Storia e interpretazione della Resistenza

Storia e interpretazione della Resistenza Rigore scientifico e approfondita coscienza politica nei nuovi studi Storia e interpretazione della Resistenza Per anni si sono ammucchiati diari, memorie, scritti d'occasione di diverso valore • Ora gli storici (anche giovanissimi) « mettono ordine » in questo immenso materiale documentario, allargano l'orizzonte delle ricerche - Sono esaminati i rapporti tra la lotta armata dopo l'8 settembre ed il precedente antifascismo, tra la Resistenza e gli alleati - Si indaga sulla realtà politica del movimento partigiano (come Mario Giovana ha fatto per il Cuneese, Enzo Piscitelli per Roma) • Appare sempre più chiaro che la Resistenza non fu soltanto una « guerra di popolo », ma il doloroso travaglio della rinascente democrazia Lo studio di quel periodo della nostra guerra che fu di volontari e di popolo e si chiama la Resistenza, con un nome che ha acquistato un significato più vivo e intenso che ogni altro, offre ormai un numero grandioso di pubblicazioni: ho detto studio, cioè attività storiografica, perché se dovessimo considerare anche tutto quello che appartiene, con maggiore o minore pregio, alla memorialistica e alla rievocazione in genere, si dovrebbe parlare di bibliografia sterminata (si pensi che solo per il Piemonte il Pansa regi stra, nel repertorio che sta per uscire alla luce, un duemila voci, fermandosi al 1963). Ciò che importa rilevare è l'impulso a questi studi, la direzione delle ricerche e la qualità dei lavori, ossia il metodo e i risultati. Ricordo e polemica Nuove spinte a indagini e considerazioni sul tema storico della Resistenza sono venute in qualche misura da certe condizioni della nostra vita politica (per es., i fatti del '60) e il conseguente sue cesso sempre più vasto di corsi pubblici di lezioni sul la storia degli ultimi trenta o quarantanni e l'estensione dello studio della storia nelle scuole fino alla Re sistenza e alla Costituzione, ma, in modo più normale e già operante, dal bisogno di metter ordine e portar chiarezza e serietà scientifica in una materia per tante ragioni ancora poco ordinata, confusa di sovente tra rievocazioni sentimentali e polemiche di parte e limitata a settori abituali ed entro schemi angusti, con l'implicita condanna a un suo disseccamento. In questi ultimi cinque anni (una rassegna bibliografica dalle origini condotta dal compianto Battaglia si arre sta proprio al 1959) gli oriz izonti degli studi sulla Resistenza si sono di molto al largati ; le ricerche sono state rivolte, com'era giusto, a vedere la Resistenza italiana nel quadro di quella europea e la sua storia particolare nei rapporti con tutta la sto ria contemporanea, anche politica e diplomatica. Han no incitato queste nuove in dagini convegni di studio nazionali e internazionali, le hanno favorite istituti e ca se editrici. I frutti più importanti sono stati i due volumi, uno di relazioni, su La Resistenza europea e gli alleati (ed. Lerici), l'altro di documenti presentati e annotati da Secchia e Frassati su La Resistenza e gli alleati (ed. Feltrinelli). E quale fu il regime politico dell'occupazione tedesca in Europa? e dunque anche in Italia? Anche questo era un argomento finora non considerato e occorreva che si uscisse una buona volta dalla vera ma troppo immobile rappresentazione di una sequela di atrocità e di incivili o irrazionali comportamenti di militari e burocrati nazisti. A cura dell'Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia, presieduto da Parri (e che pubblica dal '49 la più importante rivista specializzata) è uscito il volume collettaneo (di cui un solo saggio è ita liano), L'occupazione nazista in Europa, approntato da Enzo Collotti, il viaggio re studioso tra noi della Germania hitleriana e dei suoi rapporti col nostro paese. Le origini della lotta Si può parlare di Resi stenza limitandola ai venti mesi di guerriglia tra l'8 settembre '43 e il 25 aprile '45? Ma fin dove estenderne i limiti? Fino alle origini del fascismo, e quindi dell'oppo sizione antifascista, la co siddetta « Resistenza disar mata », come han fatto Sai vatorelli e Mira con la loro opera preziosa, o più in la ancora? Quello che è certo (e lo storico Piero Pieri l'ha messo in chiara evidenza) è che senza un giudizio sul fascismo (e l'antifascismo) non ci può essere giudizio sulla Resistenza armata, nemmeno a volerla conside rare come un puro fatto mi litare per l'indipendenza del ptpgdcmogpmllgtnr(èorrmcned1cvllnvOrGpsdcrNcBpD o . a . e