Ora i portoghesi hanno scoperto e sfruttano le immense, intatte ricchezze dell'Angola

Ora i portoghesi hanno scoperto e sfruttano le immense, intatte ricchezze dell'Angola DOPO CINQUE SECOLI PI SONNOLENTO DOMINIO Ora i portoghesi hanno scoperto e sfruttano le immense, intatte ricchezze dell'Angola Il paese, gelosamente chiuso alle iniziative straniere, traeva le sue risorse dal caffè, dai diamanti, da una limitata agricoltura - Adesso si lavora ad estrarre ferro, petrolio, manganese, oro, uranio; e anche la colonizzazione si estende - Lisbona spende 200 miliardi l'anno per aprire porti, strade, scuole; i portoghesi, che erano 30 mila nel 1930, ora sono dieci volte più numerosi e saranno mezzo milione nel 1970 - Con una massiccia immigrazione ed un vasto programma di sviluppo sperano di controllare l'antica colonia - Finora c'è una sola impresa italiana: la vasta azienda agricola «Nuova Torino» creata da due piemontesi (Dal nostro inviato speciale) Luanda, marzo. Nei discorsi, negli scritti, nelle leggi, instancabilmente i portoghesi continuano a ribadire la sempiterna validità della loro secolare visione di una Comunità Lusitana in seno alla quale europei ed africani siano uniti, nell'identità dei diritti e dei doveri, da una stessa cittadinanza. Nei fatti, essi stanno in questi ultimi tempi mostrando di credere sempre un po' meno al mito del grande e fraterno abbraccio bianco-nero, un po' più al sistema di una colonizzazione europea di massa destinata ad attenuare il rapporto d'inferiorità numerica degli europei nei confronti degli africani. Dalla loro terra, i portoghesi hanno sew.pre emigrato in gran quc.ntità ma raramente hanno preso la via delle colonie. Nel 1028, per citare un anno qualsiasi, ventisettemila persone si trasferirono in Brasilo, e soltanto centottantanove In Angola, Mozambico e Guinea. Ma nel 1061, cinque mesi dopo il divampare della rivolta (il costante riferimento cronologico è inevitabile anche se sommamente sgradito a Lisbona), il ministro d'Oltremare, Moreira, annunciava: « Crediamo necessario aumentare l'insediamento dei portoghesi europei nella nostra Africa affinché ne facciano la loro terra, la trasformino nella continuazione del loro paese ». All'enunciazione della nuova politica è seguita, con eccezionale rapidità ed energia, l'attuazione. Nonostante V esodo di quattordicimila europei nell' anno della rivolta, i bianchi d'Angola sono saliti dai trentamila del 1930 ai duecentocinquantamila certi, ai trecentomila probabili di oggi (le informazioni statistiche sono vaghe; non saprei dire se queste cifre tengano conto o meno dei quaranta - cinquantamila soldati europei del corpo di spedizione). Si vuole arrivare, sembra, all'insediamento di cinquecentomila cioncai entro il 1970 (quando gli africani d'Angola, osservo per inciso, saranno cinque milioni: il rapporto sarà sempre di uno a dieci). I due ostacoli principali sono costituiti dalla scarsa popolazione della madrepatria (dieci milioni di abitanti) e dal costo dell'operazione. Ma quest'ultima difficoltà appare sempre più relativa man mano che l'Angola rivela finalmente le sue grandi ricchezze: ai motivi storici, ideologici, politici, della presenza portoghese in Africa, si unisce — e di anno in anno sta acquistando importanza preminente — l'interesse economico. Oggi come ieri, la maggior ricchezza della colonia rimane il caffè (più. di un terzo delle esportazioni), coltivato soprattutto nel Nord-ovest. E' la zona dove nel '61 scoppiò la riuoZta e ora continua la guerriglia attuale: anche questo elemento contribuisce a spiegare il perché di tanta spietata durezza nella repressione da parte dei portoghesi bianchi, proprietari per i quattro quinti dei duecentocinquantamila ettari di piantagioni. Ed al secondo posto seguono sempre i diamanti (dieci per cento del valore globale delle esportazioni), monopolizzati dalla Companhia de Diamantes de Angola che ha capitale in parte belga ed inglese dell'Union Minière, opera nel Nord-est alla frontiera col Katanga, nella zona abitata dal popolo lunda che è quello di Ciombé (il legame tra economia e politica di rado appare così chiaro). Dopo il caffè e i diamanti, le statistiche avrebbero fino a qualche anno addietro indicato al terzo posto qualche prodotto agricolo (o la pesca: i mari d'Angola sono favolosamente ricchi). E basta aver visitato qualche fattoria dell'interno (come la sterminata <Nuova Torino» dei piemontesi Pelizza ed Ozzello) per rendersi conto di quanto stupefacenti siano le possibilità di sviluppo nell'allevamento del bestiame, nelle culture di caffè, tabacco, mais. Ma gli Anni Sessanta vengono dai portoghesi orgogliosamente definiti come il « decennio del ferro »: da zero nel 1956, si conta di arrivare a quattro milioni di tonnellate annue. Al ferro sono interessati i tedeschi: in cambio di minerale, Krupp ha concesso un credito di una cinquantina di miliardi per migliorare le attrezzature del porto di MoCamedes e prolungare la fer- (prevedibilmente destinato forse ad aumentare, certo non a fermarsi), l'Angola diventerà entro pochi anni un paese irriconoscibile. Solo il correlativo, preannunciato insediamento di grandi masse bianche fa temere il pericolo di una situazione non più coloniale alla portoghese, ma di tensione razziale alla sudafricana. Sul