Sukarno vuole «vivere pericolosamente» ma sostiene che il motto è di Mazzini di Igor Man

Sukarno vuole «vivere pericolosamente» ma sostiene che il motto è di Mazzini UN APERTO COLLOQUIO CON IL PRESIDENTE DELL'INDONESIA Sukarno vuole «vivere pericolosamente» ma sostiene che il motto è di Mazzini « lo Mazzini lo conosco, l'ho letto in carcere »: insiste il dittatore, scalzo e in maniche di camicia nel suo ufficio, circondato da una piccola corte - « Degli inglesi mi piacciono solo le sigarette», afferma passando ai problemi politici; tuttavia non sembra deciso a scatenare la guerra per la Malesia e non intende «armare il popolo », come chiedono i comunisti - L'inflazione non lo preoccupa: « Lascia il tempo che trova, non produrrà nessun collasso economico, non danneggia la gente » Si è avvicinato alla Cina, ma continua a tenersi in delicato equilibrio tra i comunisti e l'esercito - Il suo sogno è « un'Asia sempre più grande, sempre più forte » (Dal nostro inviato speciale) Giakarta, gennaio. cUna volta per tutte: vivere pericoloso o vivere pericolosamente? Come va detto? », mi apostrofa Sulcarno. Spiego che lo slogan suona « vivere pericolosamente » e che fu Mussolini a lanciarlo. Brusco: «Macché Mussolini, è stato Mazzini », interrompe tosto, soggiungendo perentorio: «Io conosco Mazzini meglio di te che sei italiano, l'ho letto in carcere! Chiaro? ». Sguardi preoccupati mi invitano al silenzio: ci troviamo nel salone del «Merdeka Palace », la residenza ufficiale del presidente della Repubblica indonesiana che mi ha concesso Vallo onore di intervistarlo: i tre o quattro colonnelli, le due aiutanti di campo, la segretario, il tipo in borghese (a metà tra il sensale e il cospiratore) che gli fanno corona temono che il Bung vada in bestia; di solito egli è cordiale e accomodante, scherza, ride, ha l'aria di prender tutto sottogamba ma guai a contraddirlo. Sicché, allarmati, mi trasmettono con gli occhi inviti alla prudenza. Taccio. Un pesante silenzio ci avvolge, ne approfitto per guardarmi intomo: Bung Karno, in maniche di camicia, se ne sta stravaccato in una poltrona di bambù. E' senza scarpe, le aveva accanto a sé quando mi sono avvicinato per stringergli la mano ed è stato lui stesso a toglierle di mezzo perché non ci inciampassi. E' a capo scoperto; il caratteristico pitji, il fez nero dei musulmani, giace sul ripiano d'un basso tavolino, accanto un portasigarette di tartaruga. Alle sue spalle spicca il ritratto a olio dell'attrice Baby Huwae. D'un tratto: «Degli inglesi mi piacciono le sigarette:», ridacchia Sukarno offrendomi una State-Express- il ghiaccio è rotto, tutt'intorno ridono sollevati. Ora indossa la giacca, si mette il fez, chiama il fotografo. L'intervista è cominciata. a o e o i e m a o n o i l é e i o, e A proposito di inglesi, cosa ne pensa il presidente di quanto ha scritto di recente i'Observer c cioè che la pace nel Sud-est asiatico potrebbe dipendere dal ritiro delle forze della Gran Bretagna? In caso contrario, ha scritto il giornale, la Malaysia rischia di diventare il Vietnam dell'Inghilterra. «Sì, è cosi — esclama Sukarno, poi: — Lo ha scritto proprio l'Obsert;er.» Sono d'accordo! E che altro ha detto? :». « Che forse una soluzione potrebbe essere il Maphilindo ». (Cioè il vecchio progetto federativo tra Malesia, Filippine e Indonesia). « Un momento, il Maphilindo non funziona più perché gli inglesi pretendono che ne faccia parte la Malaysia, cioè una federazione artificiosamente creata con la complicità dell'Orni. Se si vuole una soluzione pacifica