«Parisina»: un'opera dimenticata di Donizetti in scena alla «Settimana musicale senese»

«Parisina»: un'opera dimenticata di Donizetti in scena alla «Settimana musicale senese» Si riscopre soltanto oggi il grande patrimonio melodrammatico del compositore ottocentesco «Parisina»: un'opera dimenticata di Donizetti in scena alla «Settimana musicale senese» La vicenda è tratta da una truce novella in versi di George Byron, ispirata al Randello - Un lavoro prolisso, in cui le passioni dei principali personaggi risultano poco definite - Successo dell'esecuzione, con Marcella Pobbe protagonista (Nostro servizio particolare) Siena, 17 settembre. L'immenso fondale su cui Donizetti dipinse la sua vicenda melodrammatica esce gradualmente dall'ombra. Di esso, pochissimo era rimasto in luce. Dimenticate opere celebri, frequentemente eseguite nei primi decenni del secolo, quali La figlia del reggimento, Linda di Chamounix, e poi La Favorita; trascurata persino Don Pasquale; la fama, la grandezza di Donizetti rimasero affidate alle sole due opere sulle quali sicuro, unanime, dura U giudizio: Elixir d'amo- ricorda re, Lucia di Lammermoor. Poco per un musicista che aveva composto circa settanta melodrammi. Forse, anche per reazione a questo isolamento, nacque, in un clima culturale propizio, il desiderio di riproporre all'attenzione dei contemporanei alcune opere meritevoli di essere ascoltate. Proposta lodevole, opportuna, pur se richiede maggiore prudenza nella scelta, e un rigore filologico, una fedeltà all'originale, molto più severi. Tralasciando le opere minori (quali II campanello dello speziale, Betly, Rita), si devono ricordare: Lucrezia Borgia, Anna Bolena, Maria di Rohan, Poliuto, Don Sebastiano, Roberto Devereux, e, infine, Parisina, rappresentata ieri sera al Teatro Comunale dei Rlnnuovati per la ventunesima Settimana musicale senese. Quarantaquattresima opera di Donizetti, andata in scena al Teatro della Pergola di Firenze il 18 marzo del 1833, Parisina. o più compiutamente Parisina d'Este, nasce tra VElixir d'amore (1832) e la Lucia di Lammermoor (1835), ma con trascurabili suggestioni dalla prima (ad esempio, la cavatina del Duri al primo atto: «Per veder su quel bel viso>, così bonaria, tornita, quella di «Bel core» e contrasta fortemente con lo stato d'animo del personaggio); e con lieve precorrimento della seconda, ad esempio, le Intuizioni musicali dell'ultima parte del duetto ParisinaUgo, pure nel primo atto, troveranno la loro definitiva, perentoria soluzione nel duetto Lucia-Edgardo: «Verranno a te sull'aure >. da cui sono lontane come una inabile copia lo è dall'originale. Il libretto di Felice Romani, non inferiore ad altri suoi, è forse solo difettoso in qualche essenziale svolgimento e scioglimento, mette in scena un semplice, forte dramma privato, un conflitto di crude passioni, in una grande fosca cornice storica (ci sono dunque tutti i motivi cari, consueti a Donizetti). E storica è l'origine della vicenda, argomento della novella XLIV di Matteo Bandello, il quale, nel titolo, così lapidariamente la riassume: «Il marchese Niccolò terzo da Este, trovato il figliuolo con la matrigna in adulterio, a tutti dui in un medesimo giorno fa tagliar il capo in Ferrara ». Lasciamo il Bandello, anche perché il libretto di Romani deriva da una novella in versi di George Byron, il quale, a sua volta, trasse lo spunto da un passo delle «Antichità della Casa di Brunswich » dello storico Edward Gibbon. E le differenze sono fondamentali. Neppure trascurabili quelle fra la novella di Byron e il libretto di Romani, il quale, stranamente, rinunciò a sottolineare la circostanza che Parisina era destinata ad Ugo (come Elisabetta a Don Carlo, nell'opera di Verdi) e non accolse la pazzia che, in Byron, isola la protagonista. Nel