paese e una rivolta esasperata contro il terrore dell'oppressione. Naturalmente, dunque, gli studi sul fascismo « e dintorni » sono proseguiti con buon ritmo, ma specialmente su zone inesplorate o quasi, come per esempio gli atteggiamenti della vita pubblica in anni particolarmente drammatici (si veda l'ottimo libro di Raffaele Colapietra su Napoli tra dopoguerra e fascismo, ed. Feltrinelli), o le lotte contadine e operaie, anche anteriori al sorgere del fascismo (relativa al periodo fascista, è da segnalare Cospirazione operaia del solerte ricercatore Domenico Zucàro) o : rapporti tra « potere econo mico e fascismo» (in un'ee celiente opera di F. Catala no, che porta quel titolo, edito dal Lerici, e che stu dia la crisi del dopoguerra 1919-'21). Ma per rientrare nei limiti cronologici della Resistenza vera e propria, anche qui l'indagine non si arresta al le ininterrotte pubblicazio ni di nuovi documenti in riviste e libri ( recentissimo Operai e Resistenza a Torino, a cura di G. Alasia e G. M. Bravo) e di memorie personali, sia pure di diver so valore (da quella sorta di autobiografia spirituale che è in gran parte l'ammi revole Guerra dei poveri di Nuto Revelli al racconto do cumentato della lotta nel Braidese, in Ricordi di un partigiano di Icilio Ronchi Della Rocca) e di ristampe con aggiunte, come la riedizione di Le Fosse Ardea Une dell'Ascarelli, con una nota introduttiva di Giuseppe Saragat, ed. Canesi, e di Piemonte cronache a cura del Comitato regionale pie montese del Pei. Sono ap parsi nuovi volumi antologi ci, quale Cronache col mi tra dell'Etnasi (ed. Giorda no) che cito perché è l'ultimissimo uscito, e, per quanto disorganico, è rie chissimo di testi del tempo e disegni generali come La Resistenza nell'Anconitano a cura di queirAnpi provin ciale, che non esita a inclu dere nei prodromi della lot ta antifascista l'insurrezione militare - popolare del 1920 contro l'imbarco per l'Albania; e disegni più par ticolari e analitici come gl accurati studi in più dire zioni sulla Resistenza nel la Venezia Giulia, promossi dall'Istituto storico triesti no. Ma accanto a questi la vori un po' più usuali, che cito evidentemente senza pretesa di completezza, è da avvertire un indirizzo nuovo degli interessi, un volgere delle ricerche in più profondi scandagli. Si studia l'azione politica fianco di quella militare j] Nella bibliografìa della Resistenza europea occupano un posto di rilievo le memorie sui «Lager» nazisti. L'Italia ha dato due capolavori: «Si fa presto a dire fame» di Piero Caletti (a sinistra) e «Se questo è un uomo» del torinese Primo Levi anzi nella loro stretta interdipendenza (per es., La Resistema in Piemonte: storia del Cln regionale, di Mario Giovana, ed. Feltrinelli), ma specialmente ci si addentra nella visione particolareggiata di territori resi liberi a opera dei patrioti, o di zone di guerra partigiana che erano finora restate come prive di fisionomia, sperse in connotati più generali. E qui mette conto rilevare un fatto oltremodo significativo, che gli studiosi di questi temi sono assai di frequente giovani che non ebbero alcuna esperienza diretta del la guerra, e anche donne, tanto meno abituate a linguaggi politici e a cognizioni militari (la Trabucco sulle formazioni partigiane in Val Chisone, la Bravo sulla zona franca di Nizza Monferrato). Impegno universitario Il fatto è anche che alcuni docenti non han temuto di rompere il tradizionale rigore (e formalismo) accademico, accogliendo o consigliando argomenti di studio di quell'attrattiva e di quella particolare difficol tà; per limitarmi al Piemonte, dirò che non sono mancati i Pieri, i Quazza, i Garosci, i Galante Garrone, cioè maestri di così larga apertura mentale e di così attiva coscienza democratica. Si sentiva da tempo il bisogno di scendere a queste nuove analisi per preparare le condizioni di nuove sintesi, altrimenti il solito la¬ voro correva verso l'esaurimento. In questo senso ha lavorato e raggiunto uno dei maggiori risultati uno studioso fattosi da sé, senza scuola, e senza lavoro di équipe, Mario Giovana, che si è accinto a scrivere la Storia di una formazione partigiana ( pubblicata da Einaudi), cioè della 2" divisione alpina in cui si raggrupparono le bande « gielliste » di Val Maira, Val Varaita e del Saluzzese. E' la storia di una formazione partigiana che si riverbera sulla vita di quei territori del Cuneese in cui ha operato; è una vera ricostruzione dall'interno della sua azione, delle sue ideologie, dei rapporti con i civili, con