Lo svago (dicono i filosofi) è una necessità dell'uomo

Lo svago (dicono i filosofi) è una necessità dell'uomo Lo svago (dicono i filosofi) è una necessità dell'uomo Uno dei sintomi clic comunemente si adducono della cosiddetta « crisi del costume » della società contemporanea è l'amore, anzi la «sete», di divertimento. Si pensa che i nostri padri e i nostri nonni o le « generazioni passate » dividessero il loro tempo tra il lavoro e la famiglia, completamente assorti nell'adempimento austero dei loro doveri quotidiani e completamente alieni da qualsiasi distrazione. Nonostante la perdita di ingenuità che caratterizza tanti nostri atteggiamenti, questo è un caso nel quale l'ingenuità non è stata perduta. Se si riflette che il divertimento comprende i giochi (di tutte le specie), la caccia, la pesca, la conversazione, i racconti, la danza, il canto, le feste, i banchetti e gli spettacoli di tutti i generi, si può constatare agevolmente che, in una forma o nell'altra o in tutte le forme, esso accompagna la vita dell'in tero genere umano in tutti : suoi gradi e in tutte le sue manifestazioni. Le società primitive non differiscono in questo dalle società evolute o civili, salvo forse per la parte maggiore di tempo che consacrano al divertimento: giacché si danno al canto, alla danza o alle cerimonie erotiche appena hanno provveduto alla soddisfazione dei bisogni più elementari e ritornano malvolentieri ai lavori abituali solo quando quei bisogni sono nuovamente diventati urgenti. Ciò che fa pensare ad una sete di divertimento propria della sociclà contemporanea, è piut tosto il carattere clic il divertimento ha assunto in tale società: l'uniformità, la diffusione pressoché universale di molte forme di divertimento che prima si coltivavano in ambienti chiusi o ristretti e che ora sono venute alla luce e tendono a essere partecipate da tutti gli strati sociali. 11 fatto è che il divertimento accompagna tutte le for me della vita umana ed è una manifestazione di essa così costante come altre attività ritc mite più nobili, per esempio la morale o la religione. I filosofi, dal canto loro, non solo lo hanno ritenuto costante, ma anche necessario. Hanno v sto in esso una manifestazione essenziali: della vita dell'uomo: una manifestazione cioè che consente di gettare unii sguardo approlondito su ciò che è Ics senza o la natura dell'uomo. Talvolta essi lo hanno considerato come una conseguenza della natura miserabile dell'uomo, tal altra come un aspetto positivo di essa; ma in ogni caso ne hanno accentuato il carattere essenziale o inevitabile, la sua connessione strettissima con la sostanza della vita umana. Sulle orme degli antichi Stoici e di Cicerone, Montaigne vedeva nel divertimento una medicina delle passioni, che può tenere l'uomo lontano dalla gioia e dal l'afflizione eccessive. E Pascal, in celebri pagine dei suoi Pensieri, dette un'analisi classica del di vcrtimcnto, ritenuto inevitabilmente connesso con la condizio ne miserabile dell'uomo nel nion do. Pascal includeva nel diverti mento tutte le forme di attivi tà che occupano intensamente l'uomo e gli impediscono di pen sare a se stesso, alla sua natura debole e mortale. Sono diverti menti egualmente, secondo Pascal, le fatiche della guerra e il gioco della palla, la caccia alla lepre e il governo dei popoli; e la condizione del re è la più felice perche il re è circondato da persone che si prendono cura che non sia mai solo e in stato di pensare a se stesso, sapendo che, benché re, sarebbe miserabile se ci pensasse. Sembrerebbe, dice Pascal, che caricando gli uomini sin dall'infanzia di innumerevoli occupa zioni, preoccupazioni e cure, 1 si condanni all'infelicità; ma in lealtà non li si carica mai abbastanza, giacché, se si togliesse ro tutte le cure, essi vedrebbe ro se stessi, penserebbero a quel che sono, da dove vengono e a dove vanno, e sarebbero più an cora e irrimediabilmente infelici. II divertimento è perciò la sola fuga possibile dal senso della infelicità della vita, secondo Pascal. Secondo Schopenhauer, è invece la fuga dalla noia che interviene quando l'uomo ha ap pagato i suoi bisogni e ha supe rato il dolore della privazione. L'oscillazione in cui consiste, se concio Schopenhauer, l'intera vita dell'uomo, tra il dolore de bisogno e il tedio della soddi sfazione, subisce con il diverti mento una pausa temporanea che riempie il vuoto tra un'occupazione e l'altra. Certamente, secondo Pascal e Schopenhauer, il divertimento