Difficili scelte per la «piccola Inghilterra» tra l'Europa e il fantasma del Commonwealth di Alberto Ronchey

Difficili scelte per la «piccola Inghilterra» tra l'Europa e il fantasma del Commonwealth L'ECONOMIA BRITANNICA DOVE PUÒ9 TROVARE NUOVO SLANCIO? Difficili scelte per la «piccola Inghilterra» tra l'Europa e il fantasma del Commonwealth Sulle molte cause tecniche dell'attuale ristagno, prevale un motivo storico-politico: le isole britanniche, perduti i mercati imperiali, non si sono integrate in una grande «zona di sviluppo» - I conservatori prima di Macmillan hanno tentato, senza successo, di far concorrenza al Mercato comune con l'« Area di libero scambio» - De Gaulle ha respinto la tardiva vocazione europeistica dei « tories »; i laburisti non hanno simpatia per il Mec e guardano soprattutto al Commonwealth - Ma le ex colonie, paesi depressi appena entrati nell'«èra della bicicletta», sono cattivi clienti per l'industria inglese e non offrono alcuno stimolo al suo urgente risveglio (Dal nostro inviato speciale) Londra, febbraio. «Vi piacerebbe che la gente dicesse che gli inglesi sono un popolo simpatico ma non hanno più quattrini?». Cosi 10 svedese Per Jacobsson, del Fondo Monetario Internazionale, riassumeva ver il Manchester Guardian le prospettive della Gran Bretagna qualche anno fa. Oggi si pone un'altra, domanda: basta 11 piano laburista a scuotere l'Inghilterra? Sulla decadenza economica inglese esistono a Londra infinite « scuole» d'interpretazione. Ciascuna si afferra a una causa specifica, o vede soprattutto v.n dettaglio, secondo il suggestivo fenomeno delle testimonianze discordi in buona fede. L'argomento più diffuso è che l'Inghilterra non s'è adeguata alla fine dei mercati coloniali protetti. Poi vi è chi accusa la posizione della sterlina, il sistema monetario internazionale (ma nel senso inverso alle proteste di De Gaulle) e la «schiavitù dell'oro ». Vi è chi scopre il vizio nel declino del management i'« Io. jnenfaltió della bombetta*) o nella politica dei sindacati. Vi è chi accusa le tasse come freno all'intraprendenza e indirizza al Times lettere come questa: « Avrebbe compiuto Drake il giro del mondo, avrebbero costruito ì vittoriani la massima potenza commerciale dei loro tempi, se avessero dovuto pagare al fisco 18 scellini e 3 pence per ogni sterlina guadagnata? ». I laburisti in genere denunziano l'insufficienza della pianificazione tentata dai conservatori. Vi è infine chi obbietta ai laburisti che non è solo problema di piani, e imputa l'assenza di vigore alla esiguità del mercato britannico, insistendo a favore dell'ammissione al Mec e. della « scossa » che gli inglesi ne avrebbero. Wilson ha detto al Times che non si tratta solo del declino inevitabile dovuto alla perdita dell'impero. Negli ultimi dodici anni, il contributo britannico al commercio mondiale dei prodotti industriali à caduto dal 21 e mezzo per cento al 14 per cento. All'interno del sistema produttivo, beninteso, non tutto è stagnante. L'industria automobilistica, per esempio, è booming, favorita anche dai recer.ti tagli alla Purchase Tax: nel '64 7ia prodotto 1 milione e 868 mila automobili (260 mila più che nel '63), esportandone 680 mila. Non è arretrata, per esempio, l'industria elettronica: anche il Senato di Berlino, quando ha voluto un computer, ha comprato dagli inglesi un Ict 1904 da 300 mila sterline. L'economia e debole nel livello medio; e non manca di competitività in assoluto, ma in proporzione con i bisogni della Gran Bretagna. I bisogni inglesi sono elevati perché nell'epoca imperiale l'economia del paese divenne « di trasformazione pura *: agricoltura ridotta (che oggi contribuisce al prodotto nazionale lordo solo nella misura del li per cento) e scarsità di materie prime, con l'eccezione del carbone. Per pagare i generi alimentari e le materie prime di cui ha bisogno, l'Inghilterra dovrebbe vendere all'estero