Romani, il Duca è figura nobile, vigorosa, appassionata. Ama e sì tormenta nei sospetti di un adulterio. Parisina ama, riamata, Ugo, creduto da lei, e dal consorte, figlio adottivo del ministro Ernesto. Solo quando ne ha deciso la morte, il Duca apprende che Ugo è suo figlio. Perdona, o fìnge di perdonare, ad entrambi. Quando Ugo tenta di fuggire con l'amata, viene sorpreso ed ucciso. Parisina, alla vista del cadavere, muore. Un giudizio esauriente, documentato, sull'opera, cioè sulla musica di Donizetti, non è possibile. Manca la consultazione del testo originale e l'accertamento, sopra di esso, delle numerose cesure, delle modifiche apportate, e onestamente dichiarate. Ammesse pure le interpolazioni e sostituzioni con musiche dell'opera Caterina Cornaro. Ammissione che non attenua la gravità, inutile, dell'arbitrio. Comunque, impressioni, rapide, incalzanti, quali e quante ne suggerisce il faticoso ascolto. Nei suoi tre atti e numerosi quadri. Parisina ci è sembrata opera prolissa, poco meditata, sia nell'uso degli stilemi e delle formule consueti a Donizetti che nella elaborazione della ricchissima ma confusa materia musicale. Il dramma, i conflitti "sentimentali, le passioni dei tre principali personaggi non risultano chiaramente delineati e definiti. Ed i valori melodrammaturgici risentono troppo del pingue uso delle predette formule, delle convenzionali soluzioni non ravvivate dal la fantasia. Gli interventi corali, frequenti ed importanti, formano la cornice, ora festosa, popolare, ora triste, addirittura funebre, e più raffinata, ma sempre decorativa, ornamentale, dell'opera Le melodie, soprattutto le «t cavatine », non hanno, tranne alcune, il preciso disegno, la fantasiosa bellezza, i romanticissimi bagliori, la schubertiana lunghezza, dei grandi canti donizettiani. L'orchestrazione, ricca pure di felici spun- ti, fedele, anch'essa, agli sti- lemi, alla sintassi di Donizetti, appare inopportunamente fragorosa, e poco curata. Sintomi di un'enfasi, di una accaldata oratoria che pervade anche l'intera parte vocale e la conduce ad eccitazioni presto esaurite nell'edonismo canoro. L'impeto drammatico si risolve troppo spesso in una concitazione fonica, le finezze psicologiche, i conflitti interiori sono risolti in modo ingenuo o rozzo. Trovano più aperta espressione certa sdegnosa fierezza del Duca, non l'amore e l'ira, talune appassionate perorazioni amorose di Ugo, alcuni tratti del malinconico sognante abbandono di Parisina, e qualche vigoroso accento di Ernesto. Nascono di qui, in un contesto tuttora incompiuto, frammentario, prolisso, le numerose pagine meritevoli di essere ricordate: belle, donizettiane, ma nessuna altissima, compiutamente originale. Originalità che cerchiamo, invece, nell'intuitivo affannoso approfondimento drammatico, nel più frequente impiego di un fraseggio severo e variato, in talune nuove situazioni sceniche, quasi una nuova « Stimmung » operistica che Verdi non avrebbe dimenticata. La realizzazione, ardua e complessa, dell'opera, è apparsa dignitosamente sufficiente, per la parte musicale. Protagonista, dai felici accenti patetici, Marcella Pobbe; un Duca dalla chiara, vigorosa dizione, Giulio Fioravanti; squillante, gradevole Ugo, Renato Cioni; espressivo, Franco Ventriglia nella parte di Ernesto; disinvolta Imelda, Margherita Fogliano. Ha diretto l'Orchestra e il Coro del Comunale di Bologna, con melodrammatico vigore, Bruno Rigacci. Maestro del Coro, Giorgio Kirschner. Scene di Bruno Mello, regìa di Luciano Alberti. Successo caloroso. Parecchie le chiamate a tutti gli interpreti e al Direttore d'orchestra, e frequenti gli applausi per gli episodi più suggestivi da parte di un numeroso pubblico. Giuseppe Pugliese

Luoghi citati: Bologna, Don, Este, Ferrara, Firenze, Siena