Algeri, in un paese povero e devastato è una delle capitali politiche del mondo di Giovanni Giovannini

Algeri, in un paese povero e devastato è una delle capitali politiche del mondo UNA RE ALTA' PARADOSSALE A UN'ORA DI VOLO DALLE COSTE ITALIANE Algeri, in un paese povero e devastato è una delle capitali politiche del mondo Da tre anni appena è finita la guerra d'indipendenza, che provocò un milione di morti e immense rovine - L'economia è sostenuta dagli aiuti di Parigi e dall'assistenza americana - Ma ad Algeri («gemellata» con Praga) si succedono di continuo visitatori illustri: partito Ciu En-lai, è arrivato Tito; lo seguiranno Nasser, e poi la conferenza afro-asiatica con 70 capi di Stato • L'ambasciata francese ha 900 funzionari, quella cinese è retta da uno degli otto super-ambasciatori di Pechino - Nella capitale algerina sono ospitati rivoluzionari di tutto il mondo: del Portogallo e dell'Africa nera, del Sudamerica e del Marocco - C'è persino un «fronte di liberazione» delle isole Canarie (Dal nostro inviato speciale) Algeri, aprile. Ad Algeri, anche Ciu Enlai e Tito si sorridono benevolmente. in tutti gli incroci, accanto ai manifesti un po' ingialliti con l'effigie del primo ministro cinese, si allineano da tre giorni quelli — identici nel formato, nel tratto, nella formula di benvenuto — col profilo imperioso del marescialloGiunto giovedì mattina col suo bianco yacht tr.a salve d'artiglieria, suon di bande, ed ovazioni, il presidente jugoslavo sta ora visitando l'Algeria e discutendo giorno e notte di politica con Ben Bella. Non sono passate tre settimane di; quando Ciu En-lai aveva ritenuto opportuno volare ad Algeri per indurre lo stesso Ben Bella a dissociarsi dall'iniziativa jugoslava dei diciassette paesi neutri per una cessazione del | fuoco nel Vietnam, per con¬ vincerlo ad associarsi alla Cina nel tentativo di escludere l'Unione Sovietica dalla prossima conferemaa afroasiatica. In questa ventina di giorni tra la partenza del rappresentante di Pechino e l'arrivo del capo jugoslavo, altri ospiti di tutti i paesi si sono avvicendali ad un ritmo che a me c sembrato frenetico e che qui ritengono ormai normale. L'aereo di Ciu En-lai non aveva ancora decollato, die già stava atterrando all'aeroporto di Maison Bianche quello con i coniugi cosmonauti russi fcoincidenza forse fortuita, certo utilissima dal punto di vista politico, per gli eveira all'Unione Sovietica che hanno potuto immediatamente seguire quelli alla Cina). Poi è stata la volta di una delegazione ungherese venuta a celebrare una nuovissima amicizia tra magiari ed arabi, di una rappresentanza cecoslovacca giunta per consacrare il «gemellaggio » tra Praga ed Algeri, dì gruppi politici, tecnici, folcloristici e sportivi di un'altra- decina di paesi dei cinque continenti. Molta delusione ha destato domenica scorsa il mancato arrivo all'ultimo momento del presidente della Tanzania, Nyerere; ci si è consorti con i preparativi per Tito, al quale farà seguito, dopo la consueta pleiade dei minori, il «grande fratello* Nasser. E saremo allora alla vigilia della grande parata di fine giugno, della « seconda Bandung» che dovrebbe (i motivi d'incertezza, come diro, non sono pochi) veder riuniti attorno a Ben Bella sessantasette capi di stato afroasiatici, tremila delegati o osservatori. Le migliori energie della giovane repubblica sembrano assorbite da tanto paurosi compiti di rappresentanza. Ad ogni ospite che sopraggiunge, i giornali in arabo o in francese dedicano pagine su pagine, squadre di operai ormai altamente specializzati calano nelle strade i festoni con le bandiere del paese di chi è partito, ne alzano altri con i colori di chi è arrivato, masse popolari vengono