Quelli che per un occidentale sono difetti spiegano forse il «miracolo» del Giappone di Francesco Rosso

Quelli che per un occidentale sono difetti spiegano forse il «miracolo» del Giappone UN POPOLO CHE NON SI LASCIA DEFINIRE CON LA NOSTRA LOGICA Quelli che per un occidentale sono difetti spiegano forse il «miracolo» del Giappone I giapponesi nascono con l'istinto del gregario: obbedienti al padre, al capufficio, al generale, ai grandi trmts - Hanno poca fantasia, una straordinaria facilità nel l'assimilare gli apporti stranieri, una precisione svizzera nel lavoro - Perciò sono riusciti ad accettare la sconfitta e la democrazia senza scosse, a gettarsi con disciplina rigorosa nella ricostruzione economica, a mantenere una solida stabilità politica malgrado la potenza degli estremisti - Ma come concilino raffinatezza e crudeltà, costumi occidentali e tradizione, attività e disperazione, per noi resta un mistero (Bai nostro inviato speciale) Tokio, settembre. Alla ricerca di impossibili accostamenti, i giapponesi sono stati definiti americani sottosviluppati, prussiani d'Asia, scandinavi gialli, una comoda fraseologia ad effetto per nascondere la difficoltà di ridurre in schemi convenzionali un popolo che sfugge alle classificazioni correnti. H giapponese nasce gregario, incline alla supina ob¬ iiiiiiiiiiiiiiiiiiii tiiiMiiiiiiiMirniiiiiiuiitiiii bedienza; può essere mite come un agnello, o crudele come un boia se glielo ordina il padrone del momento. Per avere un aspetto del temperamento giapponese basterebbe ricordare le recenti vicende belliche, le efferatezze commesse in Cina; ma c'è poi il contrappunto' violento dell'altro Giappone che dopo anni di cieca fiducia nella vittoria accoglie con miti sorrisi e inchini l'esercito nemico, accetta MiMiiiiiiiiMiiii titiniiiiiM ntiuiii iiiiiin senza reazioni la costituzione imposta dal gen. Mac Arthur die gli vieta il diritto a possedere forze armate, lo costringe -■ rinnegare la guerra anche come mezzo di difesa. Da violenti ed aggressivi si sono trasformati nel popolo più pacifista del mondo, più degli indiani. Contraddittorietà o astuzia asiatica? L'uno e l'altro Raffinati in apparenza, intimamente gelidi e crudeli, mi iiiiiinitiiriiiiiii iiiiMitiiittiimiiiiMiii iiiiib e a i . e , . , a l i a o e a n e i i i assicitra?io che in realtà essi tendono più di ogni cosa al kimochi, ciod al nulla, perchè convinti die il vero senso delle cose incomincia là dove l'intelligenza non ha più nulla da scoprire. In un musical show, conosco Takeshita, studente ventiquattrenne in una delle settanta università private di Tokio. Andiamo in un bar a conversare. Parla di sé, dei suoi amici, delle esperienze con le massaggiatrici. Fra un anno, o due, sposerà la. ragazza die suo padre gli imporrà Non si ribella a questo matrimonio senza amoret No, in Giappone è sempre stato, e continuerà ad essere così. Il giapponese nasce per obbedire sempre, ed in silenzio, al padre, ai nonni, al capoufficio, al superiore diretto e indiretto: obbedire soprattutto allo zaibatzu, accettarlo come regola indiscutibile di vita. Lo zaibatzu è il vertice feudale del Giappone moderno, qualcosa di più complesso e indecifrabile del trust occidentale, è V despota del paese. I giapponesi sono abituati da secoli ad essere guidati da piccoli gruppi onnipotenti; in passato erano le poche, grandi famiglie aristocratiche, oggi sono le potenze industriali ed economiche, lo zaibatzu. Il giovane che esce da una delle tante università ha una sola aspirazione, mettersi all'ombra di uno zaibatzu, il più potente possìbile * Meglio essere riparati da un albero grande che da uno piccolo > dicono qui, e se un giovane si impiega da Mitsubishi, che i controlla ITO società, si sente a posto per la vita. Non gli importa se non saprà mai chi lo dirige, né mai vedrà il volto del consigliere | delegato; egli sarà prosternato ad adorare la grande compagnia, come fino a ieri ha adorato l'imperatore senza mai vederlo. Takeshita mi dice che appena laureato spera di entrare alla Sony; farà una carriera lenta fra radio e televisori, senza promozioni . per merito, un'esistenza che dovrebbe rattristare un giovane, mortificare le sue aspirazioni. I giapponesi non si sentono mortificati, il pensiero di mettere all'asola il distintivo della t grande compagnia >, di essere irreggimentati nell'organizzazione li inorgoglisce liberandoli dalle responsabilità personali. Non stupisce, quindi, che la grande maggioranza dei giovani universitari, anche se di umile estrazione, vjtino per i conservatori, lottino contro gli scioperi, difendano gli interessi dello zaibatzu in cui aspirano di entrare. L'assoluta passività spiega andie la scarsa iniziativa individuale. Di opaca immaginazione, lenti nel macinare le idee, sono poi di una meticolosità svizzera nell'applicazione. Quando hanno afferrato un concetto lo applicano con teutonica precisione. In tutto il Giappone, a quanto mi risulta, è registrato un solo brevetto giapponese; tutto il resto è prodotto su licenze comperate, o rubaccliiate all'estero; fibre sintetiche, apparecchi radio e fotografici, automobili, prodotti chimici portano l'etichetta giapponese, ma hanno paternità, non sempre dichiarata, tedesca, americana, francese, italiana. Bisogna, tuttavia, andar cauti nelle generalizzazioni; non è possibile mettere in piedi colossi industriali di ottica