Per i nomadi come per i convogli motorizzati degli occidentali

Per i nomadi come per i convogli motorizzati degli occidentali Per i nomadi come per i convogli motorizzati degli occidentali minaccia della morte di sete resta ancora l'incubo del Sahara Eppure le carovane attraversano immensi spazi desertici, percorrendo in media una cinquantina di chilometri al giorno Si dirigono con le stelle, e ora anche con il passaggio degli aerei - Ma guai a « perdere » le oasi od a finire su pozzi con l'acqua infetta - I carovanieri, spesso, preferiscono rischiare la morte che uccidere il proprio cammello per trarne l'acqua Quattro meharisti della ca(Nostro servizio particolare) El Golea (Algeria), ott. 1964. Sitila infuocata pista di El Golea (non una nube, né ombra di temporale all'orizzonte, ma un sole a picco, tremendo) eravamo alle prese IIIMIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIII arovana incontrata durante il viaggio 4. l e I il ee di o oe aoi o a io, i. di elpdi r e 5, col problema dell'acqua: ah villaggio ove c'eravamo fermati la notte precedente, l'autocisterna adibita per il rifornimento non era giunta. E così eravamo rimasti senza aver potuto far rifornimento né per noi, ne per le nostre auto, e affrontavamo il cammino molto preoccupati. A un certo punto, la pista s'arrampicava sul ciglio di un dosso sabbioso, uno dei tanti argini naturali degli oued, cioè i letti disseccati di quelli che furono i fiumi sahariani. Ma questo non era disseccato: alla nostra vista stupita, il « morto » oued si rivelò ben vivo, come un impetuoso largo torrente; le acque di una pioggia caduta nella notte, chissà, a monte, lo riempivano in altezza e in larghezza. Un grande camion-cisterna era bloccato al centro dello oued; evidentemente aveva tentato il guado ed era rimasto semisommerso dalle acque. L'autista ed il meccanico erano in piedi sull'abitacolo, miracolosamente in salvo, e attendevano che la piena passasse e le acque scomparissero. Per attraversare lo oued e continuare il viaggio, anche noi dovemmo attendere, seduti sull'argine. E quando finalmente le acque si abbassarono, e il camion semisommerso rimase all'asciutto, ci mettemmo tutti a ridere. Sulla cisterna del camion si leggevano chiaramente, scritte a lettere cubitali te parole: ■ Società Sahariana dei rifornimenti idrici >. Il camion bloccato dalla piena... era l'au- tobotte dsera primHo narsolo per indell'acquadi corrispè un temAnche tutti colooggi il dpiù modervarsi senva e costper ogni gio, malgrrifornimedi soccortutto e sovunque, del SaharMi son quanto dpreoccupachi affroncon le traun tempobattute, ssive scortsono toltoLargeau, madi proCafra — lomctri pguati sonoin rappora registrafono loia col capo-Le sue straordinacomprendgi si muoti gruppi to quindi mente, pasuoi punSono contrascrizio a Faya-Largeau la tobotte dell'acqua attesa sera prima ul villaggio! Ho narrato quest'episodio solo per introdurre il discorso dell'acqua, che in una serie di corrispondenze dal Sahara è un tema inevitabile. Anche per noi, come per tutti coloro che affrontano oggi il deserto con i mezzi più moderni, la paura di trovarsi senz'acqua rimane viva e costante preoccupazione per ogni chilometro di viaggio, malgrado ormai centri di rifornimento e organizzazioni di soccorso esistano dappertutto e siano assai efficienti ovunque, in qualunque parte del Sahara. Mi son chiesto molte volte quanto debba pesare questa preoccupazione dell'acqua a chi affronta il deserto ancora con le tradizionali carovane di un tempo, lungo piste poco battute, senza radio né eccessive scorte; curiosità che mi sono tolto incontrando a Faya Largeau, una carovana di no-\ madi provenienti dall'Oasi di\ Cafra — circa settecento chi" lomctri più a nord — con il guati sono riuscito ad entrare' in rapporto arrivando perfino] a registrare con un magneto-\ fono loia specie di intervistai col capo-carovana. Le sue risposte mi paiono straordinariamente efficaci per comprendere come ancor oggi si muovano nel Sahara certi gruppi di nomadi; e riporto quindi l'intervista