Tradizione e novità nei filosofi inglesi

Tradizione e novità nei filosofi inglesi Dall'empirismo all'analisi del linguaggio Tradizione e novità nei filosofi inglesi La Gran Bretagna è stata, sin èdagli ultimi secoli del Medio tEvo, la terra classica dell'empi- rrismo. La filosofia inglese no., ria smai amato le ardite costruzioni i5metafisiche che la filosofia del continente si dedicava, di preferenza, ad erigere; ed ha programmaticamente contrapposto a tali costruzioni gli insegnamenti dell'esperienza, assumendoli come la guida della ragione e come i limiti che la ragione stessa non può oltrepassare. Da Guglielmo di Ockham, che nella prima metà del '300 imprimeva alla filosofìa scolastica, tradizionalmente ispirata alla metafisica aristotelica, la prima energica svolta empiristica, al periodo classico del Sci-Settecento che conta i nomi di Hobbcs, Locke, Berkeley c Hume, sino agli utilitaristi e positivisti dell'800, la filosofia inglese si è mantenuta fedele all'indirizzo empiristico, approfondendolo e sviluppandolo in tutti i suoi aspetti. La fioritura neo-idealistica, che si è verificata in Gran Bretagna negli ultimi decenni dcll'800 c nei primi del '000, è stata una parentesi nella tradizione inglese: una parentesi tuttavia che non ha interrotto ne indebolito questa tradizione che contemporaneamente si è venuta svolgendo nel pensiero di Moorc c Russell. Ora « empirismo » significa in primo luogo che ogni conoscenza umana trova nei dati dell'esperienza il suo punto di partenza e il criterio della sua validità: sicché non c'è conoscenza autentica che non poggi su fatti sperimentati o sperimentabili o che non trovi in tali fatti la sua verifica o la sua conferma. Da questo punto di vista, una cono scenza che voglia estendersi alla sostanza ultima delle cose, alle forze nascoste che le animano, alle cause prime, alla totalità as soluta dell'essere, non è una conoscenza ma una pretesa, di cui si può dimostrare, in base ai dati dell'esperienza, l'inconsistenza e l'inutilità. E l'empirismo si situa, su questo punto, al polo opposto della metafisica tradizionale che fa sue tutte quelle pretese. Ala « empirismo » significa pu re che l'esperienza è la sola gui da possibile dell'uomo nei campi della sua attività diversi dalla conoscenza e dalla scienza: cioè nel campo morale, politico, artistico c religioso; c i filosofi empiristi non trascurano questi campi, sottoponendo a critica le concezioni metafisiche e teologiche da cui quei campi rimanevano invasi, cercando di far valere in essi le norme che si possono ricavare dalla considerazione dei fatti e di formulare così una disciplina razionale dei fatti stessi che deve porre in ordine i campi rispettivi ed eliminarne conflitti. 1 filosofi empiristi hanno assunto, perciò, spesso la ve ste di riformatori morali, poli tici, sociali, religiosi, e il loro spirito ha formato e imbevuto di sé l'illuminismo europeo in tutte le sue tendenze riformatrici. Ala a partire dal quarto decennio del nostro secolo, l'empirismo inglese ha rinunziato a questo compito illuministico, che aveva sempre ritenuto fonda mentale e che ancora oggi trova espressione negli scritti morali e politici di Bertrand Russell. Ciò è avvenuto in virtù della cosiddetta « svolta linguistica » che esso ha subito per l'azione del positivismo logico del Circolo di Vienna e specialmente di Wittgenstein. In virtù di quella svolta, il dominio in cui si esercita l'attività filosofica non è più quello della comune esperienza degli uomini bensì quello del loro linguaggio comune. E' nell'ambito del linguaggio comune che nascono i problemi, i dubbi, le perplessità che muovono l'attività filosofica. Ala problemi, dubbi e perplessità nascono soltanto quando le parole e le frasi del linguaggio comune vengono adoperate fuori dei loro contesti abituali, cioè degli usi nei quali ricorrono nella vita di ogni giorno, e sono generalizzate o estese o interpretate come se si riferissero a realtà nascoste e tra scendenti: sicché veramente di quei problemi, dubbi e perplessità non c'è soluzione possibile ma è solo possibile l'eliminazio ne, riportando le frasi che li farnb nascere ai significati che hanno nel loro uso comune. Così in un libro del 1949, Il concetto dello spirito, il neo-em pirista Gilbert Ryle ha inteso mostrare che il problema meta fisico dell'anima nasce da un trucco linguistico, simile a que lo in cui cadrebbe chi, dopo aver visitato gli istituti, le biblioteche le aule, gli uffici di cui consta una università e aver assistito al lavoro che vi si svolge, do mandasse ancora quai è la « vera realtà » dell'università stessa, attribuendo alla parola « universi tà » una realtà sostanziale che diventa un enigma. Ciò che chia miamo « anima » o « spirito » nonmtpfiaefiesdldufipè è che l'insieme di certi comportamenti o attività umane che raggiungono il livello della consapevolézza; e difatti in tal sen50 se ne p3lla nel dlscorso co" e e o l i i e i e i e l o n r a o a e n mune che, rettamente analizzato, toglie ogni base al relativo