piano sociale, si può dare atto a Lisbona dell'abolizione di alcuni tra i suol più intollerabili sistemi colonialistici: in particolare, del famigerato lavoro obbligatorio per i negri, vietato ora dalla legge, attenuato ed avviato alla scomparsa nella realtà. Ma analogo giudizio non può essere dato in tema di libertà politiche: non ostante tutte le proclamazioni comunitarie e l'effettiva, encomiabile mancanza di qualsiasi odio razziale, la. condizione « come cittadino » dell'indigeno rimane di fatto quella di un soggetto. E' un capo d'accusa che non potrà non continuare ad essere levato in Africa e nel mondo. Abituati a ragionare in termini di secoli, i portoghesi, oltre a contestare ogni imputazione, invitano alla calma: < il progresso politico dei negri verrà con la loro progressiva promozione sociale, economica, culturale ». E' un programma per i decenni, se non per i secoli venturi; e la storia incalza sempre più veloce, anche per le plebi africane. Spesso e volentieri, durante il mio soggiorno angolano, i portoghesi mi hanno condotto davanti alle scuole; ed era uno spettacolo rincuorante vedere sciamare via tenendosi per mano i bimbi dei bianchi, i bimbi dei neri; ed è con questa immagine che, ricacciando per un momento ogni umore pessimistico, chiuderò queste note dall'impero portoghese d'Africa. Giovanni Giovannini Il Portogallo europeo (con le Azzorre e Madera) ha una superficie di 92.000 kmq ed una popolazione di circa 10 milioni di abitanti. I suoi possedimenti africani (Angola, Mozambico, Guinea, Isole del Capo Verde, Sào Tome e Principe) si stendono su più di 2 milioni di kmq con 13 milioni di abitanti. (In Asia, sono portoghesi metà dell'isola di Timor — 15.000 kmq e 550.000 abitanti — e Macao — 16 kmq e 250.000 abitanti) rouia meridionale verso le miniere. Più che « del ferro », il decennio dovrebbe essere definito <del minerale». C'è il petrolio, prodotto già (con partecipazione belga) in quantità sufficiente per le necessità locali; e di certo c'è manganese, bauxite, oro, uranio, ed altro. Dove e quanto, è spesso impossibile dire: le prospezioni sono ancora incomplete, la nota definizione di < cassaforte appena dischiusa» forse si addice all'Angola più che al Katanga. I portoghesi danno qualche volta l'impressione di essere i primi a sorprendersi davanti alla rivelazione di tanta ricchezza: in ogni caso, però, stanno facendo l'impossibile per rimediare a cinque secoli d'inerzia. Dal 1° gennaio 1962 (ancora il solito riferimento cronologico), Lisbona ha iniziato lo smantellamento graduale degli intralci tariffari al commercio tra madrepatria e colonie, e conseguentemente di certe situazioni monopolistiche: cosa più importante, è passata da un ostile atteggiamento di rifiuto alla richiesta di interventi finanziari stranieri. Tra coloro che oggi operano in Angola ho già citato inglesi, belgi, tedeschi; potrei aggiungere francesi, americani, danesi (non italiani: l'unica nostra iniziativa, anche se su vastissima scala, è quella agricola dei Pelizza-Ozzello). Tra investimenti pubblici e privati, con finanziamenti l>roprì o altrui, si calcola die il Portogallo stia spendendo oggi in Angola qualcosa come un milione di dollari al giorno, duecento miliardi di lire italiane all'anno (una cifra approssimativamente uguale a quella che lio già indicato come costo della presenza militare). A visitare l'interno, si conferma e si accentua la prima impressione dell'arrivo a Luanda: è in atto uno sforzo eccezionale, un tentativo che non ha precedenti nell'impero portoghese, per trasformare la sonnolenta colonia di ieri in un paese progredito. Sono naturalmente i lavori pubblici ad avere una priorità. Il problema dell'energia è il primo ad essere ormai praticamente risolto con la costruzione, facilitata dalla grande ricchezza di acque fluviali, di molte e grandi centrali idroelettriche. Ora si sta affrontando quello delle strade che dalla costa si allungano sempre più verso l'interno di questa terra grande quattro volte l'Italia. E già la rete aerea è discreta: permette di ridurre a poche ore quelli che fino al '61 potevano essere viaggi di settimane. A Luanda, a Lobito, a Mocamedes, si lavora per creare porti moderni. «L'insurrezione del '61 — dicono i portoghesi quando sono in vena di sincerità — è stata una fortuna per noi: è stato uno schiaffo che ci ha fatto aprire gli occhi sul mondo, e sul tempo, di oggi ». In parte, è vero: da tre o quattro anni — ripeto a conclusione di queste mie note — Lisbona tenta di rispondere in tutti i campi alla sfida della libertà e dell'indipendenza africana. Può ragionevolmente sperare di uscirne vittoriosa, almeno in un futuro immediatof Sul piano della forza, la risposta appare oggi positiva. Abbandonati al loro de¬ stino dal Congo di Ciombè, controllati da un moderno e numeroso corpo di spedizione, poche centinaia di armati nascosti nelle foreste del Nord-ovest non possono sperare di trasformare la guerriglia o terrorismo di oggi nella guerra del '61. Solo se il Congo cadesse nelle mani dei suoi ribelli, il problema si ripresenterebbe, ed in forma ben più drammatica, lungo i duemila chilometri della frontiera fra i due paesi. Sul piano economico, al ritmo di sviluppo attuale

Persone citate: Giovanni Giovannini, Krupp, Madera, Moreira, Ozzello, Pelizza