L'India povera e religiosa attende con entusiasmo l'arrivo di Paolo VI di Francesco Rosso

L'India povera e religiosa attende con entusiasmo l'arrivo di Paolo VI Domani il primo viaggio di un Pontefice nel ««Terzo mondo» L'India povera e religiosa attende con entusiasmo l'arrivo di Paolo VI Le ragioni politiche hanno un peso nelle calde accoglienze preparate per il Papa: il paese è travagliato da una carestia tremenda e minacciato dalla Cina - Ma le folle più umili guardano al visitatore come al simbolo della solidarietà umana e dell'amore; dicono: « E' un "guru" » (un "illuminato") - Il fasto ufficiale e le necessarie precauzioni delle visite di Slato circonderanno l'ospite; tuttavia il fatto spirituale prevarrà certamente sulle cerimonie - L'incontro fra il Pontefice e il presidente dell'India sarà il primo dialogo diretto fra due religioni, che insieme abbracciano un miliardo di uomini (Dal nostro inviato speciale) Bombay, 30 novembre. Tutta l'India, anche i più remoti villaggi, si è accesa per l'arrivo imminente di Paolo VI e buona parte di merito dell'entusiasmo venato di superstizione che si nota ovunque, deve essere attribuito a quei /anatici indù della setta Mahashaba che avevano promesso di accogliere il Pontefice con manifestazioni ostili, minacciando oscuri attentati. Dovuta ad un equivoco op- [pure alle esagerazioni di cro nisti troppo zelanti, la presentZa di questi quattro gatti estre- misti che fanno capo a Durlca Bakhle ed al fratello dell'assassino di Gandhi, assunse un rilievo che in realtà non ha. Dibattute dai giornali locali, dalla radio, dalle cìliacchiere di caffè quelle minacce prese ra una certa consistenza fino a indurre Paolo VI nella di chiarazione fatta domenica scorsa a deplorare che al suo viaggio si dessero significati cui Egli non aveva mai pensato. Quella setta conta forse cinquemila aderenti, meno di una pulce sul gran corpo dei IfiO milioni di indiani; ma poiché la prudenza non è mai troppa, soprattutto se si guardano le cose alla luce dell'assassinio di Gandhi, la polizia ha arrestato i due capoccia, costretto a domicilio coatto un altro centinaio di facinorosi e ripulito Bombay da ladri e borsaioli. Una misura precauzionale che qualunque polizia prenderebbe per garantire la sicurezza di un ospite di eccezione. Le polemiche tuttavia hanno destato nell'opinione pubblica indiana un interesse enorme per la visitn del Pontefice, soprattutto fra le classi più umili. In questi giorni camminando tra la folla che dilaga per le vie di Bombay come l'onda compatta di un oceano, mi soffermavo a interrogare la gente, a domandargli che cosa rappresentava per lo¬ ro — indù — il Papa dei cat tolici. c E' un guru >, rispondevano; cioè un saggio illumi nato e santo. Cos'i si entrava non tanto nell'atmosfera del Congresso Eucaristico che sta svolgendosi a Bombay e che è stato il pretesto per il viaggio del Pontefice, ma della terra che attende il Papa, intrisa di religiosità. Paolo VI vedrà che cosa è l'India fin dalla sua discesa dall'aereo, fin dai primi tratti di strade che percorrerà per raggiungere il fastigio eretto nella grande piazza di Bombay: capanne di paglia confitte nella melma putrida; migliaia e migliaia di persone che l'atroce carestia (forse la più drammatica delle molte che affollano la lunga storia indiana) ha reso macilente, fantasmi più che esseri corporei. Proprio per questo egli ha scelto l'India come mèta del suo primo viaggio nel vasto mondo (quello in Palestina dell'anno scorso aveva caratte- re diverso: era il successore di Pietro che tornava alle origini della cristianità sul Golgota). Questo viaggio in India invece simboleggia l'ansia della Chiesa per ì poveri e per i diseredati. E' l'accostamento della Chiesa al mondo afro-asiatico che, avendo raggiunto da poco l'indipendenza politica e umana, lotta per risolvere i problemi dell'esistanza e del pane. Certo si parla molto di questo viaggio e si tenterà di trarne molte interpretazioni politiche e religiose; ma da quello che lio veduto, penso che gli indiani abbiano compreso fin nel l'intimo il significato che Paolo VI ha dato a questo suo pellegrinaggio, che è un atto di amore per chi non ha nemmeno il pane ogni giorno, ed una parola di speranza per chi — come molti indiani sono ancora sopraffatti dalle ingiuste anacronistiche disu mane separazioni castali. Ieri, quando il cardinale Agagianian, legato del Pontefice al Congresso Eucaristico, si è rivolto al cardinale