Ripresa degli spettacoli alfieriani ieri ad Asti con l' «Agamennone» di Francesco Bernardelli

Ripresa degli spettacoli alfieriani ieri ad Asti con l' «Agamennone» Ripresa degli spettacoli alfieriani ieri ad Asti con l' «Agamennone» La tragedia rappresentata dalla compagnia di Renzo Giovampietro (Dal nostro inviato speciale) Asti, 8 marzo. Dopo qualche anno di silenzio, si sono riprese ad Asti le rappresentazioni delle Tragedie dell'Alfieri a cura del Cen Irò Nazionale di Studi Alfierioni, presieduto da Lorenzo Gigli. Quanto sia benemerita questa istituzione dovrebbe essere superfluo dire. Il Centro, istituita qui, in Asti, una Casa dell'Alfieri, va ristampando in splendida edizione tutte le opere dell'autore del Saul, mirabile impresa. Ma dal 1949 cura anche roettacoli alfieriani, nella convinzione ch'essi possano non solo essere restituiti alla ribalta con ampiezza di respiro, ma che riescano ad attrarre il gusto, la sensibilità tragica del pubblico d'ogg La «Compagnia di Renzo Gio vampietro », ha rappresentato " , ., i . .. ., r* i, r "CV una ,",,--n^n l'Agamennone. E' una curiosa tragedia, quella che taluni dis sero la meno alfieriana di tutte, quasi una « tragedia bor ghese »: certo la più morbida, smorzata, « intimista », la più psicologica se la si para gona a tante altre sue, così serrate nello stile, così bloc cate nell'impulso, nel clamore delle passioni e del destino. La critica si è soffermata con sot tile indugio sulla figura di Clitennestra. La regina lussuriosa crudele assassina, la druda che nell'alcova è colta dal de lirio del delitto, e nell'alcova spegne i rimorsi, l'angoscia, il terrore e, nella tragedia dell'Alfieri, un personaggio serri plice, molto meno leggendario e fatale, molto più realistico e quotidiano; è una moglie im pigliata nell'adulterio. Tutto ciò va detto e inteso in senso relativo; non dimenticando che si tratta di saghe barbariche, di vendette enormi, di stragi volute da una imperscrutabile volontà. E' bastato all'autore calare un po' il tono, attenuare colori e creature, cercare i moventi dell'azione scrutare i cuori, dedurne un dialogo più corrente, analizzatore e dialettico: un dialogo — scrisse Mario Fubini — che « si abbassa verso la prosa », perché i personaggi appaiano « non troppo lontani dall'umanità quotidiana », perché si avverta con una certa sorpresa la diversità e la distanza tra il mito illustre e questa opera teatrale ben snodata e articolata, che si addentra nei segreti pensieri, e li manifesta, ora con immediatezza confidenziale, ora con qualche artificio. Così Egisto è senza dubbio uno splendido personaggio scenico, la sua capacità di fare il male, l'accortezza feroce, la simulazione, i tradimenti, quel senso diabolico di cui è intrisa ogni sua parola, ben ce ne danno l'aspetto di aizzatore della perfidia, di raggiratore infame. Egli riesce a far sua la coscienza di Clitennestra, a impossessarsene, a violentarla, a sospingerla al delitto con un'astuzia che affascina. Troppo; veramente troppo. A un certo punto egli si autode nuncia, e ci appare in un artificio così calcolato, cosi lo di dolor moriva, Se più veder te non dovea; ma almeno Innocente moriva: or, mal mio grado, Di nuovo già spinta al delitto orrendo Son dal tuo aspetto... La citazione è d'obbligo, diremmo scolastica, ma è inevi tabile a definire i termini ed il tono della tragedia, che va dall'intenerimento familiare alle lugubri pendici dell'inferno; un cuore di donna non tutto malvagio, non sadico e bruciato, ancor sensibile, nel crepuscolo del sentimento, alle dolci memorie, e il furente scatenarsi della femmina iniqua ohe, nel letto complice, uccide, colpo su colpo, il marito, e ne esce come accecata per sempre, lorda di sangue. Per tutte queste ragioni non è facile mettere in scen-. ['Agamennone. Non ne è facile la dizione, con quelle fuggevoli languidezze, con le morbide ricerche psicologiche che si insinuano nel discorso tutta- premeditato e scoperto, che ti strappa alla poesia per ributtarti sul palcoscenico. Attimi, d'accordo; ma in questi improvvisi scadimenti si rileva con la novità