più prodotti industriali, anche senza il sostegno del sistema imperiale. Dunque tale economia di «trasformazione* oggi è vulnerabile ad ogni incidente che possa ridurne la competitività: ora i bassi profitti e le spinte inflazionistiche, ora il ritardo in alcuni settori della tecnologia, ora gli oneri aggiunti che derivano all' Inghilterra dall' essere il banchiere dell' area della sterlina (le richieste eccessive di sterline), ora le esplosioni di capacità competitiva che nascono nel Mec o in America. In pratica, quasi tutte le cause elencate per spiegare le angustie britanniche sono complementari. Una buona pianificai..one, che sappia consolidare i settori propulsivi e l'esportazione, forse pub suscitare uno sviluppo stabile senza inflazione, anche se la potenza economica perduta con l'impero è irrecuperabile. Ma basta la pianificazione per ottenere un boom di tipo europeo o americano? Questa è la domanda che viene rivolta ai laburisti. L'Inghilterra non è gli Stati Uniti, né il Mec, né il Giappone. Diceva qualche giorno fa lord Plowden: «Noi siamo il solo grande paese industriale privo d'un mercato domestico di 100-200 milioni di consumatori, ossia privo delle possibilità che tali condizioni offrono alla produzione di massa e alla specializzazione ». Osmi boom degli ultimi decenni ha avuto come teatro mercati di 100200 milioni di consumatori: dagli Stati Uniti al Mec, al Giappone, e compresa a suo modo la stessa Unione Sovietica. Spesso gli industriali affermano che la nuova tecnologia chiede vasti spazi economici, intesi come mercati cospicui in se stessi o davvero integrati con altri. A Londra non pochi economisti lo negano, o sostengono che non si tratta d'un dato evidente. Macmillan all'opposto ne era persuaso, e per questo si rivolse al Mec. Wilson continua a parlare molto del Commonwealth e poco dell'Europa. Ma è il Commonwealth un mercato? Le distanze geografiche e ancor più quelle storico-economiche non permettono di parlare d'un mercato come blocco omogeneo di produttori e consumatori. L'India, il Pakistan o il Ghana non promettono molto a un'indu¬ stria di trasformazione; sono paesi appena entrati «nell'era della bicicletta », come disse Nehrn, e devono assai più vendere che comprare. Chiedono aiuti più che listini merceologici, innalzano barriere contro le importazioni e promettono se mai, a chi lì aiuta oggi, di comprare fra qualche decennio. Ma in materia di aiuti, l'India di Shastri può aspettarsi più surplus africo!!, impianti completi e crediti dagli Stati Uniti che dalla piccola Inghilterra. In quanto ai paesi del Commonwealth «.bianco », il Sudafrica ne è stato messo fuori, mentre Australia, Nuova Zelanda e Canada gravitano sempre più verso gli Stati Uniti (l'Australia ha persino adottato le taglie americane nel campo delle confezioni!. I laburisti idealizzano il Commonwealth, sebbene esso non mostri omogeneità economica né affinità politica. E' comprensibile che l'Inghilterra non possa volgere le spalle alle residue possibilità offerte da tale comunità; tuttavia il Commonwealth non offre una risposta ai problemi britannici e nondimeno i laburisti ne parlano con entusiasmo messianico, incuranti delle accuse di astrattezza, mentre nei riguardi dell'Europa si mostrano «insulari* e diffidenti e non concepiscono prospettive di lungo raggio « in termini di generazioni *. E' simbolico che i due consiglieri economici di Wilson, Thomas Balogh e Nicholas Kaldor, siano membri del celebre Reform Club, da dove partì Phileas Fogg per il « giro del mondo in ottanta giorni»; oggi sono le scommesse laburiste ad abbracciare il mondo, ma in termini assai più vaghi degli ottanta giorni. Alla base dell'ecumenismo laburista, che conserva la concezione churchilliana del Commonwealth, sia pure ripudiando le nostalgie imperialistiche, vi è l'aspirazione alla « guida del terzo mondo *: ma rimane dubbio che il terzo mondo