Il colore nel cinema

Il colore nel cinema MEZZO [NARRATIVO, NON ESPEDIENTE Il colore nel cinema Jacques Tati sta terminando un film ancora senza titolo; rivedremo monsieur Hulot. con la sua distrazione consueta e impassibile buonumore, battersi contro le follie del mondo industrializzato. Agnés Varda. cui alcuni fanno risalire la nascita della « nouvellc vaguc », Ila vinto con La felicità il Dclltic 106?. il premio che la Francia considera il « Goncourt » del cine-1 serma e clic prende nome da uno Iziodei primi critici c teorici del film. . Sia Tati 11. 4 che La felicità sono a colori. Non c'è, si può dire, grande regista (Chaplin a parte e qualche altro) che non abbia sperimentato, dal dopoguerra a oggi, questo nuovo mezzo espressivo Iniziò, con esiti artisticamente positivi, Olivier con Enrico V nel 1944; seguirono poi il Dovgcnko di Micuirin, sul botanico russo, il Pudovkin del lìortnikov. Anche Liscnstem girò una lunga ed esemplare sequenza a colori nella sua ultima opera : Ivan il Terribile. A cominciare dal 1953, pure i nostri maggiori registi hanno realizzato film a colori : Visconti, Senso e // Gattopardo; Fellini. « Le tentazioni del dottor Antonio » in Boccaccio '70; Pasolini, La ricotta. Senza contare il Rossellini di l'amila Va?ii/ii c il recente De Sica, che non rientrano peraltro nel contesto di un panorama culturale c artistico. E' sintomatico che il biennio iqÓ4-'65 veda l'esplosione del colore nel cinema, con intenti c risultati positivi o comunque stilisticamente interessanti. Oltre a Tati c alla Varda, debuttano nell'impiego del nuovo mezzo pitvofilmNsti nerc rvatte, quna,sata « dustusenstafilsutuscfenetelYladvaloseramhaglpegiverevuvccsa1espressivo Rcsnais con Muriel c, mquasi contemporaneamente, il | sBcrgman di A proposito di tutte queste signore e l'Antonioni di Deserto rosso e della prefazione al film con la Soraya. Sembra che la prima fase della cromocinematografia sia superata, che si stia entrando in una seconda non più tecnicamente sperimentale — a parte gli esempi all'inizio accennati — o semplicemente commerciale. La diffusione del cinema a colori dipese soltanto dalla maggiore o minore facilità del suo impiego industriale. Come già il sonoro, gli schermi panoramici, i tentativi sinora rientrati della stereoscopia, esso venne e viene usato da Hollywood quale espediente per arginare la concorrenza europea c delle giovani cinematografie sorte nel dopoguerra : come qualcosa di « aggiunto », di « addizionale » al fonofilm. Si sa che il pubblico deve essere sempre riconquistato, e ogni volta con nuove, clamorose attrazioni. L'aspirazione, la tendenza al colore, risale tuttavia alla nascita stessa del cinema, addirittura al Teatro ottico di Emile Reynaud. « pittore di film ». E ricordiamo ancora i film muti stampati su pellicola colorata, «virati»: le scene rosseggiami di incendi, i notturni blu. i paesaggi verdi; c poi quelli in cui le immagini, rifacendosi a Rcvnaud. erano dipinte a una a una. Persino un regista quale Stro lieim non disdegnò tale procedimento: colorò a mano alcune sequenze di Sinfonia nuziale e Rapacità. L'aspirazione al colore è presente anche nei primi teorici del cinema; e con essa le prime profezie. Un giorno, scriveva sin dal 1911 Ricciotto Canudo. si arriverà senza dubbio alla scoperta del film cromatico. La tecnica dotta legge, avvertiva qualche anno dopo Leon Moussinac; si arricchisce con una rapidità mai conosciuta da nessun'altra arte: domani avremo il sonoro, e doman l'altro il rilievo, il colore e così via. Il cinema uscirà dalla sua « età ingrata » per entrare nella giovinezza : « sarà adulto per i nostri pronipoti ». Oggi ce ne siamo accorti tutti: col bianco e nero oltre a certi limiti non si va più; è un mezzo che usiamo da troppo tempo, c comincia a mostrarsi logoro. Così dichiarava Antonioni nell'accingersi a realizzare Deserto rosso. Perché sono a colori La felicità e Muriel e Deserto rosso': Alla domanda Agncs Varda risponde: il soggetto del film si può raccontare ancor meno bene in bianco e nero; tutti i personaggi sono colorati dall'estate. « vorrei che questa suscitasse l'emozione che provo dinanzi alla pittura impressionistica ». E Rcsnais: il colore richiama con lorvi lmtcrtssdIcviolenza ciò che abbiamo dcsi-dcrato nell'infanzia, «ed io vo- glio sempre tener presente il sempre bambino nell'adulto ». La vicenda di Deserto rosso, risponde Antonioni, è strettamente legata all'ambiente in cui vivono i personaggi, ed essa non poteva essere raccontata che a colori: il paesaggio, le