La «guerra invisibile» tra generali e politici pericolosa quanto il nemico per il Vietnam di Igor Man

La «guerra invisibile» tra generali e politici pericolosa quanto il nemico per il Vietnam NON SERVIREBBE LA VITTORIA MILITARE SENZA VN GOVERNO SICURO La «guerra invisibile» tra generali e politici pericolosa quanto il nemico per il Vietnam Le forze armate appaiono divise in due gruppi: i comandanti di destra, che vogliono la lotta ad oltranza e si oppongono al primo ministro Quat, troppo « moderato »; ed i filo-buddisti, inclini al neutralismo, disposti ad accettare un accordo con il Vietcong - Alle loro spalle premono i « giovani colonnelli », impazienti del potere, favorevoli alle tesi di De Gaulle - Un colpo di stato è possibile fra qualche settimana come fra qualche mese - Gli americani temono di trovare un giorno a Saigon un governo filocomunista, che renda vano qualsiasi successo militare ottenuto contro i guerriglieri (Dal nostro inviato speciale) Saigon, aprile. Si combattono due guerre. Una visibile, sul terreno propriamente militare; l'altra, invisibile, all' nterno delle «correnti» in cui è diviso il Vietnam — sarebbe forse più esatto dire: quel composito mondo politico che ha la sua sfera di influenza in Saigon. Delle due guerre, ta più difficile è senz'altro /a seconda: in campo aperto gli americani potrebbero, tutto sommato, < tenere » all'infinito, laddove sul Ironie interno è possibile, per dirla spiccia, die un bel giorno, in conseguenza di importanti mutamenti al vertice delle forze armate, l'attuale governo cada e, al suo posto, ne venga uno di «unione nazionale », deciso a tlisimpegnarsi dagli Stati Uniti. Fino a, questo momento le forze armate del Sud Vietnam sono dichiaratamente anticomuniste; gli ufficiali che le dirigono garantiscono, con la loro presenza, la continuazione della guerra contro il Vietcong. In teoria i generali sono occupati a combatiere, non hanno tempo per far politica: in realtà il « colpo » è soltanto rinviato. Potrebbe aver luogo nelle prossime settimane, fra due mesi, entro l'anno, non si sa con esattezza, ma non potrà non esserci. Al presente le forze armate sono divise in due gruppi contrapposti, l'uno filobuddista, l'altro antibuddista. Converrà qui ripetere come, dopo il Vietcong, il buddismo sia l'entità politica più efficace e organizzata del Vietnam. Un terzo gruppo di militari è in via di formazione: ne fanno parte giovani colonnelli dalle confuse aspirazioni, e in definitiva, « disponibili ». Poniamo il caso che le operazioni militari si trascinino ancora per due anni e che alla fine del 1967 il Vietcong sia battuto sul terreno, essendo frattanto cessata la « infiltrazione » dal Nord. Ebbene, in questo lasso di tempo neutralisti e filocomunisti saranno riusciti a impadronirsi delle leve di comando, sicché proprio nel momento di raccogliere i frutti della vittoria armata, americani e anticomunisti si troverebbero con un pugno di mosche nelle mani. Questo, almeno, prevedono diversi osservatori politici, questo paventano gli stessi americani. E' possibile por rimedio a tutto ciò? Basterebbe, si dice, mantenere in sella l'attuale primo ministro Quat, riuscendo nel contempo a tenere a bada i rissosi generali. Sembra l'uovo di Colombo, ma per tenerlo in piedi occorrerebbe schiacciare l'immensa forza buddista. Gli americani, rispettosi come sono delle opinioni altrui, non si sognerebbero mai di «schiacciare» un movimento politico; si sono limitati ■ ad esercitare pressioni sui buddisti sudvietnamìti facendo intervenire i leaders reiigiosi della Thailandia, con il risultato che «ufficialmente» la Chiesa buddista ha sconfessato ogni iniziativa neutralista, il focoso fondatore e animatore del « movimento di azione per la salvaguardia della pace e della felicità del popolo », il venerabile Quang Lien, ha fatto atto di obbedienza ed è j partito «per un viaggio di studi e di cure mediche all'estero ». In concreto i buddisti hanno soltanto cambiato tattica | 1 \ . invece di combattere aperta- 1mente, combattono dietro le quinte, se possibile, con maggiore asprezza. Abbiamo dato notizia del siluramento del generale Dong, comandante la piazzaforte di Saigon, che si è opposto fino a ieri a tutti i tentativi del generale Thi di dominare la giunta militare. Gli avevano offerto una promozione ma Dong l'ha rifiutata, sicché, due settimane fa, lo hanno messo sotto inchiesta accusandolo di aver gestito due case clandestine dove non ci si limitava a giocare. Dong si difende affermando che si trattava di due false bische, allestite col consenso del controspionaggio. Può darsi che le cose stiano veramente così, tuttavia Dong è ormai bruciato, e la gente commenta: «Guai a chi si mette contro i buddisti! ». Allorché i buddisti dimostravano contro il governo di Tran Van Houng (che infine riui scirono a rovesciare giovan- lli llllllllllllllllllllll Illllllllllllllllllliii j dosi di Khan), fu proprio il generale Dong a. dar ordine alle truppe