I romani si preparano alle amministrative in un clima di tranquillità che sfiora l'apatia di Vittorio Gorresio

I romani si preparano alle amministrative in un clima di tranquillità che sfiora l'apatia NELLA CAPITALE IL 12 NOVEMBRE SI VOTERÀ' PER IL CONSIGLIO PROVINCIALE I romani si preparano alle amministrative in un clima di tranquillità che sfiora l'apatia Non cosi due anni fa, quando si votò per il Consiglio comunale - Allora la lotta fra i partiti fu vivacissima e la de vinse di stretta misura dopo una contesa che aveva assunto toni polemici a volte aspri - Al contrario oggi non ci si accorge, quasi, delle elezioni imminenti • Eppure i problemi sono ancora gravissimi - Roma è il Comune più vasto d'Italia, tanto che si pensò di staccarne le borgate e costituirle in «sottocomuni» autonomi, con la provincia conta due milioni di elettori, e di questi almeno centomila vivono in baracche e tuguri - Alla periferia non è mai giunto il miracolo economico - Il Campidoglio ha debiti per oltre 500 miliardi (Dal nostro corrispondente) Roma, 11 novembre. A Roma, il 22 novembre, si voterà soltanto per l'amministrazione della provincia. Il Consiglio comunale in carica è stato eletto appena due anni fa, il 10 giugno 1062, e ciuindi ancora non decade. D'altra parte, essendo le questioni riservate alle Provincie obbiettivamente meno importanti di quelle di competenza dei comuni, ne diminuisce in proporzione l'interesse dei romani per la campagna in corso. E' tanto scarso che i partiti stanno adesso pensando di organizzare un dibattito pubblico alla iiiiiii1im tllllll IMIIIIlliriltIffitlllII presenza della stampa secondo le modalità proprie alle tavole rotonde della tv, per cercare di vincere l'apatia degli elettori della capitale. E' un'apatia tradizionale. Roma è una grande città pigra, ma questa volta appuri: anche minore l'impegno /tri partiti. Nel 1062, il ministro dell'Interno onorevole Taviani aveva notato che proprio a Roma la campagna si era svolta con una asprezza straordinaria toccando punte di violenza sconosciute alle altre città (< Sembrerebbe che Roma — aveva detto — .sin stata scelta dalle estreme come teatro di una battaglia IIII HllllllllHHllllllUMHIHillllMt rillll non sempre solamente ideologica >l. Allora, in/atti, la posta era di avere in Campidoglio un'amministrazione che consentisse, o che impedisse, il continuare della speculazione edilizia, che è la piaga e la fonte di corruzione di quasi tutta la città. Invece, questa volta, la Giunta, da insediare nel Palazzo Valentini seguiterà a occuparsi delle strade provinciali, degli istituti tecnici e delle ^ure ai malati di mente, cose che non incidono nel gioco dei massimi interessi. Per questo, a Roma la passione elettorale è oggi forse meno viva che altrove. A Roma, a non parlare di piano regolatore e di sfruttamento delle aree fabbricabili, c'è ben poco da smuovere. E' una città la cui prima industria è sempre stata quella edilizia, e dove il giro degli affari legati a case e terreni costi- tuisce l'unico settore tanto nomo* dell'economia, essen- do tutti gli altri in funzione i i e a n a a i della sua qualità di capitale dello Stato, quindi connessi a redditi che si realizzano al- trove. Oggi che le attività immobiliari ristagnano o sono entrato in crisi acuta (sono fallite a Roma alcune imprese, anche grandi e famose) Roma è ferma nel suo vecchio torpore. Esso però non garantisce una sicura rassegnazione. Roma è anche capace di agitazioni improvvise, di esplosioni di collera, con massicce vaiate di braccianti dalle ultime frange suburbane fino al centro. Roma non ha una vera e propria popolazione operaia. Secondo le statistiche, gli addetti alle industrie sono circa 220 mila su un milione di persone occupate, ma non più di 60 o 70 mila sono i lavoratori effettivamente organizzati e stabilmente attivi nei settori di una produzione modernamente intesa. Pochi gli operai, la maggioranza proletaria romana, che in gran parte c di recente immigrazione, vive installata in una terra di nessuno, sparsa di costruzioni