problema filosofico. Da questo punto di vista, la filosofia non è che una terapia antifilosofìca, cioè una cura per eliminare i problemi e i dubbi filosofici. Secondo la pittoresca espressione di Wittgenstein, essa deve curare i bernoccoli che intelletto si è procurato battendo la testa contro i limiti del linguaggio. Riportando le parole dal loro uso metafisico al loro uso giornaliero, i problemi della filosofia si dissolvono, la filosofia raggiunge la sua pace e si può smettere di filosofare. V'ero è che questa terapia non è mai definitiva o immunizzante: i bernoccoli si riformano e bisogna tornare a curarli. I filosofi non saranno mai disoccupati; ma il loro compito rimarrà sempre negativo. L'analisi filosofica non si può proporre infatti la correzione o I miglioramene») del linguaggio comune. Questo è sempre perfettamente in ordine così com'è e solo perciò può valere come banco di prova dei problemi fi losofici. Dall'altro lato, al di fuori dell'analisi linguistica, la filo sofia non ha nulla da fare. Essa quindi non ha modo d'agire sulla condotta degli uomini, d'illu minarla o guidarla in un campo qualsiasi. La stessa etica filosofica deve ridursi a un'analisi del linguaggio morale, analisi che è senza effetto sulle norme e iui comportamenti morali i quali rimangono quello che sono. La portata o il valore umano della filosofia, che l'empirismo della tradizione inglese classica aveva cosi vigorosamente sottolineato, vengono smarriti del tutto e la filosofia si chiude in una specie di neutralità, lasciando che le faccende umane vadano come possono e conservando, come unica preoccupazione per la sorte umana, quella di guarire l'uomo dagli stessi dubbi filosofici. Questo ritiro della filosofia dai suoi ambiziosi compiti tradizionapuò apparire (ed essere) un rinnovato senso di modestia, un riconoscimento della limitazione dei suoi poteri. Ala esso è anche, certamente, un tentativo di èva iionc, una fuga di fronte alle proprie responsabilità, un'acccttazione implicita del fatto com piuto e il rifiuto di essere contaminata dalle preoccupazioni e dai bisogni della comune umanità. In un articolo del 1956, Bertrand Russell osservava che, rinunciando al compito d'intende re il rapporto dell'uomo con il mondo e limitandosi all'analisi linguistica, la filosofia rinuncia alla sola radice da cui può trarre il suo nutrimento. E in realtà, nell'enorme somma di sottili analisi linguistiche che la filo sofia analitica inglese ha accumulato negli ultimi decenni, problemi filosofici non sono spa riti dall'orizzonte ma hanno con tinuato a presentarsi con la stessa urgenza. I bernoccoli sono rimasti: i virtuosismi dell'analisi linguistica non li hanno guariti Come risultato, la filosofia inglese sta, in questi ultimi anni, dando segni di voler uscire dal cerchio linguistico e ripristinare il suo contatto con il mondo. Già in una scric di conferenze tenute alla radio inglese nel 1956 e pubblicate con il titolo La rivoluzione in filosofia, alcuni dei partecipanti si pronunciavano per il ritorno al compito inventivo e costruttivo della filosofia, cioè al suo compito metafisico tradizionale. Uno dei primi difensori dell'analisi linguistica, Alfred Ayer, ha denunciato nel suo ultimo libro (1963) il pericolo di una nuova « Scolastica » (nel senso deteriore del termine) che si prospetta alla filosofia inglese e ha dibattuto col vecchio metodo empiristico problemi (come queli della persona, della legge di natura, del fatalismo) che con l'analisi linguistica non hanno nulla che fare. Presentando un libro sull'infinito, un altro inglese, José A. Bcnardctc, vi ha posto come sottotitolo « saggio di metafisica »; e difatti tratta in esso anche il problema cosinolo gico e teologico dell'infinito. E in una garbata Prefazione alla filosofia pubblicata nel 1964 da II P. Rickman, la natura e la funzione della filosofia viene pre sentata in tutta la ricchezza dei suoi interessi umani, come una guida alle scelte che l'uomo deve compiere nei confronti della realtà, del bene e del male, del le forze politiche e degli eventi storici Inoltre, nel campo del diritto rdpgtrltplzsccmeie della morale, filosofi inglesi d'origine neo-empirista, come Hart e Hare, presentano indagi ni che non si limitano più alla sfera linguistica, ma affrontano direttamente i problemi propri dell'esperienza giuridica e mora le dell'uomo. Tutto ciò può essere il segno di una ulteriore « svolta » de l'empirismo inglese cioè di un ritorno della filosofia analitica dal campo del linguaggio al campo dell'esperienza umana integrale. Se è così, c se questa svolta si farà più decisa e feconda di risultati, la fase linguistica dell'empirismo non sarà stata inutile perché avrà mostrato l'importanza talora decisiva che il linguaggio assume nell'interpretazione dell'esperienza; ma la filosofia inglese sarà ritornata alla coscienza dei suoi compiti classici, liberandosi di un indirizzo che minaccia di ridurla a una vana e noiosa esercitazione. Nicola Abbagnano

Luoghi citati: Gran Bretagna, Vienna