Gracias, arcivescovo di Bombay, come ad un suo superiore e lo venerava secondo gli schemi della li turgia cattolica, ho veduto donne e uomini indiani della più limile estrazione tergersi le lacrime; non commossi dalla solennità del rito, ma dal fatto che un non indiano si inginoc chiasse dinanzi all'uomo Gracias, di umilissime origini, forse intoccabile, ed eletto dai cattolici principe della loro Chiesa. In questa situazione anche le polemiche tra il clero cattolico e quello indiano, cioè tra coloro che volevano ricevere il Pontefice con spoglia povertà francescana, e coloro che invece pensavano all'apoteosi di un sovrano orientale, perdono interesse e vigore. Sono prevalsi gli ultimi: il luogo dove si svolge il Congresso, ha il fasto delle grandi composizioni scenografiche. Un'immensa pedana alta, sormontata da un vistoso emblema dei cinque continenti: una composizione astratta di cinque linee verticali, che si riunisco7io in un unico vertice raffigurato da una stella illuminata di continuo. Intorno alla platea sono disposte settemila sedie per la formicolante moltitudine che assisterà alle manifestazioni. Dicevo che tutto ciò non ha valore. Alcune delle polemiche sull'opportunità di ostentare lo sfarzo in un paese afflitto da una secolare miseria e dalla carestia, non hanno scosso i cattolici indiani, i quali vedono nell'arrivo di Paolo VI un divino barlume di speranza per le loro molte sofferenze. I cattolici indiani sono circa sei milioni nel grande mare degli indù; ma i remissivi, tolleranti indiani che cercano ovunque l'aspetto religioso delle manifestazioni più materiali della esistema, vedono in Paolo VI uno dei grandi capi re¬ ligiosi che reggono le sorti dell'umanità. Alcuni teologi indù, anzi, affermano che potrebbe essere la settima incarnazione di Brahma, cioè del Dio universale, e con questo spirito lo accoglieranno. Naturalmente oltre alle interpretazioni teologiche e le semplici manifestazioni degli indù, ci sono poi le risposte degli uomini politici; ma su un piano di alta dignità. E' vero che il governo indiano ha preso per l'arrivo del Pontefice precauzioni che non furono mai prese nemmeno per la visita della regina Elisabetta d'Inghilterra e di Kruscev, che ventimila poliziotti veglieranno sulla incolumità di Paolo VI, che un gruppo di pistoleri dalla mira infallibile guarderanno con gli occhi di Argo la folla a. prevenire qualsiasi attentato; ma è ancora nulla in confronto al gesto del Presidente della Repubblica indiana. Questi, se non andrà all'aereo ad accogliere il Pontefice, si recherà però a fargli visita all'Arcivescovado di Bombay, spostandosi da Nuova Delhi cioè dalla capitale dell'India, cosa che, mi assicurano, contrasta con il cerimoniale con sueto e che accade assai di rado. Tanto fervore ufficiale nelle accoglienze ha un suo signi ficaio: il viaggio di Paolo VI ed il fatto che Egli abbia scel to l'India per il suo primo viaggio nel mondo, non solo ha lusingato gli indiani, ma gli ha fatto anche un favore. L'India sta attraversando un memento delicato per i suoi contrasti con la Cina comunista, si è alienate molte simpatie dei paesi afroasiatici che non nascondono la loro inclinazione per il regime di Pechino, e si sente isolata. Inoltre le gravi controversie con Mao Tse-tung sono complicate dalla situazione economica del paese afflitto dalla carestìa. L'India ha bisogno che il mondo si interessi ai suoi problemi, che la guardi con simpatia, che l'aiuti a superare il momento difficile in cui si dibatte. Ma se questi problemi contingenti hanno un forte rilievo, passeranno in seconda linea dinanzi al significato spirituale del pellegrinaggio. Quando il Presidente dell'Unione Indiana stringerà la mano al Pontefice Romano, si potrà dire che gli esponenti di due sterminati mondi religiosi si incontrano e si comprendono. Il presidente Radhakrishnan è un grande bramino, cioè un grande sacerdote degli oltre 400 milioni di indù; un uomo che ha trascorso l'esistenza a studiare e commentare i Veda, i testi sacri dell'induismo; il Papa è il capo di 500 milioni di carolici. Due mondi, due religioni, quasi un miliardo di uomini troveranno il punto di incontro in questa India sterminata ed infelice, che crede nei valori dello spirito più che in quelli terreni, che ha fatto della pace e della non violenza il suo simbolo, e che si prepara ad accogliere trionfalmente il rappresentante di una religione che predica la -pace, l'amore, la carità. Francesco Rosso