e fotografia come la Canon, di radio e televisori come la Sony, solo copiando da altri; occorrono poi qualità organizzative che i giapponesi posseggono in sommo grado. Più che imitatori, essi sono dei formidabili assimilatori, fino a possedere una forma ili mimetismo animale che gli consente di trasformarsi anche fisicamente. Per strada incontro giovanotti e ragazze le cui acconciature mi ricordano fisionomie note: sono Sophie Loren e Beatles in versione giapponese, copie quasi perfette. Però, dire che copiano soltanto non è esatto, assimilano tutto ciò die li interessa fino a giapponesizzarlo. Con identica facilità hanno assorbito civiltà e religione cinesi senza perdere le proprie caratteristiche, il buddismo si è affiancato allo scintoismo in pacifica convivenza, indifferenza. L'occidentalizzazione dilagata dopo la guerra non ha cancellato il Giappone dei samurai; la tradizionale lotta stimo e l'americano baseball (jlieise e hostess, televisione a colori (quasi perfetta) e preghiere per i canarini defunti coesistono senza scontrarsi. Probabilmente sono questi contrasti a dare un fascino particolare alla vita giapponese e. nello stesso tempo a renderla indecifrabile. All'inizio mi esaltavo quando una gheisetta, accompagnandosi col shamisen, declamava e traduceva poi alcuni haikù, frammenti di poesia. « Essendo cacciata — la lucciola si nasconde nella luna »; < Nel silenzio — la voce delle cicale penetra le rocce >; < Una pioggerella d'estate — una donna siede sola, fissando lontano » recitava la ragazza; ma da quelle raffinatezze piombavo poi negli spettacoli dell'orrore. Poi ho compreso che il sadismo può essere per i giapponesi una espressione di raffinatezza, un'emozione sottile che soltanto una sensibilità squisita può apprezzare. Ciò sgomenta e sconvolge, ma venendo in Giappone è consigliabile di lasciare a casa il nostro razionalismo occidentale. La logica cartesiana non aiuta a decifrare questo mondo complesso. Nemmeno la politica può essere studiata coi nostri schemi. Alla fine della guerra perduta, la democrazia non ha cancellato il sistema feudale; gli si è affiancata senza provocare traumi apprezzabili; i grandi feudatari, questa volta dell'industria, si fanno eleggere in Parlamento, e tutto continua come prima. Con Takeshita ed altri suoi amici parliamo delle organizzazioni politiche studentesche, dello Zandakure, comunisti fanatici più dei pechinesi, c della Soderkai, l'estrema destra altrettanto fanatica, nazista e razzista. Essi sono del parere che né {'una, né l'altra corrente ha possibilità di giungere al potere, o di influenzare il governo; sono dei foruncoli che passeranno senza lasciare cicatrici. I giapponesi continueranno a votare in maggioranza per i conservatori che hanno realizzato il benessere economico, come ieri accettavano senza discutere la casta militare dei Tojo e compagni, finiti sidla forca, che li hanno condotti alla sconfitta. Obietto che gli studenti di sinistra sono riusciti a impedire la visita a Tokio di jEisenfioicer per il trattato di sicurezza nippo-americano; che dalla razzista Soderkai è uscito Otaya Yamaguchi, lo studente che nel I960 uccise con una daga di samurai il capo socialista Inejiro Asanuma; che la Soderkai controlla, pare, quindici milioni di aderenti. I giova¬ notti affermano che ciò non ha importanza. Parliamo di sua maestà imperiale Hiro Hito, il Tenno, cioè il « re del cielo ». 1 giovanotti fanno smorfie significative; gli studenti, in genere, non vedono più nell'imperatore il simbolo divino del Giappone, ma le idee anti imperiali sono limitate ad una piccola élite intellettuale. La bomba di Hiroshima, evidentemente, non ha polverizzato il vecchio Giappone dei samurai; forse ha scosso qualche struttura, generato incertezze che potrebbero provocare rivolgimenti in futuro, ma il Giappone odierno nonostante la guerra perduta, l'occidentalizzazione, il progresso tecnologico e lo sviluppo i7idustriale, sembra tenacemente ancorato alle sue tradizionali strutture sociali fino a sembrare immobile. Però, quanto ho scritto, potrebbe anche essere un'intuizione errata, un vano tentativo di decifrare un popolo che si maschera continuamente. Il giapponese veste panni occidentali per la strada, negli uffici e nelle fabbriche; ma quando rientra in casa, a qualunque classe sociale appartenga, si toglie le scarpe, cammina scalzo sui fatami, indossa il chimono, si accoscia sui talloni. E' un essere perlomeno duplice, ma anche quando è fuori si direbbe che idealmente abbia sempre la mano sulla spada per difendere la sua intimità. Inutile accostarlo, parlargli, lusingarlo; non è possibile aprire una breccia in quella chiusa difesa. Quando credo di aver capito molto del Giappone, incontro una musmè che recita soavemente: « Il fresco sul ponte — la luna, ed io resto sola »; oppure urto contro il kimochi, la voglia del nulla, l'evasione dalla fatica di vivere, causa di tanti suicidi. In quale direzione devo avviarmi per decifrare questi giapponesi: verso le ciclopiche fabbriche e gli altiforni, verso i templi souente deserti, verso le squisitezze romantiche delle gheise, verso la raggelante frenesia del pachinko? Poiché non è facile capirli, li accetto come sono, con tutte le loro contraddizioni, rinunciando alle definizioni d'effetto. Francesco Rosso

Persone citate: Mac Arthur, Sophie Loren, Takeshita, Tojo, Yamaguchi