Pamich racconta (con poche parole) di Paolo Monelli

Pamich racconta (con poche parole) Diffìcile intervista al grande marciatore Pamich racconta (con poche parole) CSal nostro inviato speciale) Tokio, 19 ottobre. Sono andato oggi al villaggio olimpico per parlare con Pamich che ha vinto ieri la gara di marcia di 50 chilometri in 4 ore 11 minuti e 14 secondi, superando di 14 minuti abbondanti il massimo olimpico (Donald Thompson, Roma, 4 ore i5'3o"), e prima di tutto ho trovato Dordoni che lo ha allenato e che Io assiste. Proprio il Dordoni di cui ci ricordiamo tutti, che vinse a Helsinki il 1952 questa stessa gara, entrando in pista tutto solo, come era rimasto solo negli ultimi 15 chilometri, precedendo il secondo arrivato di quasi 500 metri. Quando, dodici anni fa, andai a trovarlo subito dopo la vittoria, ebbi da lui un minuzioso racconto come era andata la gara, onesto, pulito, un poco anche patetico: come aveva seguito per 18 chilometri lo svedese che stava in testa; come per altri 17 chilometri avevano lottato a spalla a spalla; ogni tanto Dordoni lo superava di una decina di metri, poi si lasciava riprendere perché non si fidava: poi al rifornimento del 35" chilometro lo guardò bene in faccia e si accorse che era scoppiato, e allora se ne andò via da solo, e voltandosi indietro lo vedeva lontano cento metri, duecento, trecento, finché non lo vide più. E come fece in solitudine gli ultimi 15 chilometri, travagliato dai crampi e dalla paura di scoppiare anche lui; e lottava in gara con se stesso, per non soffrire della monotonia dell'impresa, e pregava, e pensava alla madre. Mi aspettavo un racconto cosi anche da Pamich, chiacchierano tanto volentieri i campioni, dopo la vittoria; la soddisfazione, il sollievo gli danno la parlantina che dà la simpamina. Ma appena lo vidi, un ragazzo schietto, sottile, biondo con un viso mobile, gentile, ma chiuso, capii subito che sarebbe stata un'altra cosa. Ci siamo seduti su una panchina nel prato davanti alla casetta dell'atletica leggera, al sole. Gli dicevo qualcosa per incoraggiarlo, e lui rispondeva con il minor numero di parole possibile, guardando con intensa attenzione l'erba .del prato. « Sto fresco, pensai, ci vorrà il. cavatappi per cavargli qualcosa di bocca: altro che racconto drammatico, altro che descrizione di sentimenti ». Risponde alle mie prime domande: « / primi cinque chilometri c'era in testa Agapov e mi sono messo con lui. Andava velocissimo. Dopo cinque chilometri ho visto che esagerava e l'ho lasciato andare. Poi sono tornato sotto senza forzare. Al 19° chilometro era bniciato, e l'ho inoliato. Verso il 22° o il 23° chilometro è venuto avanti il tedesco Hohne, poi l'inglese Nihill*. Faccio lo spiritoso, gli dico che si chiama come nihil in latino: « Si vede che era predestinato a non far nulla di buono ». Mi dice serio: « // suo nome ha una elle in più e si pronuncia Naihill. Ed è arrivato secondo, che è qual tosa ». E riprende: « Al giro di boa (Pamich è fiumano, parla il linguaggio mari naio, il giro di boa è il punto dal quale come nelle gare a vela si inizia il volo di ritorno; dun que al :s° chilometro) Nihill ha attaccato pancia a terra e ha continuato così per dicci chilometri; vedevo che si stancava Ala non mollava, sperava di farmi fuori ». Considero con ammirazione 1 con sgomento insieme questi « momenti ». Della interminabile marcia, cinque chilometri, dieci chilometri, che per noi sono co me una lunghissima gita, una eternità, penso alla lunga pazien za, allo sforzo assiduo che occorre a macinare strada con un passo che appare contrario alle condizioni naturali dell'uomo, come il trotto per il cavallo; e deve essere per questo che giun ti al traguardo questi marciatori si mettono subito a correre con l'evidente sollievo di sciogliersi finalmente. «Al momento che potevo slaccarlo — mi sentivo bene in forze e lui era vicino a me — tm è venuto mal di pancia. Mi sono trattenuto un poco, poi non c'erano versi, ho dovuto fermarmi e liberarmi. Allora lui si è ri preso ed ha attaccato di