di lanciare, i gas lacrimogeni contro i monaci dalla tunica arancione e di picchiare sodo, all'occorrenza. Eliminandolo, il generale Thi ha compiuto un passo avanti sulla via del potere. Egli è il capo della frazione dei «giovani turchi», che conta sull'appoggio del generale Khang, comandante dei marines vietnamiti faci interim capo della flotta dopo l'allontanamento dell'ammiraglio intrallazzatore Cangi, e del colonnello Lieu, il capo della polizia nazionale sotto la cui direzione avvengono cose invero strane: «fonti non autorizzate» comunicano alla, stampa le esatte generalità di coloro che denunciano comunisti e terroristi... Il generale Thi è un buddista dichiarato, allievo spirituale del venerabile Tri Quang, un ex seminarista cattolico rifugiatosi in Cina al tempo dei francesi e ritornato in patria dopo quindici anni. Fra i « giovani turchi » dovrebbe esser compreso anche il vice maresciallo dell'Aria Ky, comandante dell'Aviazioìie, una sorta di Rodolfo Valentino in sedicesimo, spettacolarmente coraggioso, il quale, peraltro, negli ultimi tempi, si sarebbe messo in urto con Thi. In ogni caso non pare ch'egli possa dar soverchio fastidio né ai buddisti né agli americani. Non è un politico, ma un passionale ra gozzo cresciuto troppo in fretta. Se Thi riuscisse impadronirsi del potere a breve scadenza, il capo dello Stato, il vecchio Phan Khac Suu, potrebbe cadere mentre in un primo momento Quat rimarrebbe a capo di un governo epurato degli elementi anticomunisti e antineutralisti. In un secondo tempo la presidenza dei ministri verrebbe assunta dal suo rivale, oggi vice primo ministro, Tran Van Huyen, un avvocato molto vicino al ■venerabile Quang. Con Tran Van Huyen al governo, verrebbero stabiliti approcci con il Fronte di liberazione nazionale, dando infine vita a un Gabinetto di larga concentrazione o di unione nazionale, nel quale i vietcong entrerebbero sotto mentite spoglieContro i «giovani turchi» è schierata la frazione dei generali di destra, guidati dal cattolico gen. Thieu, ministro delle forze armate e vice premier. Con (iti sono alti ufficiali decisi a sbaraz1 zarsi « con le buone o con le cattive» dei venerabili \ Quang e Chau ch'essi repu. tano « comunisti », se non addirittura «agenti del ne- 1 miao». Non tutti questi uf- ì ficiali sono cattolici, non pochi professano il buddismo ma considerano il neutralismo il cavallo di Troia della Cina; vorrebbero liberarsi di Quat perché «troppo modei rato » e auspicano un rimpasto per ripulire il gover^ no dei numerosi filobuddisti e neutralisti. Se Quat fosse disposto a caldeggiare un simile rimpasto, potrebbe contare sul loro appoggio. Povero dottor Quat, così energico e attivo, pieno di buona volontà, caparbio persino: dà fastidio a tutti, appunto perche è un moderato. Giorni fa. ha passato un brutto quarto d'ora: l'aereo sul quale volava verso Dalat c entrato in panne, tutti e due i motori in avaria; gli han dato il paracadute, gli han detto come ci si lancia nel vuoto, sempreché ne valesse la pena dal momento che si stava sorvolando la « zona D », piena zeppa di comunisti. Con somma abilità il pilota riusciva a recuperare i comandi e l'aereo compiva un atterraggio di fortuna in campo amico. Si è subito parlato di sabotaggio, un'inchiesta è in corso. Adesso qualcuno ha messo in giro la voce che, «dopo questo avvertimento del destino, il primo ministro potrebbe pensare di ritirarsi... ». Non è un quadro incoraggiante, quello che abbiamo tratteggiato: ne risulta una situazione non proprio congeniale a un paese in guerra. Gli americani sperano di mantenere il precario equilibrio di forze che bilancia i due gruppi avversari in seno alla giunta militare; sennonché occorre fare i conti anche con gli « impazienti colonnelli » cui si è accennato, i quali sarebbero disponibili per una terza soluzione, detta «francese», e che comparterebbe. il ritorno in patria del « Grande Minh ». L'uomo che rovesciò Diem e che perdette la suprema magistratura, dillo Stato ad opera di Khan, pensa che dalla crisi il Vietnam può uscire con la « formula De Gaulle »; insomma, è neutralista ma con giudizio. Se tornasse, il «Grande Minh» verrebbe nominato capo dello Stato, Quat rimarrebbe in carica, e l'ex comandante delle forze armate, il gen. Tran Van Don, anch'egli ammiratore di De Gaulle, riprenderebbe il suo antico posto. Dicono gli esperti che il « ©rande Minh », al punto in cui stanno le cose, sarebbe il male minore: la lotta contro la sovversione comunista continuerebbe, il Vietnam seguirebbe il modulo cambogiano in politica estera: un « neo-neutralismo attivo », anticomunista, filofrancese, in rapporti formali con l'America. Ma anche la « via del male minore » è insidiata dai buddisti: pare che costoro si stiano adoperando presso il generale Thi perché si allei con il « Grande Minh »; una alleanza tattica che consentirebbe di accelerare i tempi della conquista del potere e di mettere fine alla « guerra fratricida. ». Igor Man