Polemica sull'«Infinito» di Leopardi

Polemica sull'«Infinito» di Leopardi e e l l Signor Direttore, che il Leopardi in un primo tempo avesse scritto « infinità» invece di « immensità > nel penultimo verso dell'/n/lnifo, è vero ed è testimoniato anche dalla stampa apparsa nel « Nuovo Ricoglitore * di Milano del 1825 e nell'edizione bolognese curata dal Brighenti del 1826. Ma nell'edizione del 1831 del Piatti di Firenze, curata dall'amico del Leopardi, Antonio Ranieri, ed in quella del 1835 dello Starita di Napoli, «edizione corretta, accresciuta e sola approvata dall'autore», come è detto esplicitamente nel frontespizio, compare non «infinità» ma «immensità ». Inoltre dell'edizione dello Starita, che è l'ultima uscita mentre era vivo il Leopardi, esiste l'esemplare corretto — di proprio pugno — dal Leopardi, e dal Ranieri sotto la sua direzione, che si conserva nella Biblioteca Nazionale di Napoli. E su questo esemplare, indicato comunemente tra gli studiosi come l'edizione « Starita corretta », e seguito ormai da tutti gli editori dei canti leopardiani, a cominciare dal Moroncini che lo riprodusse fedelmente fin dal 1927. la parola «immensità» non è affatto corretta. Quindi essa rappresenta l'ultima volontà del Leopardi stesso, che ebbe le sue buone ragioni, linguistiche ed estetiche, per preferirla alla precedente. Rimanga la parola « immensità» che il poeta da ultimo voi le come la più aderente al suo sentimento, ed i lettori tutti hanno accolto dal De Sanctis, che fu il primo grande ammiratore e studioso del poe ta di Recanati. Ringraziando dell'ospitalità, saluto distintamente. prof. Alberto Simone del Liceo Classico Torquato Tasso Roma, febbraio 1965. Signor Direttore. credo che il dubbio sollevato da Mario Mazzarelli (al quale mando un cordiale saluto) sul passo dell'* Infinito » di Laopardi: «...Cosi tra questa Immensità s'annega il pensier mio: » possa ricevere una facile soluzione Non è decisivo il fatto che nell'autografo dell'idillio leopardiano conservato neUe « Carte napoletane » la parola «immensità» sia cancellata e sostituita da « infinità ». E' da preferire sempre l'ultima stampa all'autografo trattandosi di poesie pubblicate in edizioni curate dal Leopardi stesso: edizioni che sono, a mia notizia, due: la fiorentina del 1831 e Ir napoletana del 1835. La prima edizione dell'/nfi«ifo nel « Nuovo Ricoglitore » di Milano del dicembre 1825 e la sua prima ristampa nella edizione dei «Versi » fatta a Bologna nel 1826 danno la lezione « infinità »; ma le edizioni posteriori dei Confi sopraricordate hanno sempre * immensità »: è perciò certo che questa lezione corrisponde all'ultima volontà del Poeta. Io ho potuto consultare un esemplare della edizione napoletana del 1835 (la Starita) recante correzioni fatte dallo stesso Leopardi: sono perciò anche materialmente certo che essa fu da lui curata. E certo il vocabolo « immensità » appare meglio atto a dare il senso dell'infinito insieme temporale e spaziale che il Poeta vuol suscitare nel lettore. Distinti saluti. prof. Enrico Alpino Genova, febbraio 1965. Signor Direttore, su «La Stampa» del 18 febbraio, Mario Mazzarelli avan za il dubbio: se nell'M/lnlto del Leopardi, al v. 14, si deb ba leggere « infinità », come portano i due autografi noti di quei versi, o «Immensità», come recano l'edizione del Flora (Classici Mondadori) e tutte le altre; tanto più che «infinità » negli autografi è correzione di « immensità » La risposta si trova nella nota all'Tn/inifo dello stesso Flora (edizione citata, voi. I, p. 1113) Qui infatti sono riferite tutte le correzioni degli autografi, che, curate dal Leopardi, ne testimoniano le scelte successive. Ora, se negli autografi (e cosi nelle edizioni del «Nuovo Ricoglitore» e di Bologna, del 1826) «infinità» scaccia « immensità », nell'edizione liorentina dei Canti (Piatti. 