Primo incontro con Tokio di Francesco Rosso

Primo incontro con Tokio li Giappanc si prepura nife Olimpiadi Primo incontro con Tokio (Dal nostro inviato speciale) Tokio, 17 agosto. L'autista preme rull'acceleratore ed affonda nel traffico di una autostrada fresca di bitume che in lente curve discende dall'aeroporto sulla città. Nel tramonto d'ocra, il Fusijama si profila con n/.zurra perfezione geometrica, sugli alti palazzi stile Manhattan incomincia il delirio luminoso delle insegne pubblicitarie. Il cliché di Tokio è perfetto, una cartolina illustrata in cui, accanto alla piramide «aera del vulcano, aila foresta di ideogrammi pubblicitari luminosi, all'autostrada nuovissima manca soltanto un kimono per il tocco definitivo al quadro convenzionale di un Giappone dibattuto fra progresso e tradizione. L'autista lascia il volante di scatto e gesticolando farfuglia una cateratta di consonanti convinto di esprimersi in inglese: grosso modo arrivo a comprendere che la bella strada e stata aperta da lina settimana per r Giochi Olimpici. L'informazione mi lascia freddo, non è hi questi argomenti che intendo costruire le mie esperienze giapponesi. La strada si avventa tra desolati quartieri industriali su cui grosse lampade al sodio proiettano una livida luce gialla. Mai veduto una cosi tetra periferia, penso, tanto gri giore condensato e mi assale la malinconia. Qui sono le otto di sera ed a casa mia sfolgora il mezzogiorno. Mi hanno rubato otto ore in questa corsa verso oriente: le ritroverò al ritorno, forse dietro l'Himalava oppure oltre il Nilo, ma intanto queste otto ore mi mancano e basta il pensiero del furto subito a mettermi in ansioso disagio. Fuori dell'autostrada per po co non investiamo una donna che attraversava saltellando sulle sue gheta, gli zoccoletti di legno alti da terra per due assicelle trasversali, trampoli assurdi per una passeggiata. Lo stridere delle ruote sull'asfalto solleva una nuvola di garza, il kimono della donna si gonfia come un pallone inverosimile nei gesti scomposti per evitare l'urto. Ecco il mio primo kimono giapponese, penso, il progresso era sul punto di farlo a brandelli, e ci riuscirà presto o tardi. Corriamo tra file di palazzi dalle facciate anonime, sobbalzando sulle strade sconnesse, evitando di misura i trabocchetti di buche, immense come crateri : perforatrici pneumatiche, escavatrici, miscelatrici di calcestruzzo violentano la notte con strepiti metallici, piccoli uomini con casco giallo e guanti di filo bianco si affannano come formiche a scavare trincee, ad innalzare passerelle. Il primo urto contro questa Tokio preolimpica ha la violenza di un trauma, ho la sensazione di essere giunto in ritardo, che la preoccupazione di presentare la metropoli babelica in veste moderna ai turisti di tutto il mondo abbia cancellato totalmente il mio cliché personale di Tokio: ci sa ranno ancora gheise, non quelle autentiche, maestre di belle ma niere, sapienti nella conversa zione, raffinate nel canto e nella musica, ma le altre, quelle di cui tutto il mondo maschile sogna parlando di Tokio? Tokio Tower, grida l'autista indicandomi il profilo inghirlandato di una brutta copia della parigina Tour Eiffel, il sue orgoglio si manifesta con una bianca esplosione di denti, ui sorriso feroce. Arriviamo al l'albergo, anch'esso nuovissimo come decine di altri in vista delle Olimpiadi. Camere con pannelli di palissandro, pareti foderate di seta, prezzi adeguati. Penso ai sussulti che farà il mio amministratore. Ma sono qui con altri compiti ed almeno voglio utilizzare il tempo. Con un taxi corro a Gin/.a, il quartiere cosmopolita dei negozi lussuosi (le più preziose