«Credevamo che i gioielli ormai fossero nostri le ricerche fra i rottami dell1 aereo erano finite» di Remo Lugli

«Credevamo che i gioielli ormai fossero nostri le ricerche fra i rottami dell1 aereo erano finite» A colloquio coi cuneesi che trovarono i brillanti di re Ibn Saud «Credevamo che i gioielli ormai fossero nostri le ricerche fra i rottami dell1 aereo erano finite» I tre giovani negano di averli presi prima della scoperta del « Comet » o durante le operazioni di soccorso alle quali parteciparono - « Li rinvenimmo per caso, in estate; la zona era già stata ripulita. Per noi la roba apparteneva a chi la trovava » - E aggiungono: «Se fossimo stati in malafede, saremmo andati a Torino a farli valutare?» - Uno afferma: «Io avevo qualche dubbio; chiesi consiglio a un sacerdote e lui mi disse che potevo tenerli » - La polizia non ha elevato accuse : deciderà la magistratura (Dal nostro inviato speciale) Cuneo. 2 ottobre. Come era prevedibile, la notizia del rinvenimento dei gioielli di re Ibn Saud d'Arabia da parte di tre giovani siili'Argenterà, in prossimità del luogo del disastro aereo del 20 marzo 1963, ha suscitato a Cuneo vivo interesse. E non tanto perché c'è di mezzo un « tesoro > che la fantasia fa presto a ingigantire e a rendere favoloso, ma piuttosto perché ci sono di mezzo tre giovani appartenenti a famiglie stimatissime. Sono Piero Giacchi, 18 anni, studente liceale, abitante in via Marguareis 7 con la madre, professoressa Mar gherita, che è preside della scuola media di Borgo S. Dalmazzo; Carlo Marchisio, 19 anni, perito elettrotecnico, che abita in viale Angeli 82 con il padre geom. Marco, funzionario del locale ufficio tecnico erariale; e Guido Gasso, 1S anni, geometra, via Miritele Copino 3, da quest'anno studente universitario della facoltà di scienze. Elementi, tutti questi, riconosciuti all'unanimità ottimi. Però erano in possesso di circa 350 pezzi preziosi provenienti dall'aereo di re Saud sul quale avevano trovato la morte 1S persone tra il seguito del sovrano e l'equipaggio. E la polizia aveva scoperto questo possesso fermando alla stazione di Porta Nuova di Torino il Gosso, sua madre, e il geom. Marco Marchisio, i quali andavano in cerca di un orefice che potesse stimare i gioielli ed eventualmente acquistarli. La curiosità del pubblico verte tutta su queste domande: come e quando i tre giovani entrarono in possesso dei gioielli? e questo possesso era lecito o illecito* Alle prime domande rispondono gli interes sati, all'ultima dovrebbe ri spandere la polizia, ma ancora non l'ha fatto e con ogni prò babilità non lo farà. Pare infatti che la Mobile di Cuneo cui fanno capo le indagini dopo die la questura torinese ha trasmesso ad essa le prime ri sultanze e i gioielli sequestrati 1hiiiiiiiiiiiiii1iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii1iiiiiiiiiiiiiiiiii nelle tasche dei fermati, abbia intenzione di non elevare alcuna specifica imputazione: si limiterebbe a inviare alla magistratura un circostanziato rapporto unitamente ai pacchetti sigillati dei gioielli. Se i giovani riusciranno a dimostrare di non essersi appropriati dei preziosi nel periodo in cui la zona del disastro aereo era bloccata e controllata, cioè dalla fine di marzo al 3 luglio, essi avranno iimiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiimiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiimii probabilità di non essere denunciati. Oggi abbiamo parlato con tutti e tre i protagonisti, cioè anche con Piero Giacchi che era stato trattenuto in stato di arresto per oltraggio alla polizia. Giacchi fu prelevato dalla sua casa di campagna, ad Entraque. Temperamento nervoso, ebbe alcune manifestazioni di insofferenza per la amara circostanza e quando dalla questura telefonò alla madre per dire che cosa gli stava accadendo, ebbe una espressione irriguardosa verso chi lo tratteneva. Cosi dall'ufficio passò in cella. Ma oggi, grazie all'intervento di un avvocato, ha ottenuto la libertà provvisoria e domani potrà incominciare regolarmente il suo ultimo anno di liceo. Gosso, Marchisio e Giacchi sono tutti appassionatissimi di montagna e iscritti al Cai; i primi due appartengono anche al Soccorso alpino di Cuneo. Racconta