1831) e in quella napoletana (Starita. 1837) « immensità » è di nuovo preferito al suo concorrente. Le Opere complete del Leopardi, curate dal Flora, nei C i Classici Mondadori, sono state più volte riedite: il volume delle Lettere, cui si fa più diretto riferimento, dopo la prima edizione del 1949 è uscito successivamente nel '55, nel '59 e nel '63. Nelle due ultime ristampe la lettera (di proprietà del dott. Mario Mazzarelli) del 22 luglio 1829 ad Antonietta Tornmasini è stata ricollazìonata su fotografìa dell'autografo che il suo possessore inviò gentilmente al Flora e, mentre nella prima edizione si diceva che era sconosciuta la sorte dell'autografo, in quelle si indicava esplicitamente il nome del possessore. Con il più distinto ossequio per la Redazione dei Classici Mondadori Enrica Bianchetti Milano, 24 febbraio 1965. Ringrazio gli egregi interlocutori che hanno arricchito di considerazioni preziose i termini del « quesito » leopardiano. Ma l'interrogativo sulla scelta, precisa, del Leopardi fra «infinità» e «immensità» [voluta al momento della creazione poetica (1819) e ripetuta ancora nel 1830, dopo undici anni — e quali anni.' — di pensamenti e ripensamenti] resta col suo alone di incertezza e di dubbio. Le edizioni dei Canti — Firenze, Palermo, Napoli — vennero « curate », dal 1831 in poi, dal Ranieri e non è da escludere — anzi ragionevolmente da ritenere — che la lezione «ricorretta » possa e debba essere stata influenzata da lui (non vale, certo, l'accenno del Leopardi, nella lettera al De Sinner, di poesie «disapprovate e rifiutate » a sancire un terzo «ripensamento» circa il nostro endecasillabo). Quanto al Ranieri (personaggio di buona erudizione letteraria, ma altrettanto curioso di tesori libreschi quanto di vezzi femminili), è noto ch'egli esercitò sul Leopardi una suggestione che potremmo Qualificare ossessiva: è l'uomo che « soltanto un fulmine di Giove » potrebbe dividere dal fianco suo, l'amico la cui « congiunzione è la maggiore che possa essere », l'unica e sola « causa vivendi » del poeta... D'accordo con gli interlocu¬ mm«edcub tori (io non avevo osato esprimere preferenzeI che, per l'armonia, del verso, la parola «immensità» dà un senso più effuso e disteso all'immagine del Poeta. Ma è anche vero che la ripetuta correzione, di pugno del Leopardi, attesta una volontà insistente martel laute (che echeggia in più tempi anche nelle note dello Zibaldone) di affidare alla parola «infinito» il concetto della più alta e ansiosa aspirazione umana verso il mistero del presente e l'inconoscibile della vita futura. Né si può pensare che avrebbe sacrificato, il Poeta, al miglior suono o all'armonia d'un verso, una più imperiosa e profonda concezione ideologica. L'« immenso » ha una dimensione, cioè un limite: non ce l'ha l'« infl nito ». Mario Mazzarelli Polemica sull'«Infinito» di Leopardi Nel penultimo verso, si deve leggere «immensità» o «infinità»? - E' risposta unanime che il Poeta, nelle ultime edizioni a stampa della sua opera, approvò « immensità »; e che questa parola sembra più felice - Restano valide, tuttavia, due considerazioni: sulla scelta del Leopardi potè pesare il consiglio dell'amico Ranieri; le due parole non sono sinonimi - «Infinità» non ha dimensione, sembra racchi 'ere il mistero del presente e del futuro , — LETTERE AL DIRETTORE ,