mobilitate al seguito delle autorità per far degna accoglienza al nuovo venuto. Giovedì mattina, per Tito, autobus, camion, trattori agricoli sono stati inttafi all'alba nelle fabbriche e nelle fattorie anche dei lontani dintorni per raccogliere gente e trasportarla in centro: la giornata era lavorativa ma, in attesa di ricuperare prima o dopo le ore, la paga — avevano annunciato i giornali — veniva intanto garantita anche per il tempo dedicato agli applausi. I governanti algerini, naturalmente, oltre a ricevere tanti e così illustri ospiti, restituiscono le visite (in questi giorni, il ministro dell'Economia era in Spagna, quello dei Culti alla Mecca; Ben Bella stesso sta per incontrarsi a Parigi con De Gaulle): non ostante il loro eccezionale dinamismo, sorprende come possano trovare il modo di far fronte ai normali ma paurosi problemi del paese. Anche sul piano di politica estera, nonostante i continui contatti diretti al massimo livello, l'attività diplomatica è intensa: i francesi, per citare qualche esempio, hanno un'ambasciata con novecento funzionari (i quali si preoccupano di non sottolineare, in nessun modo di quanto decisiva importanza sia l'aiuto economico di De Gaulle a Ben Bella); gli americani sono efficienti e silenziosi (cercano di ignorare i continui insulti della propaganda ufficiale algerina, accennano appena al fatto che solo il loro dono di surplus agricoli consente la quotidiana distribuzione di due milioni di razioni alimentari ad altrettanti bisognosi di questo paese che ha undici milioni di abitanti); i cinesi hanno addirittura uno dei loro otto « super-ambasciatori », it signor Tsung Tao, considerano cioè Algeri una delle otto capitali più importanti del mondo. Quanto ai russi, sembrano soprattutto preoccuparsi delle mosse dei loro rivali gialli. I continui contatti diretti tra capi e governanti di vari Stati, l'eccezionale attività diplomatica, non esauriscono i motivi delta grande importanza politica di questa città: Algeri è anche la straordinaria sede di ambasciate o di governi giuridicamente inesistenti; come al Cairo, forse più che nella Hau, ogni «movimento di liberazione», africano o no, manda <jui i suoi rappresentanti che trovano regolarmente ospitalità e aiuti. Di questi gruppi, in mancanza di informazioni precise, ho cercato di stendere io in questi giorni un elenco che forse non è completo ma sembra di un Qualche interesse. Algeri accoglie i delegati di tutti i movimenti rivoluzionari dell'Africa portoghese e del Sud Africa, anche se rivati fra loro; c'è perfino, a quanto mi dicono, un Fronte di Liberazione della Somalia francese; e c'è naturalmente il Comitato di Liberazione congolese anti-Ciombè. La vocazione rivoluzionaria di Algeri è prevalentemente, chiaramente africana. Dei vari « fronti di liberazione » asiatici, sono rappresentati solo il palestinese, il sudvietnamita ed il « sud-arabico » (Aden): in questo settore, evidentemente, Ben Bella lascia l'iniziativa a Nasser. E' invece sorprendente l'interesse del presidente algerino per i paesi del Sud America che egli sta con insistenza invitando alla prossima conferenza afroasiatica: solo i «regimi forti» del Paraguay, del Venezuela e del Guatemala sono oggetto di quotidiani attacchi da parte della stampa locale, e non è difficile incontrare qui esuli ed agitatori di quei tre Stati. Una settimana addietro, i giornali hanno dato grande rilievo al fatto che Ben Bella aveva ricevuto una delegazione del < popolo della Guyana cosiddetta britannica» promettendo il suo aiuto nella lotta di liberazione contro gli inglesi. Venendo a terre meno remote, gli algerini non trascurano l'Europa e dedicano tutte le loro attenzioni alla penisola iberica. Il gran