Il mondo d'oggi, poco sensibile al divino può ancora capire la poesia di Dante?

Il mondo d'oggi, poco sensibile al divino può ancora capire la poesia di Dante? Il mondo d'oggi, poco sensibile al divino può ancora capire la poesia di Dante? Ha risposto in modo affermativo, in una brillante relazione, Natalino Sapegno - Il congresso ha lasciato Firenze e la prossima settimana proseguirà i suoi lavori a Verona ed a Ravenna (Dal nostro inviato speciale) Firenze, 24 aprile. Si può presumere oggi di comprendere Dante, sporgendoci da un mondo che si vuole disertato dalla divinità? Il rapporto lettore-opera a quale livello può avvenire, ammesso sia ancora possibile? La critica più recente risponde in modo positivo. Lo studioso cui meglio di ogni altro, forse, compete tale ufficio, Natalino Sapegno, il più illustre dantista italiano contemporaneo, autore di un ammirevole commento al Poema, ha illustrato stamane con eleganza e penetrazione le più interessanti proposte di lettura avanzate dal 1921 a oggi. Nel '21 apparve, appunto, un'opera destinata ad esercitare un'influenza per più versi decisiva: «La poesia di Dante », di Benedetto Croce. Separando, nella « Commedia >, in coerenza con 1 principi della sua filosofia, le parti liriche, sospese in una sorta di atemporalità, dall'impalcatura dottrinale, filosofica, teologica, le gata a un tempo e quindi crollata con esso, Croce stabiliva un criterio interpretativo prefigurato, quando non direttamente enunciato, da secoli. Il suo libro, più che aprire, chiudeva un'epoca, come si vide dalle manifestazioni epigonali che provocò; di qui, rileva Sapegno, il suo carattere emblematico. Una esigenza di lettura unitaria, lontana dall'impressionismo e dal frammentismo, afferma decisamente già nel '25 Giacomo Parodi con un volume che rimane tra i più vitali della letteratura dantesca: «Poesia e Storia nella Divina Commedia> (dove per storia è da intendersi il mondo culturale di Dante), ora provvidenzialmente ristampato dall'editore Neri Pozza. Seguiva, nella stessa direzione, un filologo insigne, Michele Barbi, con contributi di importanza capitale, mentre storici, filosofi, giuristi, nella loro opera di « recupero », degli aspetti maggiori e minori del mondo medioevale, rendevano per la prima volta possibile l'intelligenza letterale del Poema, condizione per ogni tipo di interpretazione allegorica. Su questa via si era già posta la maggiore critica letteraria dell'Ottocento, lo Hegel della Estetica e il De Sanctis delle Lezioni Zurighesi. Insistendo sulla necessità di leggere Dante in un contesto unitario, respingendo la distinzione tra cultura e poesia o meglio dialetticizzando tale rapporto, quella critica provava come i due termini siano imprescindibili e la poesia sì generi attraverso quella che Croce chiama «struttura», gli schemi della tradizione medioevale. Il più degno erede di tale tradizione si è mostrato il berlinese Erich Auerbach (18921957), filologo e critico, costretto nel 1936 dai suoi connazionali ad abbandonare per motivi di «razza» la Germania; Sapegno giudica il criterio della interpretazione « figurale» di Auerbach (la realtà significa se stessa e nello stesso tempo una realtà superiore disegnata nel regno delle verità eterne) « il più persuasivo e illuminante tra quelli forniti dalla critica negli ultimi decenni, il più solidamente radicato nella cultura e nella poetica del Medioevo e di Dante stesso». La relazione di Sapegno è seguita da quella di Paul Renucci sul « Dantismo esoterico nel secolo presente ». Il docente della Sorbona, uno dei più produttivi dantisti contemporanei, dopo avere precisato il senso del termine esoterismo, illustra gli aspetti che tale forma d'indagine applicata a Dante assume nel corso dell'Ottocento partendo dal Foscolo, che fa da trampolino a Dante, Gabriele Rossetti, iniziatore di una corrente anticlericale, con orientamento politico, sviluppatasi in Francia e continuata per trent'anni. In Italia tale tendenza, diversamente caratterizzata e illustrata dai nomi del Pascoli, di Luigi Valli, di Alfonso Ricolti, sebbene pervenuta fino ai nostri giorni, non è stata feconda di risultati. Un'indagine sul Dante eso terico diverrà fruttuosa solo quando la si calerà nella dimensione storica che le com pete, dopo che sarà stata fatta luce sui movimenti messianici su opere e figure ai margini dell'eresia per le quali Dante si appassionò (Ubertino da Casale, oltre, naturalmente, a Gioachino da Fiore). Nel pomeriggio, in un Salone dei Cinquecento gremito di pubblico, in prevalenza giovani il Convegno ha concluso le tornate fiorentine con la relazione di Eugenio Montale. Probabilmente non è civetteria quella di Iniziare il discorso protestando la coscienza di sentirsi ultimo, davvero ultimo, senza circostanze attenuanti, dopo tutte le autorità che l'hanno preceduto. La Dottrina incute reverenza all'uomo Montale, sebbene la sua cultura sia tra le più complesse, raffinate, armoniche che lo conosca. Che cosa rappresenta Dante per tino scrittore d'oggi? (non dico un poeta, perché di fronte a Dante non esistono poeti), si chiede Montale. Se si considera la Commedia come una summa di sapere, una costruzione nella quale si concentra ed eterna lo spirito di un'epoca, la tentazione di emulare il prodigio sarà sempre irresistibile, ma le condizioni del successo non esistono più. In un mondo in cui l'enciclopedia non forma più una sfera, non è possibile la ripetizione di un slmile miracolo. Dante non può essere ripetuto. Resta estraneo ai nostri tempi, a una civiltà soggettivistica e profondamente irrazionale. Poeta concentrico, Dante non può fornire modelli a un mondo che s'allontana continuamente dal centro. La Commedia fu davvero un fatto miracoloso? «Per chi, come me, crede che 1 miracoli possano essere sempre attuati davanti alla nostra porta, non avrei obiezioni da fare ». Quan to al possibile insegnamento attuale: «che la vera poesia abbia sempre il carattere di un dono, e che pertanto essa presupponga la dignità di chi la riceve, questo è forse il maggior insegnamento che Dante ci abbia lasciato ». Il Congresso proseguirà i suoi lavori, la settimana ventura, a Verona e a Ravenna. Giorgio Zampa

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