I sei capi misteriosi ed ambigui che guidano nel Congo la tragica rivolta

I sei capi misteriosi ed ambigui che guidano nel Congo la tragica rivolta TENGONO IN FEROCE AGITAZIONE UNA TERRA GRANDE TRE VOLTE L'ITALIA I sei capi misteriosi ed ambigui che guidano nel Congo la tragica rivolta Sono uomini diversi, legati da due caratteristiche comuni: coltivano il mito di Lumumba; hanno stretti rapporti con la provincia di Stanleyville, cuore della ribellione - Dirige il governo degli insorti Cristoforo Gbenie, amico dei russi, pratico d'amministrazione; il suo ministro degli Esteri ha studiato a Lovanio e Harvard - Dei tre « generali della foresta » il più sinistramente noto in Italia, dopo il massacro di Kindu, è Sumialot - Le masse guardano soprattutto a Mulele - Da tempo s'ignora tutto di lui; qualcuno dice che è morto, altri che ha studiato a Pechino la tecnica della guerriglia (Dal nostro inviato speciale) Léopoldville, gennaio. Barbari selvaggi, /mintici nazionalisti, inconsce pedine del grande giuoco comunista: chi sono, cosa, vogliono i capi di Questi ribelli congolesi che per le loro orrende imprese hanno fatto rabbrividire la gente civile ma che riscuotono l'appoggio di tanti paesi africani, sovietici e della Cina, e riescono a tenere in agitazione territori come il Kwilu ed il Kivu c la Provincia Orientale, grandi ciascuno come l'Italia intera? Esecrati in una metà del mondo, osannati nell'altra, i loro nomi stanno diventando famosi senza che delle loro reali personalità si sappia molto di preciso. Gbenie e Mulete, Kanza e Sumialot e Bochelcy, hanno di certo almeno due elementi in comune: la fedeltà al mito di Lumumba, e il legame etnico o politico con stanleyville, capitale della Provincia Orientale e della costante rivolta, ora nascosta, ora aperta contro Léopoldville. E Lumumba stesso, per quanto originario del Kasai, si era formato a «Stani (come brevemente la chiamano i belgi) dove, ottenuto un impiego alle Poste, era per la prima volta salito all'onore delle cronache nel 1056 finendo in prigione per furto: nelle stesse, carceri | era poi tornato quattro an- ni dopo, alla, vigilia dell'indipendenza, ma questa volta per aver organizzato una sommossa politica in cui avevano lasciato la pelle parecchie persone. Caduto Lumumba, è a Stanleyville che i suoi si ritirano per dar vita al governo Gizenga, in concorrenza con quello ufficiale di Léopoldville. e col Katanga secessionista. La Prv Ancia Orientale rimane sempre ostile anche quando tra il '61 e il '62 Gizenga accetta, in funzione anti-Ciombé, di entrare come vice presidente nel governo Adula: il quale del resto nel giro di poche settimane lo fa fuori dal governo e lo mette in una prigione, dove lo tiene accuratamente fino al giorno in cui non abbandona lui il potere. Il suo inatteso successore, Piombe, dapprima — al grido di vogliamoci bene, — libera l'antico luogotenente di Lumumba, lo abbraccia e gli offre un posto; poi ci ripensa e lo rinchiude anche lui, ma non in prigione: in una villa di Ratina, quartiere elegante di Léopoldville, bella e circondata da nugoli di poliziotti. Pub darsi che col fantasmagorico avvicendarsi sul palcoscenico politico congolese, anche il magro, malinconico, introverso Antoiiie Gizenga torni un giorno o l'altro alla ribalta: ma tutto questo star sempre in prigione, a ragione od a torto, sotto gli uni c sotto gli aitri, non ha giovato al suo ruolo iniziale di erede di Lumumba. Oggi il capo della rivolta e chiaramente (per modo di dire, sempre tenendo conto del paese, e per il momento) Cristoforo Gbenie: anche lui di Stanleyville dove è stato vice-borgomastro — carica altissima per un congolese, in quell'epoca — alla vigilia dell'indipendenza (1960), ministro degli Interni nel governo di Gizenga. ed ancora ministro degli Interni nel breve gabinetto Adula-Gizenga. A differenza del mite « erede, di Lumumba », Gbenie ha saputo . tagliare la corda in tempo e rifugiarsi a Brazzaville per figurare subito tra i massimi dirigenti elei Comitato liberazione nazionale, fino a divenire ora il capo del governo ribelle. Il suo ministro degli Esteri, Thomas Kanza — che ho conosciuto al principio del '60 a Bruxelles dove era funzionario del Mec — rappresentava al momento dell'indipendenza una delle grandi speranze del Congo: a ventisei anni era laureato in psicologia e pedagogia al- a o i o l o e l o e e l'Università di Lovanio, diplomato al Collegio di studi europei di Bruges, reduce da un soggiorno ad Harvard. Con un simile curriculum unico in tutto il suo paese, non poteva toccargli meno dell'ambasciata all'Orni, che subito gli assegnarono. A questo giovane bakongo (del popolo di