascuna negli « assolo » dei vari brani: Derek's blues, Nightcap, Room 608 (con Basso-Volonté), Savoy, Un sogno di cristallo (Gii Cuppini), The great He (Valdambrini-Cuppini), The great generation (batteria e orchestra). Maria Rossi

Luoghi citati: Europa, Italia, Londra, Nizza, Roma, Sanremo