La nostra Università è malata

La nostra Università è malata La nostra Università è malata I quarantasei centri universitari sono distribuiti male, con piccoli Atenei semivuoti e Facoltà paralizzate dall'affollamento, e rilasciano lauree di valore troppo diverso - Molti iscritti e pochi laureati: i fuoricorso sono quasi centomila -1 miliardi destinati alla ricerca sono spesi male, con inutili doppioni e assurde rivalità; i titoli accademici (la libera docenza, e persino la cattedra) spesso sono cercati solo per accrescere i guadagni professionali - Programmi e metodi di studio, esami di profitto e di abilitazione, sistemi di concorso non rispondono alle esigenze di una scuola efficiente e moderna (Dal nostro inviato speciale) Roma, dicembre. L'Università Italiana c malata. Non lo dicono soltanto gli studenti, che da. tempo conducono un'agitazione forse troppo «.politicizzata » e massimalistica, ma ispirata anzitutto dal desiderio di studiare di più, sotto una guida più efficace e con programmi adatti alle esigenze della cultura e della società moderna. Riconoscono la necessità e l'urgenza delle riforme gran parte dei professori, le commissioni d'inchiesta, il Consiglio superiore del¬ □ ni M I1M II M llll M IIHillHIl 11 MI IMIM11I IHll 11 II! I cenziare dei laureati con una solida preparazione culturale (se non professionale). Ma, nell'insieme, l'Università italiana — invecchiata, cresciuta con molti difetti, avvilita in parecchi settori da un'innegabile decadenza morale — non può adempiere al suo triplice compito di sviluppare la ricerca scientifica, produrre dei buoni professionisti e dei buoni professori. Le quarantasei Università italiane (statali, pareggiate e libere) sono distribuite male, presentano squilibra clamorosi, danno un rendimento la pubblica istruzione, il governo. Un vecchio ed illustre studioso, Gustavo Colonnelli, ita intitolato un suo libro, pessimisticamente, Si può salvare l'Università italiana? Il quadro non è tutto nero: professori entusiasti e capaci, allievi di grande serietà (c'è meno spirito «goliardico* e più impegno, in molti giovani d'oggi, che nella nostra generazione), la persistenza di un'antica e nobile tradizione consentono ad alcuni Atenei di produrre lavori scientificamente validi e di li¬ IH1MIIMII1MIIIIIMIHIUUI llll IH IMI IMI i SIITMH IH 11 HI Ili Itltlllll I IMtlI M1M1111MIIM 1 MI IM III Milk didattico e scientifico troppo diverso. Ci sono Atenei sovraffollatl, come quello di Roma, con quasi 35 mila iscritti ed oltre 10 mila fuori corso, dove gli allievi sono costretti a mettersi in coda un'ora prima della lezione per entrare in aula, e gli studenti di medicina, quasi non riescono ad auscultare un malato, quelli di fisica a seguire da vicino un esperimento; e piccoli Atenei di provincia con poche centinaia di allievi (ma ancora meno titolari residenti e poverissime attrezzature). Ogni regione vorrebbe, per un'irrazionale ricerca di prestigio, avere la propria. Università; le molte città che aspirano al rango di capitale regionale, si contendono gli istituti accademici, a qualunque prezzo, per « punto d'onore*. Ma alcune Università già offrono un insegnamento così mediocre, regalano i diplomi con tanta deplorevole leggerezza, che la Commissione parlamentare propone di abbandonare, nei pubblici concorsi, < il sistema di punteggi legati al voto di laurea». JVon occorre una lunga indagine per raccogliere episodi documentabili e tutt'altro che edificanti: il bibliotecario di una facoltà giuridica nominato per meriti speciali: era stato l'autista di un ministro; assistenti scelti per dare uno stipendio a qualche disoccupato; tesi scritte da professori per allieve compiacenti; studenti di lettere respinti agli esami scritti per troppi errori d'ortografia, eppure regolarmente laureati in un quadriennio... Queste Università, buone o cattive, disperse ed insieme inadeguate alla crescente popolazione scolastica (gli studenti sono quasi 250 mila, e dovranno giungere in un quadriennio a 400 mila), distribuiscono tutte un unico grado di laurea, che non garantisce né una seria educazione scientifica, né una valida preparazione professionale, e per molti è soltaìito un pezzo di carta necessario per ottenere un impiego pubblico, un passaggio di categoria, uno scatto di stipendio. La prima responsabilità ricade sullo Stato, afferma l'on. Gui: «Una delle cause del superaffollamento delle sedi universitarie e dello scadimenti?! della formazione culturale e professionale sta proprio nella legislazione sui pubblici concorsi, la quale troppo concede al valore formale del titolo >. Ma la colpa non è soltanto nell'amministrazione statale: l'Italia è uii « paese di dottori-i, dove tutti i « borghesi » aspirano alla laurea, anclie se in proporzione allarmante tentano ini;a?io di raggiungerla. I ritardatari, i rinuncianti, i fuoricorso sono, infatti, un'altra grave piaga della nostra Università. Solo una minoranza degli studenti riesce ad ottenere il titolo negli anni di corso previsti: molti impiegano sei anni invece di quattro per conseguire la laurea in legge, nove o dieci anni invece di sei, per quella in medicina. / fuoricorso rappresentano quasi il quaranta per cento della popolazione universitaria: nel 1962 erano oltre 90 mila contro 230 mila studenti, con la punta massima del 60 per cento in ingegneria. Una metà degli iscritti abbandona int-ece dopo il primo anno 0 il primo biennio: di solito 1 laureati sono appena il cinquanta per cento delle < matricole », e nella facoltà di economia e commercio si scende ad