Kasavuhu, quindi, non della gente di Stanleyville) si può rimproverare tutto, non la mancanza di coerenza: è sempre stato contro i governi di Léopoldville, sempre con quelli d'opposizione di Gizenga, del Cln di Brazzaville, oggi dei ribelli. Se Thomas Kanza non è mai scomparso completamente dalla ribalta internazionale, un altro dei maggiori protagonisti dell'insurrezione è talmente avvolto dal mistero, che nessuno sembra in grado di parlare dei suoi movimenti negli ultimi anni, di dire se sia ancora o no su. questa terra. « Mulelisti » vengono chiamati in generale i ribelli dal nome di Pierre Mulele che, originario della Provincia Orientale, fa improvvisamente fortuna a Léopoldville passando con l'indipendenza da fattorino del Dipartimento dei Lavori Pubblici a ministro dell'Educazione nazionale con Lumumba e con Gizenga. All'inizio del '62, come Gbenie, si salva dall'arresto ordinato da Adula fuggendo a Brazzaville; e qui le sue tracce si perdono per un lungo periodo. Si sa che è stato in Guinea, a Conakry. a seguire un corso di marxismo-leninismo; si ritiene che abbia visitato molte capitali comuniste; si dice che sia stato a Pechino a prendere lezioni di guerriglia. E se l'ultima voce è vera, non si può dire che non sia stato un allievo diligente: è lui, improvvisamente ricomparso sulla scena, a dare il via verso la fine del '63 all'attuale rivolta mettendo a ferro e a fuoco il Kwilu (nel cuore stesso della provincia della capitale) con i nuovi e sempre più barbarici metodi delle esecuzioni in massa; ed è lui a ricevere il titolo di « segretario generale del Cln, incaricato delle forze rivoluzionarie ». Periodicamente, il governo annuncia la sua morte, i ribelli la smentiscono: la cosa ha meno importanza che altrove in Congo dove mi capita spesso di sentirmi annunciare da qualcuno in gran segreto l'imminente ricomparsa di Patrice Lumumba e la relativa fine di ogni male (ed è gente che sa aspettare: ci sono decine, di migliaia di bakongo in paziente attesa del ritorno del profeta nero Simon Kibangui, morto una ventina di anni addietro). A favore dell'ipotesi della morte di Mulele sta il fatto | che il comando supremo delle forze ribelli è stato assunto al fronte nord-est dal generale Olenga. All'altro noto capo guerrigliero, Gaston Sumialot, è rimasto il settore del Kivu e del Manieina di dove è originario e nel quale conduce la lotta da un anno. Delle sue sanguinose imprese da Kindu ad Albertville, dei suoi ribelli con pelli di leopardo, amuleti e coltellacci, dei suoi incredibili successi su avversari meglio armati (fino all'arrivo dei mercenari), giornalisti e 'fotografi si sono occupati a sufficienza. Dicono che sia ambizioso e che miri a più alti incarichi. Ma c un uomo relativamente nuovo: dopo l'indipendenza si era distinto soltanto per fedeltà a Lumumba ed odio ai belgi. Quest'ultima notazione vale anche per un personaggio poco noto ma in ascesa: Enide Davidson Bocheley. Durante le sommosse dell'estate '60, la condotta di riuesto trentenne deputato della Provincia Orientale, gli valse da parte degli stessi congolesi I una denuncia al presidente KaepIcd Kasavubu «per violenza ed arbitri»: ed in quei giorni era difficile distinguersi in materia. Oggi Bocheley è il primo segretario generale del Cln (che continua ad avere sede a Brazzaville) ed insieme a Mulete gode fama di filocinese, mentre Gbenie (col quale si è apertamente e ripetutamente urtato) viene definito un moderato amico dei russi. Senza voler contestare ogni fondamento alla tesi del governo (e di molti occidentali) di Léopoldville, secondo la quale i ribelli sono puramente e semplicemente la punta avanzata e cosciente del comunismo, converrà ricordare che la realtà africana rende assurdo il tentativo di incasellamenti politici all'europea, di Gbenie, ad esempio, o di Mulele, come marxisti-leninisti di varia osservanza, oppure, nel campo opposto, di Ciombè o di Munongo come liberali e liberisti. I ribelli ricevono aiuti da cinesi e russi, e parlano di socialismo; ricevono da algerini ed egiziani, e discutono di sociatnazionalismo: ma più che da comunisti e da arabi, vorrebbero essere aiutati da africani veri, ed in questo senso il loro «ministro degli Esteri» Thomas Kanza non fa che rivolgere appelli a tutto il Continente Nero. La. maggior parte dei governi africani, però, risponde freddamente: non intende schierarsi con i ribelli ad un governo formalmente legittimo, con i massacratori degli ostaggi occidentali e delle élites locali (anclie se non ci può essere altro cito odio per i volontari bianchi venuti da. lontano ad uccidere i neri, per passione o per danaro che sia). Giovanni Giovanninì SUDAN