La vocazione del falso

La vocazione del falso r—— DIFESA DELLA LINGUA , La vocazione del falso Il linguaggio moderno, infarcito di espressioni tecnologiche, abusa dell'eufemismo e di parole forzate a sproposito «Seviziare» sostituisce «far violenza»; i critici «leggono» i film; «platonico» diventa sinonimo di «sterile» Si fa un gran parlare del nuovo linguaggio tecnologico che. secondo l'accorato annuncio di Pier Paolo Pasolini, sarebbe per dare agl'Italiani volenti o nolenti la tanto sospirata « lingua comune ». Con la speranza che non sia vero, e nell'attesa che una nuova Commedia e un nuovo Canzoniere vengano a ratificare in sede letteraria polivalenza, impulsi autonomi, convergenze parallele, interdipendenze strutturali e altre perle siffatte, si può intanto notare che uno dei caratteri meno appariscenti ma perfettamente osservabili già oggi del nuovo Idioma, è l'incrudita disposizione eufemistica, sulla cui portata ci aperse gli occhi Nora Galli de' Paratesi con le pagine del suo fortunatissimo trattato Semantica deii'eu/emismo (ed. Giappichelli, Torino). Codesta figura, nata dal civile riguardo di lenire il troppo crudo, quando sia eletta a sistema, diventa il modo più sicuro per fossilizzare la lingua in moduli vieti (come sanno i teleascoltatori), alienando dalla parola il principio della proprietà. Su segnalazione di qualche lettore scerpiamo poche pianticelle dalla foresta delle parole barattate per effetto d'un falso sentimento di interdizione. Il seccatore che avrebbe diritto a esser chiamato con quel nome, non appena s'avventuri a parlare di principi!, si abbella col titolo di moralista; e poiché nella lingua non si può dare da una parte senza togliere dall'altra, immediatamente ci scapitano i moralisti veri, onorata categoria che comprende anche i più spregiudicati investigatori del cuore umano. Platonico, come aggiunto di amore, si trova già nel Tommaseo; ma chi legga la bella definizione datane da quel sapiente — «quello che nel corpo ama l'anima, nelle forme umane contempla l'Idea; che si perfeziona, perfezionando» — si avvede non trattarsi punto di un mezzo amore ma dì un amore intero, anzi dell'unico amore, chiamato una volta sentimentale, veramente degno di quel nome. Passi ancora tale abbaglio, entrato da molto tempo nell'uso come frase fatta, e dove il filosofo, per la prossimità di quel sostantivo, salva tuttavia la faccia. Ma nell'abuso odierno platonico designa eufemi sticamente ciò che è parvente, sterile, irane; è il contrassegno delle imprese «In bianco» e delle proteste senza effetto, e quasi una patente d'imbecillità, troppi visoni entrando in essere fra le resistenze platoniche del mariti. Più rilevato è il caso dì seviziare. Per evitare una parola grave (violentare, violare, far violenza e simili) si dà In un'altra anche più grave, che esprime l'idea, non necessariamente compresa nella prima, di crudeltà. SI legge nelle cronache t Arrestato il giovane bruto che seviziò il piccolo chierico », « Quattro ragazzi tentano di seviziare una studentessa », trovandosi poi sotto che la sevizia, la quale sarebbe stata un'aggravante, non c'entrava. I puristi non posero neppure la questione, perché per loro la parola non aveva corso. E al suo primo apparire, uno di essi, il prof. Cerquetti, vi attaccò una satira contro i troppi desostantivali: «Che ne pensate, signori maestri della lingua dell'avvenire? Vi piace seviziare? Accoglietelo pure e b/andisiateio. Così ne potrete doviziare l'odierno serraglio. Io però, non volendo sporciziare più inchiostro, vi saluto, e fo punto. » La ragione per cui da Sevizia non si dovrebbe poter fare seuiziare, è che essa è voce della lingua latina, la quale non ebbe seviziare ma saevire, onde poi saevitia, e che da una lingua morta si devono prendere le parole che ci sono, e come sono. Del resto quel neologismo è inutile all'italiano che ha già Incrudelire, torturare, cruciare. Alla tentazione di nobilitare la parola sostituendola con un'altra che non le corrisponde, è da attribuire anche la fortuna del verbo proporre, testimoniata nell'ultimo festival della canzone di Sanremo, ove udimmo la presentatrice annunciare che il tal cantante « avrebbe proposto » la tal canzone. L'area semantica del sussiegoso e problematico Proporre si allarga insieme con quella di Leggere, caro non solamente al saggisti cinematografici, cui parrebbe poco vedere un film come fanno tutti, ma oggi anche ai critici e periti d'arte, uno dei quali, a proposito del vandalo degli Uffizi, ci parlò d'una sua lettura delle parti danneg giate dei singoli quadri. Si propone, si legge, si sottolinea, si ridimensiona a man salva. Sono i primi vagiti di una lingua nuova, allattata con lo smojf, che secondo l'oroscopo pasolinìano avrebbe aspettato l'anno di Dante per giubilare la vecchia. Leo Pestelli uiiiiiiiiiiiiiiMiiiiiiiiiiiiiiiiiiimiiiiiiitMiniiiii

Persone citate: Cerquetti, Leo Pestelli, Nora Galli, Pier Paolo Pasolini, Tommaseo

Luoghi citati: Sanremo, Torino