è una forma di quella che oggi si chiama «alienazione»: è un estraniarsi dell'uomo da se stesso, dalla sua coscienza di sé; ma c-io non lo rende meno cssen zialc. Iùl inevitabile ed essenziale esso è anche per i filosofi Per 1 quali non costituisce un estranianicnto. Criticando Pascal, Vammppdnmindtpuaz e a a n , e o o i o Voltaire affermava che pensare a se stesso significa rigorosamente non pensare a nulla: l'uomo può pensare a se stesso solo pensando alle cose che lo occupano e queste cose fanno parte della condizione umana non meno clic del « se stesso » dell'uomo. Da questo punto di vista, il divertimento non è un'estraniazione, non è neppure una medicina o una fuga: e, come tutte le attività umane, un rapporto con le cose o con gli altri uomini che riempiono il campo, altrimenti vuoto, della coscienza umana. Dallo stesso punto di vista, Hume affermava che solo dagli oggetti esterni l'uomo può ricevere gli stimoli che mettano in moto le sue capacità, lo occupino e lo divertano. Occupazione e divertimento obbediscono alla stessa legge. Più specificamente, Kant, l'austero filosofo del dovere, raccomandava, tra le forme del divertimento e come aiuto alla socievolezza, un banchetto di persone di buon gusto in cui il raccontarsi le novità del giorno, i ragionamenti vari e gli scherzi trovassero posto ugualmente. E Dewey vedeva nel divertimento un aspetto essenziale dell'esperienza umana, precisamente la fase finale o consumatoria di tale esperienza: nella quale Tuo mo si dedica al godimento di retto e immediato e che comprende il banchetto e la festività, l'ornamento, la danza, il canto, la pantomima, il raccontare storie e il rappresentarle. Si può dunque ritenere Tuo mo destinato a pensare unica menlc a se stesso e al proprio destino o a pensare alle cose o agli oggetti molteplici che lo circondano; si può ritenere infelice o neutra la sua condizione ne mondo. Conseguentemente, si può ritenere il divertimento un estraniarsi dalla natura umana o una manifestazione normale di essa: ma in ogni caso, esso fa parte integrante della natura e dell'esperienza dell'uomo e non può essere eliminato. I filosofi sono pertanto alieni dal pregiudizio moralistico, che vorrebbe eliminare il divertimeli to come un'inutile perdita di tempo e una distrazione pericolosa dalla serietà degli impegni che attendono l'uomo nella vìm E in realtà questo pregiudizio si può ritenere equivalente a quello di chi volesse che, per evitare perdite di tempo e distrazioni l'uomo rinunciasse al sonno. 11 divertimento non e certo il son no; è, a suo modo, un'attività impegnativa e scria in cui Tuo mo esprime o realizza se stesso, come si realizza ed esprime nelle attività che costituiscono il suo ldsaèsori i t i i i i 11 i i j r i i i iiiiini ni imi lavoro quotidiano. Nei confronti di tale lavoro il divertimento costituisce (come dice la parola) una diversione, un mutamento di attività: c, per di più, una diversione o mutamento che non è strumentale ma finale, non costituisce un mezzo per acquisire o produrre beni ma un godimento di beni. Se il divertimento occupa l'intera vita di un uomo, non è più divertimento perché perde la sua funzione di dare un altro corso all'attività abituale dell'uomo. La noia di una vita oziosa, dedicata soltanto a quelli che per gli altri sono « divertimenti », deriva appunto dal fatto che essa abolisce la funzione liberatrice del divertimento: funzione condizionata dalla partecipazione a una forma di attività che divertimento non sia. Ma, dall'altro lcde*11 11P M l M11 p 111111 : ! 11111 311111 ■ 111111111111■ lato, una vita che pretendesse chiudersi al divertimento e dedicarsi esclusivamente al lavoro e al dovere, finirebbe per fare di buona parte del lavoro e del dovere una forma di divertimento: un divertimento inconsapevole, pesante per se stesso e per gli altri e odioso per la sua ipocrisia. Si può, se si vuole, mettere il divertimento sul conto delle « debolezze umane » : purché non si veda in questa debolezza un motivo di condanna o di riprovazione. L'uomo è quello clic è, non contro o nonostante i suoi bisogni, ma in virtù di essi. Prendere atto di tali bisogni e appagarli ragionevolmente, è la prima condizione del suo equilibrio e della sua efficienza. E il divertimento è, certamente, uno di tali bisogni. Nicola Abbagnano ■ 111111111111(11 Il IIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIII

Persone citate: Cicerone, Dewey, Kant, Nicola Abbagnano, Pensieri, Schopenhauer