letteralmente, paiola per parola, nei suoi punti più interessanti. Sono convinto che la nuda trascrizione di quel dialogo, (Fotografìa Folco Qui liei) valga come documento più di qualunque rielaborazione in chiave letteraria o anche strettamente cronachistica. Con l'aiuto di un interprete, avevo iniziato a parlare col capo-carovana facendomi narrare di tutto il suo viaggio da Cufra a Faya-Largeau; poi gli avevo chiesto quale fosse ^lato di tutto quell'itinerario, per la sua carovana il tratto più difficile. Mi aveva risposto che il tratto più duro erano i trecento chilometri da Buttafal a Cufra; e io avevo poi così proseguito con le mie domande: Domanda — Quanto tempo impieghi con la tua carovana per attraversare i trecento chilometri da Buttafal a Cu fra f Risposta capo carovana Il tempo di sette giorni. Domanda — Quali sono t tuoi punti di riferimento? Capo carovana — Il viaggio attraversa una zona sabbiosa: completamente piatta, non ci1 sono punti di riferimento. Domanda — Usi bussola? Risposta — Le stelle sono sufficienti per orientare il no-l stro viaggio, ora però è molto ! più facile regolarci sul pas-\ saggio dell'aeroplano. (Abbiamo poi controllato: esiste una linea aerea quotidiana che sorvola quella zona di deserto di notte; è un volo « Air France » diretto senza scalo a Nairobi per raggiungere il Madagascar: evidentemente la regolarità del passaggio dell'aereo, le ^ue luci di posizione perfettamente individuabili in un cielo dove mai esiste nebbia o nubi, fanno preferire alle antiche immobili costellazioni questa regolare stella cometa che riempie ogni notte per un breve istante la solitudine del deserto col suo sibilo acuto). Domanda — Qual è il maggiore pericolo della traversata da Buttafal a Cufrat Risposta di uno dei carovanieri — E' alla fine del viaggio: per un piccolo errore di rotta si può mancare il pozzo di arrivo. Basta sbagliare di poco e si passa accanto, senza accorgersi, all'oasi ove è l'acqua. Quell'oasi non è visibile da grande distanza. Domanda — E rosa può accadere allora? Risposta capo carovana — Sbagliando il pozzo d'arrivo ci si può perdere e per disperazione si può essere pronti a bere in pozzi non conosciuti, le cui acque molte volte sono cattive. Domanda — Cattivm vuol dire di gusto, o vuol dire velenose? Risposta capo carovana — Vuol dire cattive di gusto, molto nauseabonde, e tutto Questo già può fare molto male. In casi rari, le acque possono essere nocive come quelle del pozzo di Tni-haìaia nell'erg di Echchec. Dei miei uomini entrarono nell'acqua di questo pozzo per lavarsi prima di bere, e ne hanno avuti mani e piedi bruciati con piaghe che durarono trenta giorni. I più giovani della carovana, non trattenuti a tempo, bevvero alcuni sorsi di quell'acqua e vomitarono san gue. Domanda — Molti nomadi delle carovane hanno rischia to realmente di morire di te te nel deserto? Risposta capo carovana — E' molto difficile che noi s possa morire di sete pache i nomadi resistono molto tem po. In caso di mancanza d'ac qua possiamo uccidere delle gazzelle, hanno nello stomaco un sacco d'acqua verde, mot to cattiva, ma basta ver non morire. Lo stesso si imo fare con un menavi: ma è molto diffìcile che un nomade curo camere uccida il suo mehari: più facilmente si lascia mo rire piuttosto che uccidere il suo (olimaie. Domanda — Chi ha vissuto questa avventura, chi è quasi morto di sete ma si è salvato, cosa racconta? Risposta capo carovana (dopo un lungo silenzio, probabilmente a cercare nei ricordi più lontani) — Non si sente veramente dolore iicr la sete, ma mancano tutte le forze. Non si ricorda e non si capisce nulla e a poco a poco sì cade e non si riesce più a camminare. Noi abbiamo salvato molti bianchi da questo, molti europei. Mio padre partecipò alle ricerche di un. generale francese. La Pèrìnne. Il suo aereo era caduto senza bruciare ma quando lo trovammo, lui era morto sulla sabbia accanto. Era morto di sete. Folco Quilici

Persone citate: Faya, Faya Largeau, Folco Quilici

Luoghi citati: Algeria, Cufra, El Golea, Madagascar, Nairobi