abusive e tuguri, di abitazioni definite « improprie* e baracche autentiche, che costituisce l'estrema fascia periferica della città, oltre le vecchie e le nuove borgate. E' una squallida Roma, se pure può chiamarsi ancora Roma, scontenta e esasperata, che in nessun momento è stata raggiunta dal miracolo economico e rappresenta una « riserva * rossa probabilmente irriducibile. Saragat, che è stato a lungo consigliere- comunale, diceva tempo fa che qui incomincia l'altra Italia. Nella Valle Padana ormai si vive come in Inghilterra, come in Svizzera, ma intorno a Roma già come in Africa. La sproporzione fra le due Italie dà le vertigini: « Ferrari, quando era sindaco socialista di Milano, fu disperato il giorno che vi scoprì l'esistenza di due o trecento baraccati. A Roma sono centomila! », gridava Saragat sulla faccia degli interlocutori, aggiungendo: «Comunisti e fascisti prosperarlo a Roma su questa situazione ». Per fronteggiare la minaccia della riserva o cintura rossa, il comitato civico romano lanciò nel 1052 la temeraria proposta di smembrare V enorme estensione amministrativa del comune, che è il più vasto d'Italia (150 mila ettari) e comprende la maggiore concentrazione di elettori del nostro paese, all'incirca un milione e 600 mila. Il progetto era di costituire le borgate in tanti piccoli sottocomuni, sull'esempio delle € maìries » di Parigi, cosicché Roma scorporata dalla sua periferia sarebbe stata per sempre al si¬ llllllllllllllMIIIIIIUIll 111MIM1111 II 11111111111 ■ 11 euro dai rischi di sinistra. Nei rioni e quartieri cittadini alligna infatti un qualunquismo che dei romani fa la popolazione urbana più accessibile, in tutta Italia, alle tentazioni del neo-fascismo. Fin dalle prime <t amministrative* del dopoguerra, L'estrema destra qui è rimasta forte. Allora il cosiddetto movimento dell'U. Q., mascheratila dei fascisti del tempo, raccolse più voti della stessa de (I04.HI, contro 102.252) e da quell'anno il neo-fascismo lia continuato a progredire a Roma, passando dai 3 seggi conquistati nel 194.7 agli 8 del 1052, diventali lo nel 1056, 12 nel 1060, 13 nel 1962. In ordine di grandezza, il msi ormai si è assestato sulle posizioni di terzo partito cittadino dopo il democristiano c il comunista, davanti al socialista e a tutti gli altri, ed è il partito sul quale, in occasione di elezioni comunali, hanno sem- | pre puntato gli esponenti de I \ I \ precario gli interessi immobiliari. Nel 1962 si parlò di due miliardi messi a. disposizione i del msi, e si calcolava che 1un singolo candidato missino avesse profuso per la propria campagna personale mezzi superiori a quelli spesi da un intero partito di media grandezza, il socialdemocratico ad esempio. Più ricchi dei democristiani e dei liberali, pure usualmente favoriti dai finanziatori delle battaglie elettorali, nell'arsenale dei loro strumenti pubblicitari i missini avevano di tutto, aeroplani persino, e un apparecchio da turismo sorvolò per esempio, ripetutamente, i giardini del Quirinale il giorno che essi erano aperti al ricevimento dei diplomatici stranieri nella ricorrenza della festa della Repubblica, e sparse lungo i viali, nei prati e sulle piccole tavole, volantini coi nomi dei candidati fascisti Brivio, Turchi e Almirante. La crisi dell'edilizia srmhra quest'anno avere inaridito le fonti di un finanziamento che oltretutto sarebbe sproporzionata agli obbiettivi da raggiungere, e si prevede come possibile conseguenza una. flessione dei voti fascisti per la giunta di Palazzo Valentini. Il rapporto tra le forze politiche in provincia e in città è sempre stato, d'altra parte, più favorevole alla sinistra in provincia, e alla destra, in ritta. Nel quadriennio fra il '56 ed il '60 una giunta social-comunista resse l'amministrazione in Palazzo Valentini. mentre in Campidoglio governava il sindaco democristiano Urbano Cioccetti con il sostegno di liberali, monarchici e missini. Nel '60, in Palazzo Valentini fu insediata una giunta di centro-sinistra, che adesso è giunta, onorevolmente al termine del