nuovo sperando di andar via. Dopo il 3S° chilometro era già cotto, ma ha sempre resistito, già un po' pallidino ». Debbo notare che queste risposte non gli uscivano cosi di un fiato come le trascrivo, sono il risultato di parecchie domande e di prolungati silenzi. « Concorreva anche Donald Thompson il campione di Roma? Com'è arrivato? ». f Decimo ». « Però ha superato il suo record di Roma di oltre tre minuti ». Non mi risponde; e potrebbe dirmi (ho già anticipata dentro di me la risposta) che se gli altri concorrenti fino a quello giunto quell'Agapov che era stato in testa per i primi cinque chilometri, hanno tutti superato il massimo olimpico stabilito da Thompson, il merito è della vivacità che ha impresso lui alla marcia. Dice lui: « Non ce la fa più con il nostro ritmo che è molto più veloce. Dopo Roma ove- arrivai terzo dopo di lui, non mi ha più battuto ». «E' vero quello che ho sentito dire, che ai marciatori giova la pioggia? ». (Ieri ha piovuto tutto il giorno, un'acqua continua, gelida, battente. Allo stadio hanno dovuto accendere i riflettori alle tre e mezzo, tanto era nero il ciclo. Le gradinate erano piene, tranne i settori più alti riservati negli altri giorni agli scolari e alle scolare; la copertura di ombrelli neri e lucidi mi faceva pensare ai tetti di certi paesi di campagna coperti di lastre nere di sasso. I giudici marciatiti con precauzione sul prato fradicio e attenti a non sguazzare nelle pozzanghere sulla pista, a due a tre con indosso lunghi impermeabili neri e cappucci neri fino agli occhi, mi parevano adesso tanti confratelli dell'associazione della Buona Morte). « Agli inglesi sì. A ine la pioggia ha fatto male. Invece grazie alla pioggia Nihill ha camminato meglio che se ci fosse stato il sole, ini ha detto.che si sentiva più efficiente del solito ». « C'era gente lungo il percorso, anche in campagna? ». « Molta gente sì durante tutto il percorso. Ma siamo sempre stati dentro Tokio ed i sobborghi, campagna vuota non ne ho veduto. Tutto il percorso era chiuso da transenne a cui badava una polizia severissima. Mai un momento che mi sentissi solo, anche quando andai via da me ». « Ala quando ha dovuto ter marsi? ». Un'ombra di sorriso. « L'ho fatta lì, non potevo far altro ». Gli chiedo se ci si avvilisce vedendosi lasciato addietro da uno che cammina più svelto. « Nessuna impressione se uno sente che può riprendere. (Juan do il russo è andato avanti, lo vedevo distante circa duecento metri, sapevo che non avrebbe durato a quel passo e sarei an dato a riprenderlo. Anzi è uno stimolo avere uno davanti. E quando c'è da lottare il tempo passa più in fretta ». « Chissà che pioggia di tclcfo nate dall'Italia ». « Sì, parecchie ». Passano alcuni campioni italiani, si fermano a rallegrarsi con lui. Accoglie i complimenti come dovuti: non gli si illumina il viso, non spreca parole a ringraziare: ordinaria amministra zionc. Davanti ad un atleta così laconico, cosi semplice, cosi freddo (ma è una freddezza che è una difesa, immagino, di sen timenti gelosi), bisogna far come liii. Non fargli altre domande non chiedergli altro, né progetti né speranze né segreti d'allena mento (ami alleno quando ho tempo finito il mio lavoro di geometra. E' faticoso, ma quan do c'è la passione... >i, e non giudizi. Ho arrischiato una domanda a questo proposito, me ne ha fatto subito pentire. « Corrono gli italiani alla maratona? ». « Sì, due ». « Hanno probabilità? ». « Sperano bene ». Un solo momento l'ho visto scuotersi dal riserbo, quando si è fermato a salutarlo uno dei nostri atleti, « come va con questi giornalisti che non si intendono di niente e fanno domande stupide? », e Pamich lo interruppe con fuoco : « Figurati che a me uno è venuto a chiedere quante volte mi sono cambiato le scarpe durante la marcia di ieri. "Almeno due o tre volte, vero?" ». Di tanta ignoranza era davvero indignato. Paolo Monelli L'italiano Pamich conquista sul traguardo di Tokio la medaglia d'oro dei SO chilometri di marcia (Tel.)

Luoghi citati: Helsinki, Italia, Roma, Tokio