il configurarsi di nuove forme di civiltà democratica. Credo che nulla sia sfuggito al Giovana, che mostra un'attenzione sempre vigile e critica alle deficienze, agli errori, alle ragioni, allo svolgimento dei fatti che non sono mai lineari. U suo libro è una delle prove della maturità raggiunta oramai dagli studi sulla Resistenza, una delle prove prò vate che si può parlare sto ricamente, cioè criticamen te, anche del vicino passato quando si osservano con il massimo scrupolo i buoni criteri metodologici, buoni egualmente per ogni distanza di tempi. Di un genere diverso il recentissimo lavoro di Enzo Piscitelli sulla Resi stenza romana: è un qua dro d'insieme, un tentati vo di nuova sintesi, dopo il pur notevole, ma poco ordinato e poco elaborato aRs apporto documentario d R. Perrone Capano (La Resistenza a Roma, 1964). Il libro del Piscitelli — Sto ria della Resistenza roma na, ed. Laterza — è pie sentato da Nino Valeri: è il meglio che ci sia fino ad oggi e si sa di quanto l è d o j« diseguale valore » sia la letteratura romana dell'argomento. L'idea centrale ]del libro è una pacata rivendicazione del significato positivo della « resistenza passiva » dei romani (a parte, s'intende, azioni singole di sabotaggio e di colpi di mano, come l'attentato di via Rasella). Mancò il legame fra combattenti e C.L.N., fra piccoli gruppi di valorosi e i partiti, mancò certo l'insurrezione popolare. Ma anche molto diverse, per più ragioni, erano le condizioni di quella « città aperta » ( privilegio e condanna insieme), come diversa da ogni altra era, è l'indole romana, quell'indole che è un prodotto storico e non un mero fatto di natura. Il Piscitelli insomma difende con buone giustificazioni la Resistenza romana dall'ac cusa di « attesismo ». Ri conosce l'azione moderatri ce e in parte salvatrice del Vaticano, si rifiuta di pie tendere che « il pontefice divenisse una specie di Giulio II, in pieno secolo XX » La sua è una polemica temperata con il Battaglia, da cui appunto partirono le accuse di « attesismo », giuste solamente nella definizione delle differenti caratteristiche della Resistenza romana e di quella del Nord Italia. E poiché si è parlato di Roberto Batta¬ glia, mi sembra doveroso chiudere queste sparse informazioni col ricordo della sua opera maggiore, ancora oggi insostituibile, la Storia della Resistenza italiana (ed. Einaudi). Secondo Risorgimento Il Battaglia è morto or sono due anni; fece appena in tempo a consegnare all'editore la nuova edizione della sua Storia che oggi riappare. Il nuovo testo si libera di una scorza troppo generica ai precedenti della caduta del fascismo e restringe l'esame alla coincidenza tra il momento della guerra e il distacco della massa della popolazione dal regime; è più temperata in alcuni giudizi (per es. su Parri e il suo nuovo «interventismo democratico»); porta un'attenzione più approfondita su certi documenti, quali la conferenza di Mosca, e su certi aspetti della lotta (l'atteggiamento della cultura ). Rimane saldissimo il fondamento delle sue principali intuizioni: la Resistenza come spinta dal basso, e la sua unità come « unità in movimento », come « conquista quotidiana che emerge dalla lotta », « come faticoso e doloroso travaglio della rinascente democrazia italiana ». Indulge al concetto di Resistenza come secondo Risorgimento, ma al di là dei poco concludenti paralleli storici, più vicino a vedere (anche se non con tutte le riserve e i suggerimenti ap portati dal Bendiscioli, che si leggono nel suo buon li bro Antifascismo e Resi stenza, ed. Studium) la ripresa e lo sviluppo nella Resistenza di quel tanto « di incompiuto, di inappagato » che restò nel Risor gimento. Ma la sua Storia come nessun'altra storia della Resistenza e nessuno studio particolare avrebbe il suo senso completo se la Resistenza non fosse consi derata come una suprema lotta a oltranza, ispirata agli ideali della democra zia (anche in tutta l'Europa, anche da parte delle forze alleate), e in Italia soprattutto, nello spirito sia pure dei pochi che però più contano nel loro va lore di avanguardie, ' del re sto neppure sparute, come cosciente antifascismo presupposto (questo sì, in aspirazioni comuni a vasti strati della popolazione) di una battaglia civile-sociale da portare innanzi, al di là della raggiunta vittoria del '45, del ritorno della pace e tà politica. Franco Antonicelli /, uri i ii"! uu ucna jitiut- della riguadagnata liber- Un forte disegno di Renato Quttuso in « Qott mit una» sulla Resistenza antinazista