suo mandato, mentre in Campidoglio, dopo un breve neriado di gestione minoritaria Cioccetti, si dovette ricorrere al commissario prefettizio Pasquale. Diana e alle nuove elezioni del '62. Da due anni, una giunta di centro-sinistra governa anche in Campidoglio, non minoritaria ma neppure maggioritaria in senso stretto. E' paritaria, diremmo, perche il Consiglio comunale e. composto da quaraiita eletti di centrosinistra '2/t democristiani, 10 socialisti, 5 social• democratici, 1 repubblicano) 1 e da quaranta oppositori (19 comunisti, 13 missini, 6 libe| rali e 2 monarchici). Le dif| flcoltà connesse a questo equilibrio politico sono aggravate dall'eredità di una paurosa crisi finanziaria, in gran parte dovuta alla, precedente pessima amministrazione quasi ventennale. Nell'ultimo bilancio presentato, il deficit previsto è di S5 miliardi 737 milioni, 1i| ti 1111111 II 111 II 11111111111111 II 11111111111111111111 II II 111 f ma il disavanzo effettivo per i debiti contratti supera i 500 miliardi. Roma pertanto assorbe un quinto, circa, della situazione debitoria complessiva di tutti i comuni italiani, ed è un quinto da riferire ad. una popolazione che è. soltanto un ventesimo di quella totale italiana. Non meraviglia quindi che il problema di Roma sia sempre stato fra i più ingrati per la de, e non è un caso che alla de sia mancato il coraggio, fra un'elezione e l'altra, di ripresentare candidato il sindaco uscente. Sacrificato Salvatore Rebecchini nel 1956, Urbano Cioccetti fu praticamente silurato nel 1960, fra le proteste della destra democristiana cìie a Roma, prevaleva sulle altre correnti: *Dove andiamo a finirei — gridava Franco Evangelisti, allora segretario regionale per il Lazio — abbiamo fatto fuori Rebecchini, facciamo fuori anche Cioccetti. La de non è più quella vecchia signora prepotente con gli altri, come dicono sia, ma un mostro che divora di quattr'anni in quattr'anni i figli suoi*. Dopo Cioccetti è stato sindaco un professore, Glauco Della Porta, nuovo alla politica attiva, già capo ufficio studi del Banco di Roma, tecnocrate di moderna vocazione, fornito di solidi studi economici, che si è dimesso alcuni mesi fa per dare il passo ad un altro perfetto galantuomo, Amerigo Pe trucci, riconosciuto il più adatto a fare il sindaco, avendo egli acquistato competenza dei problemi specifici di una città come Roma nelle precedenti sue funzioni di assessore per l'urbanistica. Come bilancio positivo delle due ultime gestioni capitoline, la de presenta adesso il risultato di aver ottenuto oggi, mercoledì 11 novembre, l'approvazione in Senato di una legge che assicura un contributo stabile dello Stato di cinque miliardi annui a favore di Roma, in considerazione delle sue < esigenze come capitale della Repubblica ». In più, la stessa legge autorizza il comune ad assumere prestiti per 150 miliardi, 100 dei quali dalla Cassa Depositi e Prestiti e gli altri 50 a qualunque fonte, anche straniera. E' l'operazione che la stampa romana da qualche anno chiamava *il debitissimo », considerandolo un espediente che non sarebbe bastato a risolvere i problemi cittadini, ma che è comunque < una boccata d'ossigeno capace di far sopravvivere, per qualche tempo ancora, un organismo malato » quale è Roma. La boccata d'ossigeno è a vantaggio del comune, ma in questo momento serve alla propaganda anche per le elezioni provinciali, nell'ambito di quel milione e 600 mila elettori che sono la schiacciante maggioranza sul totale dei due milioni di iscritti per l'intera provincia. Non è certo, del resto, ch« a ciascun elettore sia chiara in mente la distinzione fra interessi e problemi rispettivamente pertinenti al comwne e alla provincia, e neppure è da escludere che parecchi romani pensino di dover votare il 22 novembre per il Campidoglio anziché per Palazzo Valentini. Il sindaco Petruecì ha quindi reso un buon servigio al suo collega Nicola Signorello, presidente della provincia, assicurandosi quel « debitissimo » che forse alcuni semplici elettori crederanno un regalo. Vittorio Gorresio