L'attesa «prima» europea del dramma di Miller su a Roma Marilyn di Francesco Bernardelli

L'attesa «prima» europea del dramma di Miller su a Roma Marilyn Pubblico d'eccezione per lo spettacolo al teatro Eliseo L'attesa «prima» europea del dramma di Miller su a Roma Marilyn "Dopo la caduta" allestito da Franco Zeffirelli con Albertazzi e Monica Vitti sotto l'egida dello Stabile di Genova (Dal nostro inviato speciale) Roma, 22 ottobre. Gremito questa sera l'Eliseo (come già ieri alla « prova generale » ) per l'attesissimo dramma di Arthur Miller, Dopo la caduta (traduzione di Gerardo Guerrieri), che il Teatro Stabile della Città di Genova (diretto da Ivo Chiesa e Luigi Squarzina) ha presentato in « prima europea ». Pubblico teso, vibrante, che raccoglieva gran parte del mondo artistico romano, e che fece allo spettacolo fervide accoglienze, e ne sottolineò questa o quella scena con applausi scroscianti, e ne discuteva nei corridoi, e ne festeggiava gli interpreti. Protagonisti Giorgio Albertazzi e Monica Vitti, regista Franco Zeffirelli. Alla animazione degli spettatori concorsero senza dubbio la curiosità per quel fatto di uno scrittore illustre che confessa e rivela le più gelose intimità della sua vita sentimentale e coniugale, e il riferimento continuo e spontaneo al dramma tipico e straziante di Marilyn Monroe. Ne venne alla serata un carattere particolare, una sfumatura di aspettazione acuta e un po' eccitata, fuor del comune. Il dramma, come già scrivemmo recentemente, è complesso, e i suoi problemi suscitano complicati avvolgimenti di pensieri, di interrogativi, di esperienze; è il dramma di un uomo che cerca se stesso nelle inaccessibili o non controllabili pieghe del passato. E nel panorama appaiono dunque fatti personali e fatti sociali e politici ; l'intolleranza nervosa e inquietante del protagonista e il riflesso delle immani catastrofi e delusioni d'una intera civiltà. Vi è un uomo che ricor da, e vi sono le cose ricordate; vi è il primo piano del personaggio che scruta e dice, e vi sono, contemporaneamente, le figure che su altri piani, anteriori, interiori, remoti e pur prossimi, la memoria va evocati' do. E' questa la più gran de difficoltà della messa in scena del dramma di Miller: far coincidere la doppia prospettiva in un'intonazione unica, slittante dal racconto del personaggio Quentin alla rappresentazio ne scenica e concreta delle vaporanti memorie. L'incon tro della coscienza di Quentin con le dolcezze perdute, e i grandi dolori e le colpe sempre presenti dovrebbe scivolare, come avviene nel sogno... Tale difficoltà forse non è stata interamente dissipata, in questo spettacolo del resto bellissimo. Il fraseggio di alcuni attori ci parve lievemente alto nella penombra misteriosa, ma si deve considerare che il continuo uscire dei personaggi dal testo drammatico, e il loro continuo rientrarci a contrattempo, è senza dubbio un'ardua prova tecnica; anche aggiungendo che non solo la struttura a frammenti favorisce la dispersione del dramma, ma che la sovrabbondanza degli argomenti, dei problemi, delle diversioni e le continue rotture, rendono più evidente, nella laboriosa macchina teatrale congegnata da Miller, un certo affastellamento di idee polemiche e critiche che non sono poi sempre nuove né inedite, ma spesso già scontate non solo nella genera le letteratura contemporanea, ma nell'opera stessa del drammaturgo americano. Quando l'affollamento episodico si dirada, lo spet tacolo prende quota. Così avviene, al primo tempo, con l'arrivo di Maggie, os sia al punto in cui il dramma si annoda davvero in una realtà tutta esposta e nitida. Ed eccoci ai due protagonisti, che, tra tante intelligenti allusioni e incisioni nella « tematica » drammaturgica d'oggi, sono poi da soli tutto lo spettacolo. Molta era l'attesa anche per il ag,,ritorno al palcoscenico diMonica Vitti, dopo parecchi anni dedicati esclusivamente al cinematografo. Monica Vitti e il regista Zeffirelli non hanno voluto « rifare » il personaggio di Marilyn Monroe per varie buone ragioni, e particolarmente per la più valida di tutte, che un'aderenza imitativa troppo stretta alla cronaca non può che alterare la prospet- tiva di quell'arte drammatica che propone, autonoma, i suoi propri margini e limiti di fantasia, e li assolve e risolve in se stessa. Un personaggio teatrale è sempre una creatura che vive non nella verosimiglianza esteriore, ma nella verità deni« glrotaddp1 1111111111 II l ■ i M111 ! 