una proporzione del 15 per cento. Questo problema, da solo, imporrebbe la riforma che introdurrà anche in Italia tre diversi titoli universitari: il diploma professionale, la laurea, il dottorato di ricerca. Solo dopo questa innovazione sarà possibile ricuperare i fuoricorso, gli spostati, i delusi, con vantaggio per l'economia del paese ed il risanamento degli Atenei; restituire prestigio alla laurea e guidare l'attività dei migliori all'autentica ricerca scientifica. La ricerca richiede denaro, e il governo è pronto — almeno in certa misura — ad accrescere gli stanziamenti (in un quinquennio passeranno da !t0 a 66 miliardi per anno accademico). Ma richiede soprattutto un'organizzazione razionale, il concentramento dei mezzi e dei piani di lavoro, la collaborazione degli studiosi: tre elementi che per ora scarseggiano nella vita universitaria italiana. Forse non è vero^che si spende poco: si spende male, disperdendo i miliardi in infiniti ruscelli. Ogni città. Ateneo, facoltà, istituto (1 medici sembrano i più esigenti) vuol avere i propri impianti, macchinari e biblioteche, da sfruttare in gelosa indipendenza e chiudere inesorabilmente ai concorrenti. Sorgono cos'i molti inutili doppioni, tutti relativamente poveri, con mia produzione scientifica spesso \ deterioramento del costume modesta o nulla, immobilizzando dei grossi capitali e riducendo le possibilità di vero progresso. Solo per fare un esempio, in Italia esistono una novantina di Centri di reumatologia, mentre cinque o sei bene attrezzati e ben diretti potrebbero svolgere un lavoro molto migliore. universitario »; il ministro Gui richiama. ì professori di ruolo «al costante e impegnato esercizio delle funzioni di insegnamento e di ricerca». Cóntro i casi estremi (un titolare di storia del Cristianesimo per duo anni ricevette lo stipendio senza aver tenuto nemmeno la prolusione), i magnifici rettori La colpa non ricade soltanto sulle vanità personali e sulle ambizioni municipalistiche; e non solo per una lunga tradizione di ombrosa indipendenza i professori universitari sono poco inclini a collaborare. Soprattutto in alcune facoltà scientifiche, molti vedono la ricerca non come fine a se stessa, ma come un passaggio obbligato verso i titoli accademici, la carriera professionale, la cattedra. Con le solite lodevoli eccezioni, « la libera docenza, si è andata via via scostando dalle sue caratteristiche originali... assumendo la funzione di facilitare" il lucro nella professione », come scrive la Commissione parlamentare proponendo di sopprimerla; l'on. Gui ne chiede la riforma < per impedire l'inflazione dei titoli... specialmente nella medicina ». La cattedra stessa è, per troppi titolari, anzitutto un blasone professionale ed una conquista economica: ci sono avi:ocati-professori che hanno troppi clienti per far lezione, ingegneri-docenti che attraverso gli incarichi ottengono la nomina in ulti Università per chiudere la strada ai concorrenti, e medici illustri che si oppongono allo sdoppiamento di corsi ormai paralizzati dall'affollamento, pur di non perdere il monopolio della cattedra ed il redditizio dominio di una grande clinica. Quando gli studenti chiedono dai professori un insegnamento full-time ed una più attiva, disinteressata presenza nella vita universitaria, sono confortati da autorevoli pareri. La Commissione parlamentare ha parole durissi- 1 ine sul «mancato adempimento dei doveri accademici » da parte di alcuni docenti, e parla di c innegabile I • CUSTODIA AUTOVEICOLI NEI 2000 POSTEGGI A.C.I. • POLIZZA DI ASSICURAZIONE « FURTO » O « INFORTUNI » • LAVAGGIO RAPIDO VETTURE (tariffe da L. 300 a L. 400) 1 universitario »; il ministro Gui richiama. ì professori di ruolo «al costante e impegnato esercizio delle funzioni di insegnamento e di ricerca». Cóntro i casi estremi (un titolare di storia del Cristianesimo per duo anni ricevette lo stipendio senza aver tenuto nemmeno la prolusione), i magnifici rettori hanno il diritto-dovere d'intervenire con misure disciplinari; ma le sanzioni non bastano per stabilire un dialogo continuo e costruttivo tra docenti ed allievi. Soltanto la riforma unìversitayria consentirà di distribuire meglio la folla degli studenti e di riorganizzare efficacemente l'insegnamento. Molte cose vanno mutate: i programmi di studio, oggi «troppo pesanH, rigidi, privi di specializzazione»; il principio della tradizionale lezione ex cathedra (<A che serve — si chiedeva Bertrand Russell — dopo l'invenzione della stampa! ■>), da integrare con esercitarzioni, ricerche individuali, lavori di gruppo; il metodo degli esami, oramai troppo numerosi, spesso condotti in modo «poco serio e senza rispettare le norme di legge»; i concorsi per le cattedre di ruolo, dove hanno tanto peso le maggioranze precostituite, le considerar zioni ideologiche, le trattative extra-scientifiche; l'isolamento e l'onnipotenza dei titolari di cattedra; gli esami di abilitazione, che «come sono al presente regolati, non rispondono tutti all'esigenza di garantire la capacità professionale dei candidati»; le scuole di specializzazione, nelle quali alcuni vedono la piaga più grave della vita universitaria. I progetti di riforma, come vedremo, investono tutti questi problemi. Ma ancora una volta occorre premettere che le leggi non bastano, se negli uomini manca, l'onesta volontà di applicarle: I «Non ve accorgimento — dice saviamente parlamentare — un costume». Carlo C l'inchiesta che muti asale gno

Persone citate: Bertrand Russell, Gui, Gustavo Colonnelli

Luoghi citati: Italia, Roma