tragica una specie di incertezza inventiva: ci troviamo un po' al di qua della linea della tragedia, in una zona più descrittivamente drammatica, quasi sospesi in una insoddisfatta perplessità. Alfieri — nel suo « parere » — ne vanta in certo modo «l'arte di dedurre le scene e gli atti, l'uno dall'altro », ossia, diciamo noi, la composizione abile, crescente, ricca di affetti, di effetti, di scorci. Agiungeremo che è proprio da questo artificio tipicamente teatrale, e dall'intenzione psicologica scaltra e affabile, che è nata l'aura particolare, il più sommesso suono di questa tragedia che in se stessa è piena di urli rappresi. Così Alfieri ha potuto tratteggiare la sua Clitennestra che può apparire perfino dolce e tenera: docile, sottomessa all'amore, intenerita, e che coltiva dentro di sé il canoro spaventoso della libidine, dell'odio, della morte. Clitennestra è schiava di Egisto; è la tipica, la comune schiava dell'amore; donna borghese, madre bonaria, o prostituta e viziosa, è la donna che non resiste all'amore, ma gli si abbandona intera, che non combatte con l'amore, ma lo subisce come un soave incantesimo, come una tenerezza quasi innocente, e si trova poi il cuore annodato da un viluppo di serpenti. Non sappiamo se Egisto rappresenti, come taluno ha scritto, la coscienza di Clitennestra che a poco a poco si pervertisce, che alla donna avvelenata dall'amore arma la mano. Certo Egisto è lì, presente, tragicamente e scenicamente irresistibile, per condurla all'orrendo uxoricidio. Questo dialogo intrecciato sull'orlo dell'abisso, questa donna sospinta al crimine con Uvità demoniaca, una lontana, possibile innocenza così turpemente stravolta, sono i motivi che più ci commuovono. Alla stretta ultima, chiusa ormai nell'imminente delitto, Clitennestra grida: via aspro e ispido. I ruvidi accenti alfleriani convogliano, e a volte nascondono, e qualche volta rivelano la patetica intensità dei personaggi. L'intonazione media della tragedia va sostenuta, aita, perché quello è il linguaggio dell'Alfieri; ma l'accesa eloquenza, la Tettonica, il grido non debbono soffocare il controcanto implicito, le finezze intime. A trovare il giusto fraseggio, il ritmo rotto e rozzo, irritante e carico di preromantici sentimenti, ci vuole pazienza, minuziosa preparazione e scaltrezza. Renzo Giovampietro è un bravo attore coraggioso, che sa fare queste cose Con il suo amore della nobile letteratura, con rispetto puntiglioso e onesto, si avvicina ai testi illustri, ai classici, li porta alla ribalta. C'era- no in sala molti giovani; equesto è molto bello. Giovam-Pietro rappresentava Egisto; aitante, fiero, con il volto ben modellato e il fare semplice, nella tunica bianca che Io faceva quasi statuario, egli ha dato al tristo personaggio una vasta solennità. Non è stato il suo un personaggio subdolo o soltanto subdolo, ma una figura che ancor ri- ce e oa ; to igrnaooe e a tvsa- sente della sua nascita dal mito. Forse nel sillabare, nell'aocentuare l'incisività e il ritmo del testo alfieriano, egli; è talvolta andato troppo in là; ma la composizione del grosso personaggio è stata dignitosa e intensa. Intorno a lui, eccellente capo e regista, c'erano gli attori Andrea Bosic, Agamennone, Marisa Belli, Clitennestra, Mariella Furgiuele, Elettra, che apparvero subito ben impegnati nella difficile rappresentazione: il Bosic con una dizione pacata e imperiosa; la Belli, appassionata ed espressiva, ma che si è abbandonata a qualche intonazione melodrammatica; la Furgiuele, candida e acerba. Lo spettacolo fu così degnamente composto in una misura che non si perImise mai, per guadagnare un ejeffett0i aj KUastare ie paroie. m- Le quali, nei teatro di prosa, o; |sonQ poi tutto n pubbIico che gremiva il Teatro «Vittorio n e, aa o è o o, i- Alfieri » ha seguito lo spettacolo con intensa curiosità, con crescente attenzione ed ha salutato gli attori con cordiali, vivaci applausi, con ripetuti battimani. Francesco Bernardelli IMIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIUMMIIIIII

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