Gosso: « I gioielli li trovammo nel corso di alcune ascensioni alla catena delle Guide cui appartengono anche la Punta Bifida contro la quale si schiantò il «Comet». L'apparecchio batté proprio a filo della cresta, a quota 2700, poi la maggior parte dei resti scivolarono giù per la sella Innevata del Souflì, ad ovest, e si fermarono a quota 2200. Dalla cresta frammenti minori si irradiarono per tre valloni: in quello sud, verso il rifugio Bozano e verso est, nel vallone del Lourousa. I nostri rinvenimenti li facemmo fra ì sassi della parete sud. I preziosi erano tutti sparsi in un vasto raggio e per racimolare questo quantitativo abbiamo fatto diverse ascensioni >. Il Gosso e il Marchisio presero parte, nel periodo immediatamente successivo al disastro, alle ricerche dell'aereo e, in seguito, al recupero dei cadaveri. «Ci è facile dimostrare — dice il Marchisio — che non potevamo aver raggiunto l'aereo prima della scoperta ufficiale. Quando non partecipavamo alle battute delle squadre di soccorso eravamo a scuola, dove è possibile controllare le assenze. E quelle battute significavano 7-8 ore di marcia nelle condizioni più difficili: in tre giorni facemmo addirittura 4 mila metri di dislivello, Non c'era certo il tempo e la forza di effettuare delle per¬ iiiiiiiiiuiiiiiiiiiiii hi in iiiiii lustrazioni clandestine, da soli, con il pericolo delle valanghe >. Aggiunge Guido Gosso: «E quand'anche avessimo raggiunto l'aereo, : resti erano sepolti sotto metri di neve, ci volevano, come poi s'è visto, squadre di spalatori per scoprire quelle povere cose ». il Giacchi, che non porteci pò alle ricerche non facendo parte del Soccorso Alpino, dice: « Io in quel periodo ero a scuola; in montagna incominciai ad andarci soltanto alla fine delle lezioni, in luglio ». Spiega ancora il Gosso: «In luglio, dopo che la zona fu dichiarata libera, iniziammo le nostre consuete scalate estive iiniiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiti iiiitiiiiiiiii a n e e e sul versante sud, completamente libero dalla neve, rinvenimmo i preziosi. Capimmo subito che si trattava del "tesoro " di re Saud, ma ritenevamo di non doverlo consegnare ad alcuno dato che la zona era già stata liberata, quindi i proprietari avevano automaticamente rinunciato ai loro diritti su quanto ancora poteva essere andato smarrito». Al nostro incontro è presente anche il padre di Marchisio. € Soltanto un mese fa sono venuto a conoscenza di questi rinvenimenti — dice. — Anch'io ho pensato che mio figlio e i suoi amici non facessero male a tenere i preziosi. La nostra buona fede è dimostrata dal fatto che siamo poi andati a Torino per cercare di farli stimare in qualche oreficeria. Se avessimo avuto la coscienza sporca ce ne saremmo ben guardati dal portarli in giro». Il geom. Marchisio, padre di Carlo, quando fu condotto in questura e si sentì rivolgere delle accuse, svenne. Lo portarono all'ospedale Maria Vittoria dove si riprese parecchio tempo dopo, tanto che dovettero lasciarlo ricoverato fino a sera. «I miei dubbi — racconta Guido Gosso — li risolsi chiedendo consiglio a un sacerdote che è mio consigliere spirituale. Mi chiese che cosa avrei fatto del denaro ricavato dai gioielli e gli dissi che l'avrei usato per continuare gli studi. In questo caso ", mi rispose il sacerdote, puoi tenerli liberamente senza render conto a nessuno ». La madre del geom. Gosso sconvolta ,er questa vicenda che improc Jisamente ha portato il nome suo e di suo fiylio alla ribalta della cronaca. Stamattina, quando il fotografo Enrico Finello di un giornale torinese si c presentato alla sua abitazione per fotografarla, ha reagito bruscamente, tanto da causargli una lussazione e un ematoma alla mano destra. E poiché il Finello è stato giudicato con una prognosi di 15 giorni, la questura è intervenuta con una denuncia d'ufficio a carico della donna per lesioni. Un incidente marginale del quale avrebbero fatto volontieri a meno sia la signora Gosso sia il fotografo. Remo Lugli iiiiiiiiiii itiiiiiiiiiiiiiiiiiiniiiiitiiiiiiiiii i emvssvreitdvsn hanno trovato i gioiell re Saud precipitato nel marzo '63 sull'Argentera (Moisio)

Luoghi citati: Argentera, Borgo S. Dalmazzo, Cuneo, Entraque, Torino