possa farsi guidare dal paese che fu l'archetipo della potenza coloniale, ancorché governato oggi dai laburisti. Fin dal '59, quando per la prima volta il prodotto lordo britannico fu superato da quello della sola Germanio di Bonn (senza l'altre Elba) l'Inghilterra appariva già premuta fra l'America ed il Mec, e tuttavia i laburisti ostacolarono dal '61 al '63 l'azione di Macmillan per il « ritorno all'Europa *. Ci fu il veto di De Gaulle, ma almeno oggi, dopo due anni, la resistenza gollista potreb be essere messa alla provo da un'azione congiunta di Londra e dei cinque governi che dall'interno del Mec vogliono aprire le porte all'Inghilterra. Invece l'anglofilia dei « cinque » viene scoraggiata da Londra. Proprio in questi giorni a Londra è stato nominato ministro degli Esteri un uomo, Michael Stewart, che aveva preso lo parola sugli affari internazionali solo una volta, nel '62, contro l'adesione al Mec. La «scuola* europeistica inglese non include molti laburisti, ma piuttosto i liberali, i giovani conservatori come Heath, gli scrittori dell'Economist, deil'Observer e dello Spectator. In un editoriale sulle condizioni dell'Inghilterra dopo la morte di Churchill, lo Spectator ha .scritto: «Nel passato, la Gran Bretagna ha respinto o trascurato tante aperture del continente, da raggiungere poi lo stadio in cui essa stessa è stata respinta. Il governo laburista rinuncia a tentare ancora dove i conservatori hanno fallito. Noi abbiamo sottostimato in larga misura la volontà di unione in Europa. Non possiamo più a lungo sottovalutarne le conseguenze ». Il primo «noi all'Europa, a ben vedere, fu detto da Churchill, quando nell'agosto del '5.'f Mendcs-France andò a chiedergli di partecipare alla Comunità europea di difesa, o almeno di « fare un gesto, dire una parola ». Il secondo «no* fu detto dal cancelliere dello Scacchiere Maudling quando si costituì il Mec, al quale contrappose la « Zona di libero scambio * (semplice intesa per la liberalizzazione del commercio, senza una tariffa esterna comune), che oggi si chiama Efta, European Free Trade Association. Adesso i laburisti al governo quasi distruggono l'Efta, ma non i rivolgono al Mec, sebbene persino De Gaulle arrivi a dire: «L'Inghilterra e la Francia non sono divise da montagne, ma solo da un canale, e un tunnel può riavvicinarle parecchio ». I laburisti hanno quasi distrutto l'Efta per mettere in sesto la bilancia dei pagamenti, quando hanno imposto la soprattassa del 15 per cento sulle importazioni « violando almeno 18 accordi internazionali* (come ha riconosciuto un funzionario). Oggi i partners, anzitutto gli svedesi, minacciano rappresaglie e avanzano un ultimatum a scadenza di settimane. Cosi l'economia britannica opera nell'indeterminato. Il Labour Party si limita a esprimere «fede nel piano*, e intanto la competitività d'oltre frontiera (soprattutto dell'America, della Germania e del Giappone) si accresce a ritmo vertiginoso. Gli Stati Uniti aumentano le esportazioni commerciali a velocità crescente: il 26 per cento negli ultimi quattro anni (il deficit della bilancia dei pagamenti americana è dovuto al giuoco dei co-pitali, alle spese militari all'estero e agli aiuti). Nel 1964 l'industria degli Stati Uniti ha. investito solo in nuovi impianti automatici 44 miliardi e 100 milioni di dollari, pari a 28 mila miliardi di lire. Che cosa accadrà quando tali investimenti si tradurranno in prodotti a costo minoref La prospettiva turba già il Mec, dove pure le industrie tendono ad integrarsi e specializzarsi. A maggior motivo sarà di ostacolo alla « piccola Inghilterra *, troppo complessa per essere la Svizzera o la Svezia, ma troppo angusta per sviluppare spinte potenti come quelle dei « grandi mercati *. Ecco perché si discute se basti il « piano » laburista a rendere slancio all'Inghilterra, a meno che Wilson sia versato anche in « magìa economica nera ». Alberto Ronchey