La Francia a tre anni dalla guerra rovinosa regge il maggior peso dell' economia algerina di Giovanni Giovannini

La Francia a tre anni dalla guerra rovinosa regge il maggior peso dell' economia algerina ALGERI, MALGRADO L'INDIPENDENZA, MANTIENE STRETTI VINCOLI CON PARIGI La Francia a tre anni dalla guerra rovinosa regge il maggior peso dell' economia algerina Al termine del lungo conflitto, che costò un milione di morti, il Paese era devastato; mancava la classe dirigente francese tutta rientrata in patria, c'erano due milioni di disoccupati - Senza aiuti stranieri, l'Algeria sarebbe crollata - Ma non sono i modesti e pesanti soccorsi cinesi, né i prestiti sovietici a consentire la ripresa • L'America regala razioni alimentari per due milioni di persone ogni giorno; la Francia in un triennio ha già donato o prestato mille miliardi di lire - Oltre ai motivi politici, De Gaulle difende i petroli del Sahara (24 milioni di tonnellate all'anno) e le sterminate riserve di metano i (Dal nostro Inviato speciale) Algeri, aprile La grande festa musulmana dell'Xid El Kebir è venuta quest'anno a cadere nella settimana pasquale. Le due precedenti ricorrenze, nel '63 e nel '6.'(, erano state celebrate mestamente dagli algerini: l'uso islamico vuole che in questa ricorrenza tutte le famiglie procedano al sacrificio di un montone ed alla consumazione delle sue carni, ma Ben Bella aveva proibito il rituale sterminio dichiarando che più importante della tradizione religiosa era la necessità economica di non ridurre ulteriormente il poco bestiame sfuggito alle devastazioni della lunga guerra. Quest'unno, il presidente ha ritenuto di poter concedere il permesso, ed al suo improvviso annuncio gli algerini hanno manifestato una gioia tale da non poter essere giustificata solo dal ritorno all'antica tradizione: nella consentita strage dei montoni — trecentomila, mi dicono — hanno visto, ed i giornali l'hanno scritto, il segno dell'inizio di tempi nuovi e migliori. Passata la festa, però, è rimasto un documento molto meno euforico sul quale la Assemblea nazionale ha discusso per giorni prima di approvarlo: il bilancio preventivo dello Stato per i prossimi dodici mesi. Nell'annunciare un sicuro passivo di quattrocento milioni di dinari, pari a cinquanta miliardi di lire (1 dinaro=l nuovo franco francese, cioè circa centoventicinque lire). Ben Bella ha invitato tutti a lavorare di più e meglio, ed in particolare a pagare più onestamente le tasse; ed in attesa del raggiungimento di ques.'o obiettivo, ha provveduto all'aumento immediato dei prezzi dei tabacchi, dei francobolli, dei trasporti; l tempi, ha ammonito, rimangono duri. Tanto è brillante, come si è détto, la posizione mternazionale dell'Algeria, tanto appare disastrosa la sua situazione economico-finanziaria. Nessuno, è giusto premettere subito, può farne una colpa ai dirigenti di questo Stato, nella cui capitale meno di tre anni addietro scoppiava una bomba ogni quarto d'ora, si uccideva un uomo ogni venti minuti, tutto era distruzione e morte. Questo popolo arabo che si aggirerà sugli undici milioni di anime 'Ben Bella parla sempre di dodici, ma la cifra viene ' giudicata eccessiva), ha avuto nei sette anni e mezzo della rivolta almeno un milione di caduti; e dalla fine della guerra ad oggi ha visto partire, e per sempre, il milione di suoi abitanti europei. Settecentomila pieds noirs sono fuggiti nel solo t96S. trecentomila hanno seguito nel '63 e '6lh ora non ne restano più che poche decine di migliaia. Insieme agli europei sono partiti — meglio, hanno continuato a partire — per la j Francia, molti arabi: qualcuno per motivi politici. Quasi tutti alla consueta ricerca di lavoro. Prima della rivolta, c'erano in Francia 350 mila operai algerini: attualmente saranno almeno il doppio, 700 mila. E ciò nonostante, nell'assumere il potere, Ben Bella si è trovato damanti al drammatico problema dell'esistenza di due milioni di disoccupati, di un quinto della popolazione senza mezzo alcuno di sussistenza. La fuga in massa dei pieds noirs. se poteva suscitare un nazionalistico compiacimento, lasciava senza guida la quasi totalità delle aziende industriali, commerciali, agricole; minacciava, insomma, il crollo a breve scadenza dell'intera struttura produttiva. Se. bene o male, il paese è ancora in piedi, il merito naturalmente è degli algerini, ma al tempo stesso di chi li ha aiutati e li aiuta in maniera decisiva. Un quadro preciso dell'intefrvento economico straniero, di evidente interesse sotto l'aspetto politico, è tutt'altro che facile da tracciare in questa terra che sembra allergica alle statistiche. Unica eccezione per me che sono arrivato nei giorni della visita di' Ohi E?i-lai con la stampa locale che inneggiava a Pechino, sono i dati relativi alla Cina, alla quale l'Algeria deve un prestito senza interessi di circa 30 miliardi di lire. Con questi fondi, gli esperti di Mao hanno tentato soprattutto di creare — sembra senza alcun successo — una risicultura e piantagioni di tè; stanno costruendo qualche piccola fabbrica (la principale, per la lavorazione del caolino); hanno infine donato una nave da 15 mila tonnellate che solo, mi dicono, dopo lunghi lavori di adattamento si è riusciti a far entrare in linea. Non è molto, soprattutto per