dell'attuale crisi — assai pericolosa! — bisogna fare una cosa molto semplice, applicare cioè l'accordo di Manila. Solo un libero plebiscito potrà dirci se veramente le popolazioni della Malesia, del Sarawak etc. aspirano a riunirsi in una federazione chiamata Malaysia. Si faccia questo plebiscito, con tutte le garanzie, e noi ci inchineremo al verdetto del popolo, quale che sia, purché espresso nel segreto dell'urna. L'ho detto e Io ripeto: oggi come oggi la Malaysia per noi non esiste legalmente. L'Orni mandò dieci delegati in giro a domandare a quelle popolazioni se erano d'accordo con il progetto federativo. Capite? Dieci delegati, praticamente inviati a cose fatte, dal 16 agosto al 5 di settembre del 1963, hanno presunto di poter accertare i reali sentimenti di milioni di abitanti! E' una ignobile farsa che mi riporta al tempo in cui il governatore olandese domandava a questo e a quell'indonesiano: "State bene con noi? "; soltanto un pazzo poteva azzardarsi a rispondere di no'.:». Sukarno respinge l'accusa di aggressione mossagli da più parti e afferma che la presenza di sue truppe nel Borneo ha valore di « garanzia», di appoggio morale per quelle popolazioni. Insomma, finché lungo il confine stazionerà un compatto schieramento indonesiano le alternative saranno: o un conflitto armato con l'Inghi'terra, con tutte le possibili « complicazioni internazionali* o un'azione mediatrice (svòlta dal Pakistan, dal Giappone, da chicchessia...) che riconduca la vertenza ai suoi termini iniziali, giusto l'accordo di Manila. Sukarno, da buon orientale, non ha fretta: un giorno gli inglesi finiranno con l'andarsene. Rischiano di svenarsi ostinandosi a mantenere sul posto tanti uomini in assetto d'i guerra, e fra un'azione armata e il ritiro, alla lunga non potranno non optare per quest'ultimo. Se ne andranno, prima o poi e l'Indonesia finirà con lo spuntarla. Questa è anche la tesi dei comunisti del p.k.i., di ispirazione cinese: peraltro non è chiaro se siano loro a concordare con Sukarno o viceversa. Non è chiaro se, in questo momento, in Indonesia siano i comunisti ad andare a rimorchio della politica di Sukarno, esasperandola al massimo, o se sia il Bung a subire l'iniziativa del duro Aidit, longa manus di Pechino. Domando al presidente cosa ne pensi della richiesta del p.k.i. di armare il popolo lavoratore, rinnovata di continuo forse proprio perché da lui non raccolta. «Mmm!... non è che io sia contrario in linea di principio... ma dico solamente che se gli inglesi ci attaccassero (tra parentesi: ha Varia di non crederci quando lo dice) allora armerò tutti, uomini, donne e bambini: il popolo difenderà in armi la patria. Ma pel momento le nostre valorose forze armate bastano e avanzano! ». E, così dicendo, ha «ti cenno cordiale verso il generale Nasution: un uomo giovane, dal viso aperto, entrato da qualche minuto: 8ukar.no- lo riceverà al termine dell'intervista. Non compreso net t Praesidium», che guidato da Bung Karno governa il paese, rimosso dalla carica di vice-primo ministro, il generale Abdul Haris Nasution c ministro della Difesa e capo di S.M. delle forze, armate. Fermamente anticomunista, onesto, deciso, egli viene tuttora considerato l'unico capace di opporsi al montante strapotere del p.k.i. Negli ultimi tempi è stato messo in ombra dal generale Jani, capo di S.M. dell'esercito, un fedelissimo di Sukarno ma il suo ascendente sulle forze armate rimane alto. Oggi egli serve ancora a Sukarno per mantenere il difficile equilibrio tra le forze contrapposte (musulmani, militari, comunisti) su