«Semion Kotko» di Prokofiev a Napoli in prima italiana

«Semion Kotko» di Prokofiev a Napoli in prima italiana «Semion Kotko» di Prokofiev a Napoli in prima italiana Il libretto tratto da una novella di Katajev: è la vicenda d'un artigliere ucraino che ritorna al villaggio, dalla fidanzata, dopo quattro anni di guerra - Lo spartito, ricco di folclore rielaborato in una ricca prospettiva polifonica, ha ottenuto un cordiale successo (Nostro servizio particolare) Napoli, 5 marzo. Sergei Serghjevic Prokofiev lasciò la natia Russia all'indomani della Rivoluzione d'ottobre. Ma non fu un fuggiasco, al pari di molti intellettuali o aristocratici, travolti dall'avvento del nuovo regime: Prokofiev partì con tutti i crismi della legalità, munito di regolare passaporto, rilasciatogli da Lunaciarski, commissario del popolo alle Belle Arti. E si racconta come questi, nel consegnare il documento al musicista, gli dicesse accorato: «Voi siete un rivoluzionario nell'arte, come noi lo siamo in politica: non ci dovreste lasciare proprio ora...». Mutevoli sono gli umori delle dittature nei riguardi dell'arte: tanfo vero che trenfauni dopo queste belle parole di Lunaciarski, la Pravda del 10 febbraio 191,8 pubblicava la famosa risoluzione del Comitato centrale del partito contro l'arte formalista, borghese e occidentalizzante: attacco di cui Prokofiev — da tempo volontariamente rientrato in patria, e tutfaltro che frondista verso il regime — costituiva il traguardo principale. E, primo fra tutti, anche Prokofiev dovette compiere atto di sottomissione, e ringraziare le sfere politico-burocraticlie per i « preziosi consigli... » Prokofiev si spense nel marzo del 'SS, a poche ore di distanza da Stalin; non potè quindi conoscere, a differenza dei suoi colleghi — fra i quali Sciostakovicli — il nuovo eli ma del disgelo, e i più liberali indirizzi dell'apparato in materia d'arte. Sì che tutta la sua produzione dell'ultimo periodo rimase condizionata, Guerra e pace compresa, — e non senza un intimo e inconfessato cruccio dell'artista — alle contingenti circostanze politiche. Premessa necessaria, questa, per poter intendere il significato e i limiti della sua opera lirica Semion Kotko, che il Teatro San Carlo, ospitando i complessi dell'Opera Nazionale di Sofia, ha presentato stasera per la prima volta in Italia. Tratta da una novella di Katajev, la vicenda si accentra intorno all'artigliere Simeone che rientra al villaggio natale dopo quattro anni di guerra, e vi ritrova in fedele attesa la fidanzata Sofia. Ma irrompono nel villaggio i tedeschi che appoggiano i controrivoluzionari ucraini, fra i quali è il vecchio Tkacenko, padre di Sofia. Cade fra le vittime il marinaio Zariov, pianto dalla fidanzata Liubka, mentre Simeone riesce a fuggire tra i partigiani; rientrerà in tempo — ritirofisi i tedeschi — per impedire le nozze con il reazionario Klembovski, cui il vecchio vorrebbe costringere la riluttante Sofia. E ti popolo inneggerà alla rivoluzione vittoriosa. Intorno ai protagonisti si muove una piccola e pittoresca folla di figure e figurine, profilate dal musicista con espertissima mano, con incisivi tocchi di colore: onde proprio in questa pittura ambientale e paesana, in questa aneddotica semplice ed accessibile, si individuerà la nota saliente di Semion Kotko, pur avvertendosi il disagio del musicista nel trapassare dall'incandescente atmosfera dell'Angelo di fuoco a tali annotazioni di cronaca, che ancora non sono storia, né tanto meno epopea. E si ricorderanno il trepido colloquio notturno fra Simeone e Sofia, non meno che l'ostinato disegno ritmico sottolineante il pianto di Liubka, fra i passi più felici dello spartito, in cui Prokofiev ha introdotto larghe citazioni desunte dal ricco e suggestivo folclore ucraino. Mentre la costante ma inadempiuta aspirazione all'epopea — nessuno tra i molti personaggi, prota¬ gonista incluso, assume uno spiccato rilievo scenico — tocca un parziale traguardo nel grande coro del quadro quinto; ove l'ampia e articolata prospettiva polifonica riecheggia gli accenti della più insigne tradizione russa. L'esecuzione dei complessi dell'Opera di Sofia, affiancati dall'orchestra del San Carlo, e affidata alla direzione eguiJibrata ed espressiva del maestro Michail Anghelov, è stata ammirevole per l'omogeneo spirito di « équipe » e per la disciplina musicale e scenica, esemplarmente provvedendo alla regia Nikolai Nikolov, sullo sfondo delle semplici, quanto efficaci, scene di Konstantin Radev; fra gli interpreti principali si ricordano il protagonista Iordan Snamenov, Katia Popova nelle vesti di Sofia, e Liliana Bareva in quelle di Liubka, Pavel Ghergikov quale Tkacenko. Direttore, interpreti e collaboratori tutti sono stati festeggiati a lungo, e molto cordialmente, dal pubblico che affollava la bella sala del San Carlo. g. b. a.

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