nemico è il Portogallo: strettamente collegati ai gruppi dell'Angola, della Guinea e del Mozambico, operano da Algeri tutti i « movimenti d'azione» i «/ronfi patriottici», le «giunte rivoluzionarie» — dai comunisti (in netta prevalenza) agli uomini del misteriosametite scomparso generale Delgado — con l'unico e comune obiettivo di abbattere il regime di Salazar. La stampa locale si associa pienamente e violentemente alle loro tesi, mentre mostra invece la più grande prudenza nei confronti delle polemiche antifranchiste. Contro la Spagini, agisce per conto suo, apprendo per la prima volta, un «movimejito per l'autodeterminazione e l'indipendenza delle Isole Canarie». A parte questa organizzazione marginale, siede ufficialmente ad Algeri il « Consejo de gobierno de la 3» Repùblica Espanola»; domenica scorsa un'assemblea pubblica di esuli ha nuovamente preannunciato l'imminente caduta di Franco (i giornali ne hanno pubblicato una succinta cronaca dando molto maggior rilievo al viaggio del ministro dell'Economia, Boumaza, in Spagna ed al suo incontro con il Caudillo). A questo punto il panora¬ ma mondiale degli interessi rivoluzionari dell'Algeria potrebbe sembrare completo, se non fosse opportuno rilevare come tanta attività non si esaurisca nella sola lotta contro regimi avversi, coloniali o dittatoriali. Ci sono in Africa paesi tiberi ed indipendenti ma moderati e filo-occidentali, come la Costa d'Avorio o il Camerun: pur intrattenendo con loro normali anche se fredde relazioni diplomatiche, Algeri ne ospita i dirigenti dei partiti d'opposizione in esilio: il «Sanici», rispettivamente, e l'« Upc ». E sarà certo una coincidenza ma sono stati gli stessi giornali algerini a farla notare, il giorno dopo aver annunciato che il suo e gli altri tre paesi dell'< Intesa» (la Costa d'Avorio, l'Alto Volta, il Togo) non sarebbero intervenuti alla prossima conferenza afroasiatica, il presidente del Niger è sfuggito per miracolo ad un attentato. C'è di più. Gli algerini smentiscono con sdegno di aver qualcosa che fare con i recenti disordini marocchini o di essersi mai occupati degli affari intemi tunisini, replicano inneggiando alla fratellanza dei tre paesi del Maghreb. Sta di fatto che, sia pure senza far troppo rumore, molti dei più fieri avversari del sultano del Marocco (come Ben Barka, condannato a morte in contumacia) o di Burghiba (come l'irriducibile Chouchane) trovano ospitalità ed aiuti presso Ben Bella. Affiancandosi all'Egitto, e qualche volta scavalcandolo, l'Algeria ha assunto un'effettiva posizione di guida del movimento per l'indipendenza in tutti i paesi africani ancora soggetti ai bianchi, e al tempo stesso va conducendo un sottile insidioso giuoco contro i vari governi del continente nero considerati troppo conservatori filooccidentali. Il suo particolare socialismo, il suo orgoglioso nazionalismo, il suo forte regime autoritario, sono le carte che le permettono una profonda penetrazione, una reale presenza in Africa. Gli occidentali ne seguono attenti le mosse, fidando sul loro aiuto economico d'importanza vitale per la giovane repubblica; il « terzo mondo » ne riconosce l'atteggiamento di avanguardia; russi e cinesi se ne contendono l'appoggio. E' un risultato sorprendente a meno di tre anni dalla fine della lunga guerra che provocò la morte di un milione di arabi e portò all'esodo di un milione di europei; è una situazione di prestigio eccezionale per un paese che ha solo undici milioni di abitanti, che ha grandi possibilità economiche ma che per il momento, come vedremo, è alle prese con problemi enormi (e che ha milleseicento chilometri di coste bagnate dal nostro stesso mare, ad un'ora di volo dall'Italia). Giovanni Giovannini