1111M111 II I i 1111 II I n ■ dell'invenzione scenica. Monica Vitti non ha dunque « copiato » la figura, i modi, gli atteggiamenti della Monroe, ma ha voluto interpretare un tipo di donna mo derna che può anche ricor dare la Monroe, ma che so prattutto è personaggio-sin tesi, personaggio rappresentativo ; è la « diva » che, posta sulla cima di una grottesca adorazione collettiva, in realtà sempre più si svuota nel suo assurdo destino, e si perde. La Vitti è entrata in scena al primo tempo, nell'episodio dei giardini pubblici quando incontra Quentin, con molta freschezza e opportunità comica, e grazia popolaresca e infantile. E il pubblico ha sentito subito questa ventata d'aria leggera ed ha simpatizzato ed applaudito. Poi, nelle varie scene di capriccio, d'amore, di sensualità che la conducono alla follia finale, personalmente l'avremmo desiderata più sciolta e libera e abbandonata; una certa durezza ne irrigidiva l'aspetto, ne appannava forse alquanto la soffice, amorosa tenerezza, con quella angoscia, dentro, di chi si sente sfuggire la realtà. Poi la sua recitazione si è ripresa nelle note frementi, negli ardimenti del desiderio e del ribrezzo; scene violente; l'attrice ha sospinto la personcina esile di Maggie nella battaglia odiosa dei sensi, dell'amore infangato, delle smanie di morte, con accenti forti, spauriti e gentili. Alla sua aggressività torbida faceva fronte Giorgio Albertazzi. Questo attore intenso e aspro ha sostenuto la parte di Quentin con fiera potenza scenica. Duttile, mutevole, e pur coerente, egli non ha soltanto espresso il dramma astioso di un amante che perde le ragioni del suo amore, ma ne ha ricavato con intelligenza il sottofondo sconfinante, la motivazione romantica pur nel l'apparente realismo spieta- to e patologico. La furia avversa dei due personaggi si è scontrata sugli orli dell'abisso con balzante energia scenica, e sull'eco di profondi richiami la Vitti e l'Albertazzi ci sono parsi, in queste scene d'amore e di odio, particolarmente drammatici e bravi. Allo spettacolo, intelligente e armonioso, retto da Franco Zeffirelli con la sua celebrata e penetrante bravura, sostenuto coraggiosamente sulle scoscese anfrattuosita di un testo un po' gonfio e talvolta rettorico, hanno collaborato Franca Nuti (Holga), Ernes Zacconi (la « Madre » ), Marina Dolfin (Louise), Antonio Pierfederici, Gianni Mantesi, Giuseppe Tagliarini e altri attori ai quali va lode per l'opportunità espressiva e la pittoresca efficacia. Tra musiche allusive, sulla scenografia (dello stesso Zeffirelli ) che rappresentava un' infinita galleria metallica che s'inoltra nella prospettiva del nulla, Dopo la caduta ha avuto così il suo battesimo in Europa. Spettacolo di molto impegno e di molte esigenze, spettacolo sofferto e attraente, affrontato con ampiezza d'arte, con sensi di appassionata bellezza, e con lieto successo. Ancora un applauso a scena aperta per Monica Vitti e Giorgio Albertazzi, nelle sequenze del loro primo incontro d'amore. Dodi ci chiamate,, alla fine dello spettacolo, a tutti gli inter preti e al regista Franco Zeffirelli. Quattro chiamate per i protagonisti, e molte grida di « brava » indirizzate alla Vitti. Francesco Bernardelli Monica Vitti è l'interprete di «Dono la caduta» (Tel.)

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