Il cammino di Natalia Ginzburg ricostruito in cinque romanzi brevi di Natalia Ginzburg

Il cammino di Natalia Ginzburg ricostruito in cinque romanzi brevi Il cammino di Natalia Ginzburg ricostruito in cinque romanzi brevi Li ha raccolti con un'esemplare premessa-confessione - Dal primo saggio della scrittrice diciassettenne alle opere recenti, il suo mondo non è mutato - Ma si è affinata l'arte, la sicurezza dello siile,- e la scelta dei temi è sempre meno "casuale" La ragione di mettere insieme cinque romanzi brevi già pubblicati, a cominciare dal primo che ha scritto, non esiste, è puramente esteriore, e comunque sia la Ginzburg non ne dice nulla. Dalla raccolta è escluso Tutti 1 nostri Ieri, ma, s'intende, non è breve, è il più lungo dei suoi romanzi. C'è Le voci della sera, ma non c'è Lessico famigliare. Dunque, i motivi sono esteriori: niente di male, perché la possibilità di leggere o rileggere l'uno dopo l'altro racconti ormai lontani (alcuni, come Casa al mare, Mio marito, La madre sono del '37, del '41, del 1,8, e il primo. Un'assenza, è addirittura del 'SS, di una Ginzburg diciassettenne) questa possibilità vale già qualcosa. Sarà una sorpresa — e per certuni una conferma — il riconoscere che la Ginzburg era più o meno quella che sappiamo sin dall'inizio della sua carriera di scrittrice, che non ci sono vagabondaggi, esperimenti, vie traverse al principio, né alla metà, né alla fine (voglio dire l'oggi) del suo cammino, che i suoi interessi culturali non l'hanno influenzata nemmeno per' arricchirla di nuovi fermenti, né sono cambiate le sue atmosfere, e quello che si dice il suo mondo, e nulla di sostanziale è mutato in lei, salvo il perfezionamento della sua arte, la sicurezza, la disinvoltura sempre più viva del suo stile apparentemente disadorno (non sciatto, anzi qualche volta con un po' di gioco, di babillage), il tono mediano (non debole) della sua voce, e i suoi colori che sembrano, non sono grigi, ma neutri, di tenui mescolanze. Man mano le sue storie senza tempo e senza luoghi precisi si sono inscritte in tempi e spazi determinati, la sua presenza personale nel racconto ha buttato via ogni più lieve mascheratura, correndo rapidamente verso la franchezza e scioltezza dell'autobiografia, autentica o meno: ma oggi davanti a questi Cinque romanzi brevi (ed. Einaudi) si può vedere meglio quanto fosse nativa e non fabbricata faticosamente la sua immagine di scrittrice. Lo scrupolo della Ginzburg è di non cercare il risalto. Il suo pudore è tale davanti ai casi più drammatici, le morti per esempio, che le annunzia aH'improvviso, semplicemente, come i timidi fanno e dicòno a scatti violenti. Come tutti sanno, la poesia della Ginzburg è quella della sofferenza, debole e quasi inespressa, una sofferenza che non si rende ra¬ gione di sé, tutta esistenziale, e interamente priva di cieli e di prospettive: matrimoni senza amore, passioni a vicolo cieco, aspirazioni inutili e infantili, ristrettezze materiali e angustie morali, ambienti e tic di modesta borghesia, e solitudine, una sfilata di donne destinate a restar sole. Una malinconia negativa: ombre e cenere, « e le ombre e la cenere non possono lasciare rimpianti ». Oppure: « Era il sorriso di chi vuole essere lasciato in disparte, per ritornare a poco a poco nell'ombra » (Il Sagittario). Immagini che spariscono e diventano sempre più lontane e irriconoscibili (Nini che muore, in La strada che va in città), la madre dalla oscura vita che si uccide e il suo viso che svanisce per sempre nei suoi ragazzi che crescono (in La madre); la ricerca di una verità e invece eli tempo delle risposte limpide e consuete * che si ferma per sempre dentro chi cerca (E' stato così). L'attenzione della scrittrice è comprensiva, affettuosa, minutissima e ironica: sin dal primo suo racconto la sua malinconia è stata piuttosto un sorriso tranquillo, inerte, ma a cominciare, credo, da E' stato cosi, una sfumatura d'ironia si è combinata con quella tristezza oggettiva, fino a diventare un vero controcanto. Non vi è il dominio di un giudizio morale, vi è solo contemplazione, ma questa nasce dal di dentro e perciò è sempre più chiara, sempre più forte e quasi felice e trionfante, di racconto in racconto, arrivando all'armonia delle Voci della sera. Ho detto che una ragione intima di ripubblicare certi suoi romanzi e racconti non è dichiarata; ma una ce riè tuttavia, ed è la prefazione che la Ginzburg vi ha messo dinanzi. Una pagina degna delle Piccole virtù, col fascino delle sue confessioni più meditate. La Ginzburg ci confida come le sono nati dentro i suoi racconti, come è nata lei stessa scrittrice. Tutto ciò è sempre pieno di attrattiva. Dice che il suo primo e principale nume è stato Cecov: le crediamo (tenerezze e umorismo), anche se non poteva derivarne l'ineffabile lievito di illusione verso l'avvenire. Dice che non si descrive se non ciò che si conosce dal di dentro: è più die giusto. E che « è necessario scrivere e pensare col cuore e col corpo, e non già con la testa e col pensiero»: dichiarazione di antintellettualismo. E anche che non si scrive per consolare né se stessi né gli altri. Verissimo: la consolazione può essere un effetto, non riesce a essere uno scopo, per quanto compete all'artista. Infine, e questo è il più importante, la Ginzburg disegna il suo cammino di co?iquista dal casuale al non casuale. Scrivere per caso, dice, « è lasciarsi andare al gioco della pura osservazione e invenzione, che si muove senza di noi », senza nostro amore: invece, per esempio, «la memoria è amorosa e la sua scelta non è mai casuale, ma sempre appassionata e imperiosa ». Per questo forse Lessico famigliare è stato per la Ginzburg il racconto più libero e gioioso a scriversi. Ma il non casuale non è il solo segreto della poesia, la necessità non è tutto, è soltanto la strada giusta per arrivare all'arte; a salire più in alto occorre non adeguarsi alla cronaca della vita, ma elevarsi alla storia, il che non si fa senza un forte giudizio morale. Franco Antonicelli Un'immagine recente della scrittrice Natalia Ginzburg