Antonioni ritorna sull'alienazione nei raffinati colori elei «Deserto rosso»

Antonioni ritorna sull'alienazione nei raffinati colori elei «Deserto rosso» Alia. Mostra, cinGmatoffM*alica di Fenezia Antonioni ritorna sull'alienazione nei raffinati colori elei «Deserto rosso» Il regista ha dato un saggio di splendide immagini, ma non ha offerto alcuna sostanziale novità rispetto ai precedenti film - L'angoscia dei personaggi, vittime della società industriale, nel disumano paesaggio del porto di Ravenna (Dal nostro inviato speciale) MVenezia, 7 settembre. «Deserto rosso i fredduristi avevano messo in giro che nessuno lo avesse ancora visto, nemmeno Antonioni; la pellicola è giunta ncdtnal Lido freschissima di\dstampa, coi fogli ancora daì?tagliare, fra il trepido ap-! lparato del film che mira al ?premio. Scrivendo sulla pri-l®ma impressione (sempre RAntonioni è da rivedere), £i t j c i- sVJ1 }°??}a??0E ^^irper la novità dei colori, per la serietà e pazienza di orafo che il pensoso regista ferrarese mette sempre nei suoi lavori, per la sua vo¬ cazione di aderenza al lin- zslsd; I caf[qguaggìo del cinema, qui nuovamente confermata, il film ben meritava di essere acciuffato dalla direzione della Mostra «a scatola I «chiusa », e infatti ha tutti i i ptitoli, compresa una punta'sdi gelo, per fare buona fi-'egura in un'esposizione. jcPer quanti invece s'aspet-ietavano un Antonioni rinno-[qvato sia pur di poco rispet-j sto a quello della famosa ■ <triade («L'avventura», «Laifnotte», «L'eclisse»), e che; spur confermandosi detento-1are de pire se non de facto del monopolio cinematografico dell'alienazione, uscisse sraun po' fuori delle sue com-icpetenze, Deserto rosso è|estato una mezza delusione, ìeavendo offerto un saggio di!nantonionismo immoto, con-1msuetudinario e per ciò stes-IPso logorato. i pO meglio una certa va-ì1nazione ce, ma non a vantaggio delle cose. In Deserto rosso (che Antonioni ha ideato e sceneggiato con la collaborazione di Tonino dsHGGuerra), sul tema fonda-!mentale del rapporto di crisi icon la realtà, s'affaccia un principio di concretezza che in sé e per sé non sarà mai abbastanza lodato. Quella jrealtà non è più tutta la realtà, universa e indiscri- minata, ma una fettina di essa, un punto geografico, un- paesaggio; il maledetto paesaggio della civiltà indù- striale, che nella zona por- tuale di Ravenna, già fio- rente di pini, già passeggia- |ta da Dante, stringe la po-|vera Giuliana in una mor- ! sa di ciminiere, gru, ponto-'ni, tralicci, argani, trivelle e via dicendo, fino a schifosi detriti e puzzolenti fumacchi. E la noia, che è il corollario di quella crisi di rapporto, prende qui la forma precisa d'una nevrosi per tecnocrazia esasperata : Giuliana, moglie di un ingegnere elettronico che non sembra soffrire di quell'ambiente (tanto che al suo bambino regala robot e altri balocchi avveniristici), sotto lo choc d'un incidente automobilistico, ha segretamente tentato di togliersi la vita, e il primo atto che vediamo di lei è comprare da un operaio un tramezzino già da lui abboccato: segno che è tutt'altro che guarita. Antonioni ha fatto potentemente risaltare quel feroce rapporto tra il paesaggio e la creatura; e senza dubbio l'ossessione c'è. Ma essendo così circostanziata è anche ovvia, e in fondo basterebbe un viaggio, uno di quei viaggi violenti che le mogli moderne usano fare, per rimuoverla almeno per qualche mese. Quando più tardi Giuliana domanda a Corrado, un ingegnere minerario venuto a Ravenna per lavoro, e che ancor prima di disfare le valigie ha intuito il dramma della donna: «Non ci sarà un altro posto dove si viva meglio ? », lo spettatore di buon senso, consultata rapidamente la carta mentale del Ravennate (non diciamo dell'Italia), le risponde di sì. Immutata la disposizione; cavalleresca di Antonioni ai eleggere la donna a vasoi ricettivo dell'angoscia esi-j stenziale e a caricarla di mandati filosofici : questa Giuliana è della stessa farina della Claudia, della Lidia e