cui à basato il suo regime. Allorché si aprirà la lotta per la conquista del potere, chiunque vi aspirasse avrà bisogno del suo appoggio. Non e improbabile che egli stesso possa succedere a Sukarno; ma, come avvenne con Neghib, prima o poi verrebbe eliminato dal Nasser della situazione. E' un buon soldato, esperto di guerriglia, amato dai suoi uomini, rispettato nel paese; tuttavia non è un leader. Non è soprattutto un leader di tipo asiatico, il cui prototipo resta sempre Sukarno. Il Bung incarna le doti e i difetti del nazionalismo asiatico: ingenuamente orgoglioso della « tradizione storica », abbastanza cinico per non curarsi troppo dei bisogni del popolo, Sukarno è un misto di astuzia e di tracotanza, di calcolata prudenza e di irrazionale aggressività. Egli, è certo, gravita oggi nell'orbita di Mao Tsetung noti tanto e solo in previsione d'una non lontana egemonia di Pechino in Asia, quanto perché, in buona fede, considera la way of life cinese la più adatta all'Indonesia. Si tratta di « pianificare la miseria », limitando lo sfruttamento delle infinite risorse naturali a quel tanto che serve a mantenere in piedi un forte esercito, la cui massima aspirazione è oggi l'atomica. Su. questo sfondo, quanto mi ha detto sulla situazione economica del paese non è così paradossale come a prima vista potrebbe sembrare. Gli avevo domandato che provvedimenti avesse in mente per frenare la rovinosa ascesa dei prezzi, se fosse disposto a punire anche con la pena di morte gli intrallazzatori, giuste le richieste avanzate dalle organizzazioni giovanili e del lavoro. Quando un orientale è in imbarazzo, sorride; Sukarno fa di più, scoppia in una. risata di gola, poi: « Certo, i prezzi salgono e ci rincresce. Stiamo cercando di fare il possibile per porvi rimedio, comunque sia io dico che la nostra situazione economica è forte, anzi fortissima! ». « Con tutto il processo inflazionistico che, alla fine dello scorso novembre, si esprimeva in una circolazione cartacea di almeno !,00 mila mitioni di rupie? ». «Perché no? », obbietta Sukarno, e con l'aria d'enunciare una nuova teoria economica aggiunge: «L'inflazione dicono... Ebbene, fin quando non danneggia la sente, lascia il tempo che trova! :». Egli ncn ignora di sicuro che la rupia, quotata ufficialmente BIS rispetto al dollaro, in borsa nera sta a 6000 dopo aver toccato nei mesi scorsi punte altissime, ciononostante afferma: «Non ci sarà nessun collasso economico, ripeto: collasso economico. Sono fiducioso nelle nostre risorse. L'inflazione 6 brutta se porta miseria; al contrario, gli indonesiani non stanno male! D'altronde, se sapessi che qualcuno " intenzionalmente " danneggia la nostra economia, non esiterei a punirlo, anche con la morte! ». « Gli indonesiani non stanno male», sostiene Sufcarno* questione d'intendersi; egli vuol dire che la gran massa della- popolazione continua a vivere come ha fatto durante 300 anni, cioè miserevolmente. Tutti gli altri — ufficiali, funzionari e ministri — egli permette che si arrangino, stanno bene. Son costoro che contano, ed egli intende, servirsene per «partecipare all'edificazione di un nuovo mondo, d'un ordine nuovo! ». TI capo arrovesciato indietro, gli occhi socchiusi, le mani protese in avanti sussurra: «Io vedo... Io vedo un'Asia grande, sempre più grande, più grande e più forte, più forte, grande, grande... ». Igor Man La fotografia ufficiale dell'intervista che il presidente dell'Indonesia Sukarno ha oncesso al nostro inviato Igor Man nel palazzo del Governo a Giakarta (Tel.)