reggere in campo economico alla concorrenza politica dell'Unione Sovietica la quale (ad un tasso del 2.5 per cento, ed a lunghissimo termine) ha concesso un prestito pari esattamente al doppio di quello cinese (e si parla di un altro di pari entità). E per di più, i sovietici non pesano troppo col condizionare l'impiego dei fondi da loro concessi. La stessa differenza di atteggiamento tra Mosca e Pechino, appare anche sul piano politico, ed a tutto vantaggio dell'Unione Sovietica. Gli algerini non lo nascondono: con i cinesi — mi sono sentito dire più volte — bisogna sempre puntare i piedi per non farsi trascinare su posizioni di estremismo, specie ideologico, che a noi non interessano assolutamente niente. Accanto all'Unione Sovietica e, distanziata, alla Cina, vengono frequentemente indicati tra i paesi che hanno porto un fraterno aiuto il Kuwait (sedici miliardi di lire), la Jugoslavia (dodici miliardi) e magari, un po' sottovoce, la Germania Occidentale (otto miliardi). Anche i « grandi fratelli » effiziani si sono dati da fare, ma con risultati addirittura negativi: ci sarebbero stati contrasti vivaci per certe macchine vecchie installate in una fabbrica tessile o per un grande albergo ad Algeri, che avrebbe già dovuto essere finito e che lo sarà forse fra un anno A questo punto, ad accontentarsi delle spontanee dichiarazioni ufficiali, il quadro dell'aiuto estero sembrerebbe completo: ed a mettere insieme tutti i paesi ora citati, pur tenendo conto anche del secondo prestito rus so. non si arriva ai duecento miliardi di lire. Occorre sco¬ prire da sé che qualcosa fa anche la Francia: vediamo in che misura. Nel 1962, Parigi ha stanziato in bilancio per assistetiza finanziaria all'Algeria centoventicinque miliardi di lire (in parte sotto la condizione, non rispettata, che fossero destinati a certe iniziative); nel 1963. ha versato la stessa ri spettabile cifra; cosi, sembra, anche per il '64; e dopo qualche temporeggiamento, analogo aiuto pare assicurato per il '65. Sommiamo i tre scorsi anni: trecentoscttantacinque miliardi di lire. Ma non basta. Oltre a questi aiuti finanziari ufficialmente consentiti, il Tesoro francese ha versato a quello algerino trecentosettantacinque miliardi di lire nel '62 e trecentoquindici miliardi nel '63 (queste somme dovrebbero essere restituite a breve scadenza, ma gli algerini non possono, e i francesi non ci contano: l'ipotesi del colpo di spugna appare più che fondata). Senza tener conto di altri finanziamenti minori, basterà sommare le tre cifre per constatare come negli ultimi tre anni, dalla fine della guerra ad oggi, la Francia abbia fornito all'Algeria un aiuto finanziario che da solo supera di cinque o sei volte quello di tutto il resto del mondo; sono più di mille miliardi di lire, nell'ordine cioè di circa un miliardo al giorno. Messi davanti a queste cifre che dimostrano un grado imprevisto di dipendenza economica, gli algerini tentano qualche contestazione marginale, ed in ogni modo non si scompongono: «Se la Francia sborsa tanto, è segno che ha i suoi buoni interessi per farlo >. A parte l'obiettivo politico della «presenza*, il motivo preminente di Parigi è quello della difesa dei diritti delle sue compagnie petrolifere, che I non sono sfati in nessun moI do toccati dall'accordo di ! Evian per l'indipendenza alI gerina. E nello scorso anno, l dai bacini petroliferi sahariani di Bassi Messaud e di Fori Polignac, gli oleodotti francesi (ora gli algerini ne stanno costruendo uno tutto loro) hanno trasportato alla costa ventiquattro milioni di tonnellate di eccellente greggio. Ancor più promettente, cosa tneno nota, sembra rivelarsi il gas (metano) avviato in condotti fino ad Arzew, liquefatto, inviato con navi speciali in Europa: con la sua riserva valutata a duemila miliardi di me di gas e quattrocento milioni di tonnellate di condensati, il giacimento di Bassi R'Mel è il più ricco del mondo. Per il « regime > del petrolio e del gas sahariani, gli algerini ed i francesi contendono incessantemente da Evian in poi. I primi chiedono un aumento del gettito fiscale a loro favore (quarantacinque miliardi lo scorso anno), e questo riusciranno certo ad ottenerlo; ma insistono anche e soprattutto per una qualche forma associativa, incontrando la ferma resistenza degli interlocutori che si rifanno agli accordi di Evian. Sembrava che ad un accordo si fosse vicini prima di Pasqua; è certo invece che del problema s'occuperanno personalmente De Gaulle e Ben Bella nel loro prossimo incontro a Parigi Nel terminare questo panorama degli aiuti esteri, dimenticavo anch'io, come fanno sempre gli algerini, quello degli Stati Uniti. Con i surplus agricoli inviati da Washington, il governo distribuisce quotidianamente una razione alimentare a due milioni di bisognosi ed una minestra a cinQuantamila bambini. Tra un attacco e l'altro contro gli imperialisti americani, le autorità algerine sorridono sprezzanti: « Siamo noi che facciamo un piacere a loro: non saprebbero dove buttare questa roba >. Quanto ai due milioni di assistiti, non hanno la minima idea di chi dia loro da sfamarsi; o, meglio, lo sanno: «Ben Bella akbar» mormorano riconoscenti, «Ben Bella è grande». Giovanni Giovannini

Persone citate: Bassi Messaud, Bassi R'mel, De Gaulle, Mao