della Vittoria (le grandi eroine antonioniane) : con lei non si può, non si deve ragionare, come invece si può limitatamente fare con gli uomini, anche con questo Corrado che pur partecipa di quella nevrosi, ma senza dimenticare i propri interessi in Patagonia. Immutata anche la debolezza del soggetto che patisce la crisi; Giuliana sa troppo pochino (il suo vocabolario si risolve spesso in «cosa» e «cosare») perché possa presumere d'in¬ Magare il mistero del tutto:! «C'è qualcosa di terribile a nella realtà. E io non so cos'è. E nessuno me lo dice ». Immutata finalmente la scelta dell'attrice, Monica Vitti: e qui è il caso i\d} d}re che la lunSa simbioaì?\del «S^ta c°n la bella -! lnterpre*e comincia forse a l ?S*;re* al Primo = -l®!** Lfi^jJ lei- che son e Ri/P T -^T » , £ for" se minacciano di animare e ^irecidere, certo di meccaniz? r i ¬ - zare, l'ispirazione dell'artista. Ma è giusto dire che la Vitti regge con decoro lo sforzo di parole e situazioni di cui non porta intera la ; I colpa. Perché le parole sono un altro punto dolente. La difettosità dei dialoghi in [questo regista nato per il i l e e a I « muto » è troppo recidiva i i perché ci si debba tornare a'sopra. Dialoghi goffamente -'ellittici; conversazioncelle, jcome quella dell'orgetta -ieratica cui s'abbandonano -[questi alienati, che sono un -j saggio non decantato di a ■ <- bétise » e falsità anche aifonetica, a segno che la e; stessa espressione «andare -1a letto», usualissima fra o ae signore di quel conio, suona ricercata. Per conseguenza anche gli attori, come vei m-icoli di linguaggio, non ne è|escono bene: il marito Ugo e, ìe un. ex-notaio, Carlo Chiodi!netti> cne parla con l'erre n-1moscia : Corrado è il dops-IPiato Richard Harris, serio i professionista disturbato da a-ì1""^ SU altri Xenia Val nra a o deri, Rita Renoir, celebre spogliarellista del « Crazy Horse » e l'esordiente Aldo Grotti Anche in Deserto rosso a-!Eros S1 salda alla angoscia si icome mutile evasione col n valore di un buco nell'ac he <Jua- Sospinta dalla dispera ai ZI°ne che con un perfido a jestro- fingendosi immobiliz a fato nelle gambe, il figlio i- ìett° elettronico le ha acuidi to> Giuliana si dà in braccio o, al suo comprensivo ingegneto re: la sequenza è molto beiù- la d'.u.n affanno doloroso che r- sa P1U dl morte che di amoo- re- Ma naturalmente la caa- |tarsl non esce da quel cao-|suale episodio d'infedeltà r- ! coniugale. E* un corno che o-'11011 sfiora nessuno. La ca le iuil di rer uemnialo ote a, mo tarsi viene dall'accettazione, dalle parole : « Devo pensare che tutto quello che mi capita è la mia vita », con cui la signora che abbiamo visto sognare mari di smeraldo e spiagge rosa (il famoso sogno, alquanto ovvio anch'esso), si condanna senza più resistenza a quell'inferno di ferro e cemento. H film si riscatta per buona parte nelle immagini splendide con cui Antonioni, aiutato dal bravo operatore Carlo Di Palma, ha dato fondo al suo genio ottico per i più desolati paesaggi moderni. Egli sa far piangere ciminiere, silos e tralicci, forse meglio degli uomini. I colori sono distillati con gusto velenoso, da grande alchimista. Non importa dire che il loro uso è soggettivo, perché questa è una elementare esigenza estetica; ma che nel soggettivo Antonioni si è spinto a bel¬ lissimi effetti di monocromia. Col cuore della protagonista, anche il mondo di fuori si assidera e illividisce, ed ecco anche acque erbe e frutti pennellarsi di grigio. Il trucco è dei più nobili: Antonioni ha direttamente ridipinto la natura. Fin troppo bravo questo neocolorista. Certe preziosi- arredamento di alta classe, le più scelte mostre di fotografia artistica. Sul colore la calligrafia di Antonioni è rifiorita con qualche pericolo, arricchendo il film di grandi frammenti ma indebolendone anche più il centro. Leo Pestelli tà richiamano le riviste di; ! Monica Vitti interprete di «Deserto rosso», il film presentato ieri sera a Venezia

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