cose che stanno in¬torno a Giuliana, la pmt-.'goni-sta, hanno una funzione chiariti-catrice. giustificano a esempio lasua crisi depressiva. Giustamente.Moravia osserva che Antonioni ha scoperto i colori dell'angoscia, che il regista ha fatto dire « alle cose tante cose »; che, co-me nelle rappresentazioni della sere », un ziotie che o c a o pittura informale, si direbbe talvolta essere il tempo, nel suo film, la figura umana Non a caso altri registi, rimasti fino a ieri fedeli al bianco e nero — come appunto Bergniau c rollini e Rcsnais — hanno provato, c quasi contemporaneamente, la stessa necessità del colore: questo ha intatti nella vita odierna, industrializzata, dei « bencsignificato e una funnon aveva nel pas¬ sato La vita d'oggi ci costringe a vivere circondati dai colori, « dentro di essi » Non si tratta, si intende, di usarli nel cinema 111 modo naturalistico, ma come 111 pittura, senza peraltro approdare a una staticità in genere il colore, nel film, si eia limitato c si limita a subite, lotografarc la realtà; tutt'al più accentuandola con la scelta dei costumi e con gli effetti di luce, come a esempio nella famosa sequenza dei mantelli rossi in tìecky Sharp di lYlamoulian. Adesso si tratta di adoperarlo in funzione narrativa: accettarlo come il regista solo trova davanti, e un po' coniose un pittore cominciasse a lavorare su una tela già dipinta a metà, afferma Antonioni. i£d egli ha fatto un film a colon, scegliendoli in ogni inquadratura. per legare appunto il personaggio all'ambiente, fare opera d'invenzione. Oltre al problema di respingere i colori naturali, per poi rinventarli secondo il dettato di una esigenza intcriore e narraci va, c'è la quistione che essi non costituiscono neppure un « fatto certo ». Già in un suo lontano saggio su Hegel c il colore, nel 194:, Antonioni al riguardo ri¬ mnil-.ninil tesi« nfoacsintadtofivclabcdrmmnptmcd , mandava a Matisse: per uno l | stesso oggetto non esistono co- e i e a e a nogo il i, la e erni ogoeo, oal ira yiuti a, mi eui va. o dine e lori fissi; un papavero può esse re grigio, nera una foglia, e verdi non sono sempre erba, ne i blu sempre ciclo. « Anche i colori durano poco ». Non sono mai gli stessi, si trasformano con tinuamente. Di qui, pure, la necessità di tenersi lontani da una riproduzione magari tecnicamente perfetta ma naturalistica, senza seguire, come diceva Eisenstein, un immutabile catalogo di colori-simbolo, obbedire a una Ie?gc immutabile di significati c corrispondenze. D'altra parte i colori non debbono distrarre dalla vicenda « Immaginate un Picasso del periodo blu. Guardate il blu c dite: "Che bel quadro!". Siete forse distratti dal colore? Crc dete che esso non abbia relazione alcuna con il contenuto della tela? Io non lo credo. Salve tutte le proporzioni, dovrebbe essere la stessa cosa per Deserto rosso ». Nel suo ultimo saggio, scritto alla vigilia della morte, Eisenstcin osservava che un buon film colori non è affatto quello in cui non ci si accorge del colore che. come ogni altro mezzo espressivo del cinema, c neces sario là dove proprio esso e sol tanto esso si dimostra l'elemento più appropriato per esprimere pienamente quanto, in un dato momento dell'azione, deve essere suggerito, o detto, o finito di dire; che il colore va considerato — come appunto lo considerano Antonioni e Bergman e Dovgenko — quale elc- mano centrale tra gli altri eie-1 nienti centrali del film. Antonioni rimanda appunto ad l-.isenstcin quando afferma clic non esiste il problema del colore in se; che esiste, come sempre, il cinema di cui anch'esso fa parte, come aspetto del fatto espressivo, drammatico, narrativo. « Più il problema del colore viene assorbirò dagli altri problemi fondamentali del cinema, c più acquista una sua funziono ». l-V significativo che proprio Antonioni avvertisse, già nel suo lontano saggio su Hegel, che i tradizionalisti non avrebbero dovuto farsi illusioni : « cosi come a fianco del sonoro, il muto è diventato intollerabile, a fianco del colore, il bianco t nero novera la medesima sorte ». Il film cromatico relegherà il bianco c nero in un angolo di cantina o di musco? L' sempre difficile fare previsioni in materia d'arte, c del resto il problema si presenta un po' diversamente rispetto all'avvento del sonoro: il disegno rimane pur .sempre accanto alla pittura. E' corto comunque che le cose stanno mutando ancora una volta nel cinema, e che si debbono prendere le « misure necessarie ». Guido Aristarco

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