Viaggio di un bebé di Ugo Buzzolan

Viaggio di un bebé Viaggio di un bebé Toccavo appena i quindici mesi e sento quegli incoscienti dei miei genitori dire: «Eh, domani faremo fare un bel viaggetto ad Arturo... ». All'anima del viaggetto! Sentite un po' qua: mi prendono, mi sbattono, biondo c bello come sono, nello scompartimento di un vagoneletto che ha le dimensioni del gabinetto di servizio che abbiamo a casa e tra uno sferragliare orrendo mi tengono in treno per venti ore e passa e mi scaricano nientemeno che a Messina. Si capisce che data la mia giovane età a Messina non ci ero mai stato, ma la città non mi era sconosciuta: ne avevo sentito parlare spesso perché il mio nonno materno ci abitava da ragazzo quando capitò lo spaventosissimo terremoto del 1908 e raccontano che scappò via all'alba con la sola camicia e teneva sotto le braccia come due pacchetti i prozii Lucrezia e Peppino allora gemelli di sei mesi (mio nonno emigrò da Messina a Torino e qui più tardi prese moglie, cioè sposò la nonna, e cosi si spiega la battuta, suppongo maligna, della mia mamma : « Povero papà, è scampato al terremoto di Messina per venire fin quassù a incappare in un terremoto ben peggiore... »). Basta, torniamo al viaggio. A Messina ci siamo seduti in una piazza con tanti alberi e sotto gli alberi c'era un bar con un cartello «Specialità cassate»: cosa fossero queste cassate l'ho saputo quando le ho viste arrivare e che fossero eccellenti l'ho capito dal fatto che il mio papà se n'è sbafato una con quattro colpi di cucchiaino e ne ha ordinata subito un'altra e la mamma sospirando e mettendosi le mani sulla pancia ha detto: « Non dovrei, nelle mie con dizioni... ma sono tanto buone... sì, ne prendo un'altra anch'io... ». E il sottoscritto? Sono rimasto in paziente attesa sino all'attimo in cui ho intuito che i miei cari genitori avevano deciso di lasciarmi a bocca asciutta; allora ho cacciato fuori tali urli che di cassata ne ho avuta in abbondanza e non solo l'ho mangiata ma mi sono anche lordato di panna e di pistacchio da capo a piedi. Accanto c'era una tavolata di gente tutta vestita di nero. « Vengono da un funerale» ha informato il cameriere. Che cos'è un funerale? Dev'essere una faccenda allegra perché tutti schiamazzavano, mangiavano e trincavano e c'erano delle ragazze, che hanno attirato le più vive attenzioni del mio papà, le quali avevano le sottane molto corte, le calze nere, le scarpine allacciate alla caviglia e accavallando le gambe si facevano fotografare sorridenti con le nerissime teste accostate. Abbiamo trascorso la notte in un distinto albergo. Il bagno era rotto e non poteva essere utilizzato: hanno promesso che sarebbe venuto entro cinque minuti 1111 operaio ad aggiustarlo, ma il giorno dopo quando siamo ripartiti l'operaio non s'era ancora visto. Il papà brontolava e la mamma gli ha detto: « Oh, quante storie... a casa, poi, non ne fai mica tanti di bagni... ». Un facchino ci ha accompagnati dall'albergo al porro: dopo duecento metri ha detto che non poteva proseguire, forse era stanco, forse non gli eravamo simpatici, comunque non c'è stato niente da fare, ci ha mollati lì ed è tornato indietro. Il papà, imprecando, s'è caricato di valige e di borse come un somaro ed è arrivato al piroscafo che barcollava; intanto un signore, sporgendosi con la testa da un finestrino rotondo, gridava in tono mica troppo cordiale : « Avanti, spicciamoci, stiamo per levare l'ancora! ». Il piroscafo era pieno. Poche le donne, molti gli uomini in camicia bianca e