La tragica ritirata di Russia nel film «Italiani brava gente»

La tragica ritirata di Russia nel film «Italiani brava gente» SVILO SCHERMO La tragica ritirata di Russia nel film «Italiani brava gente» Il regista De Santis, anziché affidarsi alle memorie autentiche, ha tentato un'epica romanzata - «Ecco il finimondo»: per spettatori non impressionabili o i a e o e e e o a e i , , i e i o o o o i h iià. di ti er ao a o re aa o di decle oel (Ideal) — Nel suo lungo arco di film appartenenti alla corrente neorealistica, da «Caccia tragica» (1948) a oggi, Giuseppe De Santis ha sempre tenuto il mezzo tra le istanze ideologiche (nel suo caso di netta impronta marxistica) e le necessità produttive: regista non abbastanza puro forse, ma certamente non mai del tutto commerciale. Questo onorevole spirito di compr imesso tra film e spettacolo si fa sentire anche nel lavoro odierno, che non solo per la mole (due ore e mezzo di proiezione), ma soprattutto per il contenuto, supera per impegno gli altri suoi precedenti. Italiani brava gente (soggetto e sceneggiatura di De Santis, De Concini, Smirnov, Frassineti e Ciagni) 6 dedicato alla campagna italiana in Russia nell'estate del '41, e la sua serietà documentaria è attestata dall'essere stato il film girato sui luoghi degli avvenimenti e dall'avervi collaborato cineasti sovietici e americani. Tuttavia De Santis non ha scelto la strada delle memorie autentiche, quale gli poteva essere aperta da scrittori reduci, bensi quella dell'epica romanzata, più rispondente al suo fine, che era di darci un affresco popolare, di grande respiro, su quella drammatica pagina della nostra storia. Sebbene il film non regga sempre le grandi proporzioni, e decada spesso, fino a battutine di avanspettacolo, nella rappresentazione dei tipi e degli episodi singoli, chiara vi è tuttavia l'intenzione di portare a fondo il tentativo di storicizzare e quindi di giudicare quegli avvenimenti pur presentati in ordine sparso: la dissennatezza d'una politica che mandò al macello per doveri di rappresentanza, la conseguente sfiducia tra alleati, il dissidio fra soldati dell'esercito e fascisti, e su tutto il senso d'una guerra inutile, distorta nei principi e funesta negli effetti, sono i temi che gli episodi si rimandano l'un l'altro, non senza però urtare più di una volta in una rigidità « esemplare » che sconfina nel falso. Accenti più sobri, più e meno realistici al tempo stesso, e soprattutto meno recitati, ci avrebbero meglio persuasi circa la verità umana di quelle storie: la rivalità, che è repugnanza morale, fra il colonnello del reggimento (l'ottimo Andrea Checchi) e il gerarca ammazzasette e imboscato (Arthur Kennedy): l'idillio nel campo di girasoli fra Katia (G. Prokhorenko), risparmiata alla fucilazione dai nostri, e il soldato italiano ch'essa vedrà morire colpito dalla mitraglia; il tenente medico che richiesto dell'opera sua dai partigiani russi, si reca al loro accampamento e al ritorno è ucciso dai tedeschi, determi nando così l'impiccagione del partigiano che frattanto sì era offerto come ostaggio; la corsa alla lepre dei due soldati inermi, uno italiano e l'altro russo, uccisi da due zelanti nelle trincee opposte, la lunga marcia del soldato Gabrielli (Raffaele Pisu) che vuol tornarsene a Roma e muore sfinito sulla neve; il taciturno sdegno del soldato pugliese (Riccardo Cucciolla), che la rompe con quegli orrori andando incontro al nemico col motivo dell'Internazionale sulle labbra, che però non gli serve. Ma quando il film ritrova l'ispirazione corale, come gli llitlllIll llIllllllllMiniSllllllllllllllllllllIMlll accade spesso, e >■; dà scene di battaglia, macerazioni di trincea, sfilate di prigionieri e fuggiaschi, tragici tumulti per strappare un posto su un automezzo o una stufa, e Insomma, le grandi linee dell'angosciosa ritirata dei nostri successiva alla battaglia del Don, allora il suo piglio è sincero e forte, e l'assunto reprobativo non si sente più, si fonde con la semplice rappresentazione delle cose, di quel cielo spietato, di quelle nevi allucinanti, di quella terra russa andata così imprudentemente a stuzzicare. Oltre ai ricordati, una folla di altri interpreti, fra i quali sì fanno valere Tatiana Samoìlova (in una parte alquanto gratuita), G. Mikhailov, Nino Vingelli, Gino Pernice e Peter Falli. J. p. * * (Ambrosio) — Gli spettatori sensìbili, ammesso che non se ne sia perso lo stampo, entrino cinque minuti dopo l'inì¬ zio ed escano cinque minuti prima del termine di Ecco il finimondo: si risparmieranno lo spettacolo di un parto indolore e ili un'operazione al cuore. Non che ci sia da stare molto allegri con il resto: questo documentario a colori infatti, diretto da Paolo Nuzzi, discende dai « mondo cane » jacopcttiani e, come quelli, si propone di mostrare quanto di abnorme, di crudele e di guasto vi' sia nella vita d'oggi e, in particolare, il triste destino dell'uomo minacciato dalla macchina. C'è bisogno di dire che spesso le immagini, di per sé innocenti, sono distorte da un montaggio arbitrario e da un sonoro capzioso? Ad ogni modo chi ama il genere, magari vergognandosene un poco, potrà studiare le aberrazioni di un maniaco sessuale, ammirare barboni newyorkesi, mistici californiani, operaie italiane con i complessi e molte altre stramberie. vice

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