La mostra dello svizzero Filippini pittore che non dimentica la realtà

La mostra dello svizzero Filippini pittore che non dimentica la realtà ; ARTI ED ARTISTI , La mostra dello svizzero Filippini pittore che non dimentica la realtà Ciò che subito colpisce e persuade in un pittore arditamente libero da remore accademiche, scolastiche, naturalistiche come lo svizzero Felice Filippini è il suo presentarsi con le carte della cultura in regola. Nessun ingombro pedantesco, s'intende, nessuna mitizzazione degli « uomini d'oro » (l'espressione, limitativamente riferita al Rinascimento, è di Giovanni Testori) dell'arte di ogni tempo; ma quando si sfoglia il mazzo di splendidi disegni che completa la sua mostra ora aperta a «L'Approdo », e ci si imbatte in una personalissima interpretazione dell'ellenistico Gallo moribondo del Museo Capitolino di Roma, immediatamente si capisce che l'impeto espressionistico di certi suoi quadri appesi alle pareti della sala muove da solide basi, è il punto d'arrivo, volontario e meditato, di un artista che non si appaga di improvvisazioni, per estrose e geniali ch'esse siano. Se poi il marmo asiatico non c'entrasse per nulla e si trattasse di una pura e semplice coincidenza formale, nulla cam bierebbe circa la definizione che ci sembra appropriata al Filippini. Il quale, abbinandosi con Renato Guttuso in una mostra del 1961 a Zurigo,) si è lasciato qualificare con coscienza tranquilla « pittore della realtà ». Il suo occhio, infatti, anzi il suo spirito, sia quando dipinge sia quando disegna, è sempre fisso all'immagine che per comune accettazione è detta « reale », cioè non fantasticata soggettivamente fino al suo dissolvimento nell'astrazione. Perciò l'arte « all'estremo soggettiva » di cui parla il poeta Giuseppe Ungaretti (ma ai poeti, ai letterati, tranne rare eccezioni, Baudelaire e pochi altri, non si chiede di far della critica) per questo ticinese che a quarantott'anni gode di una reputazione invidiabile — anche come scrittore — presso gli intenditori più esigenti d'Europa e d'America, è un giudizio da limitare fortemente. Del resto anche Franco Rtissoli, che presentando questa mostra torinese quasi scusa il Filippini di esprimersi con « immagini riconoscibili » invece che « in termini astratti o informali », riconosce in lui un « uomo profondamente legato alla realtà, proprio alla realtà di volti e di paesi, di avvenimenti ». Questa incontrovertibile costatazione non limita affatto la tematica poetica del Filip pini, il suo linguaggio avventante, eccitato, cromaticamente modulato su preferenze dichiarate, un rosso fiammante che conferma la sua inclinazione a « gridare », più che a palesare sommessamente la propria sensazione. E' una pittura che si potrebbe dire ispirata ad una continua ed entusiastica tensione sentimentale, ad un'ansia di toccare il diapason della sensibilità. E ciò d'altra parte, lo porta a finezze e delicatezze di colore che stanno al limite estremo della commozione: come quando ritrae il figlio musicista con te nerezza tutta paterna, o fa emergere dai fondi incerti figu re fantomatiche che vivono in un alone purissimo di luce. «Fervore dolce e inquieto a un tempo », ha individuato nel Filippini un critico acuto come Mario De Micheli, e Borgese ha sottolineato la sua inalterabile spontaneità. Non siamo invece d'accordo col Russoli, che scorge in lui una « ironica eleganza secessionista ». Filippini può essere di volta in volta drammatico o patetico, festoso, malinconico; non ci sembra che l'ironia porti una nota amara nella sua bellissima, appassionata pit- . tura. i mar. ber

Persone citate: Baudelaire, Borgese, Filippini, Franco Rtissoli, Gallo, Giovanni Testori, Giuseppe Ungaretti, Mario De Micheli, Renato Guttuso, Russoli

Luoghi citati: America, Europa, Roma, Zurigo