calzoni neriUna donna sola o accompagnata non era libera di sedersi su una panca che immediatamente le si sedevano attorno parecchi uomini che la fissavano in silen zio, con insistenza e con aria tragica. Chissà cosa volevanoSe la donna si spostava, anche loro pian piano si spostavano e riprendevano a fissarla. Ho sentito la mamma dire che non ha nessuna importanza il fatto che una donna sia bella o bruttagiovane o vecchia: quei tipi fissano tutto, anche le donne incinte. Ma adesso sì che vi racconto una cosa da ridere. Andavamo di Messina a Milazzo e io mdedicavo al mio trastullo preferito che è quello di infilare ldita nei buchi del naso dei miegenitori (ma loro non gradiscono e ogni volta dicono « le ditnel naso sappiamo mettercele dnoi »); ad un certo momentpassa un marinaio e dice : « Attenti, c'è un po' di mare »L'espressione mi è sembrata cretina. Eravamo circondati da umare immenso e quello vienad avvertirci che ce n'è « upo' ». In seguito ho capito chèaBcslhgnisrtsnsr— « voleva due: t Attenti, il mar è mosso ». Difatti subito dopo abbiamo cominciato a hallarc. Bisognava vedere il papà. S'è cacciato un berrcttaccio di tela sin sulle orecchie, s'è messo con lo gambe larghe ben piantate ed ha esclamato che soltanto così gli piaceva una traversata, lui non aveva mai patito, il mare in burrasca è il vero mare, lui si sentiva l'animo del navigatore, meno male che c'era lui altrimenti un povero infante (che sarci stato io) e una povera donna in condizioni anormali (che sarebbe stata la mamma) si sarebbero trovati a malparato. M'ha fatto piacere la sua baldanza. Mentre gli altri passeggeri si ritiravano, il papà, alzando la voce c tracannando della birra, ha rammentato alcune sue avventure marinare alle Tremiti, in Sardegna, tra Capri e Amalfi. Avrei voluto che continuasse per un pezzo, ma d'improvviso ha smesso di parlare, si è seduto e ha cominciato a guardare davanti a sé con la testa che ciondolava. « Cosa ti succede? » ha chiesto la mamma. Papà non ha risposto, è corso al parapetto e non capisco perché ha restituito in mare proprio quella birra che poco prima aveva bevuto a garganella. Mah, tutti i gusti son gusti. Infine si è rialzato e s'è girato, pallido pallido, e la mamma lo ha immortalato cinematografandolo con le mani sullo stomaco e il cappello di traver¬ so e gli occhi da pesce in coma. 10 mi son permesso di ridere. 11 papà per la prima volta m'ha guardato male. Dopo Milazzo il mare s'è calmato e le isole Eolie ci sono venute incontro uscendo da una ncbbiolina azzurra e rosea. Quanto sono belle. E' un'apparizione che mi strappa un rotondo e prolungato « oh » di meraviglia. Ma i mici genitori non capiscono niente: «Arturo vuole forse un grissino » dice il papà. « Secondo me s'è fatto pipì addosso » dice la mamma. Mi sento offeso. Intanto il papà illustra le isole ad una ad una, la rossa Vulcano, la grande Lipari bianca di pomice, la verde Panarca, la negra e impennacchiata Stromboli; e poi mi mostra la costa siciliana e un monte minaccioso e altissimo, l'Etna, che fuma. «E' uno dei panorami più belli del mondo » dice « peccato che tu, poverino, sei troppo piccolo e che di tutto questo non serberai memoria ». Adesso sì che mi arrabbio sul serio e che per la rabbia mi faccio veramente la pipì addosso. Cari e vecchi genitori, quan do vi convincerete che noi bebé d'oggi non siamo più gli ottusi poppanti intìocchettati di moda trenta o quarant'anni fa? Quando vi convincerete che già alla nostra età siamo molto più svegli e più furbi di voi? Ugo Buzzolan