perle riflettono opalescenze rosa dai cofanetti in bianco velluto: le giade scintillano verdi viola rosate: i broccati splendono con laminature d'oro e d'argento) Ginza sofisticata e corrotta, un po' Broadway e molto Pigalle, con vertiginose scalette che precipitano in caverne arredate a bar, con ristoranti normali ed altri un po' meno, con clubs dall'aspetto esteriore innocente e, dentro, spogliarelli perversi. Scivolo al fondo di una scala ed eccomi aggiuccato al lungo tavolo di un bar in mezzo ad una folla intrisa di birra, giovanotti scamiciati che schizzano con gli occhi dall'orbita come bottoni dall'asola, ragazze in severi abiti accollati che incitano a trincare dai panciuti bicchicroni vasti come botti. minVvqtiicmpddripcabmsailmbliDvrgsoggttscsHpsodAlgrcgOmKpOpaslgtpgcpcprsssasstEcco, penso, la corruzione delcostume nipponico, la nobile gheisa ridotta alla condizione avvilente della entraineusc. Due mi si accostano con sorrisi fioriti didenti e fessure di sguardi fra irigonfi bulbi oculari. Graziosa- mente, con mille inchinetti mi binvitano a offrirgli un whisky. Vada per il whisky, purché conversiate, rompiate il silenzio di questa mia notte vuota, mi aiutiate a lacerare il diaframma che incora mi separa da Tokio. Macché, sanno tre frasi di inglese meccanico per militari Usa, e le pronunciano malissimo. Mi viene da pensare alle nostre città del dopoguerra: anche se gli americani se ne sono andati da tempo come occupanti, l'atmosfera rimasta, le gheisc-signorine continuano la professione con gli altri. « Gli amici americani dei business, degli affari ». Daiana, ripete balbettando la mia compagna di destra, e vuol sapere il nome del mio albergo, il numero della mia camera: domani vuole telefonarmi per combinare: ci vedremo fuori, più liberamente, qui lavoro. Ma si Daiana, telefonami domani se vuoi, ma ora lasciami in pace, le rispondo in italiano. Una lingua die in quell'ambiente risuona estranea anche al mio orecchio. «Italiano, italiano» grida uni' giovanotto coi capelli neri ghigliottinati sulla nuca ed una spatola di frangia sulla stretta fronte, mi viene quasi in braccio sullo slancio della sua pingue cortesia. « Mi chiamo John Bosco, ho studiato dai salesiani ad Hong Kong, io sono cinese, capisce? cinese ». Ho capito, è il solito scroccone; invece, vuole offrire lui, ad ogni costo. Poi dice: «Non qui. Andiamo ad Asakusa ». Un taxi ci porta all'altro gaio quartiere di Tokio, gheise e spogliarelli a non linire, labirinti di insegne luminose che si aggrovigliano come spaghetti policromi nelle tenebre. Ormai ho fatto amicizia con il mio pingue John Bosco di Hong Kong che si e trovato un impiego a Tokio in vista delle Olimpiadi: guida ed interprete per turisti stranieri, soprattutto americani, i clienti che preferi sce perché pagano in dollari e li spendono come yen, che valgono la metà. Se voglio può aiutarmi, anche ad un prezzo un po' più basso vista la bassa stagione. Posso avere fiducia in lui, conosce Tokio meglio dei giapponesi, dice. Voglio avere fiducia, lo assumo per un giorno, poi vedremo. Saltella allegro facendo tremare la rotonda pancina rigonfia sotto la camiciola di nylon trasparente. Ha un aspetto disgustoso, un deforme, osceno satiro asiatico. Ma almeno con lui è possibile far filare una conversazione senza intoppi, un'impresa disperata coi giapponesi, gente negata alle lingue. Mi accorgo che John Bosco è provvidenziale, conosce davvero Tokio come le sue tasche, mi guida nella giungla della metropoli con l'esattezza di una rintpcilTqmtidMnsttsslssqlnrstmkdautd(cilFd6bCpabrtsssdsM11M i M11MIM1111111111C t i M11111l 111 r 11 ri ■ 11111 II 111111 i bussola, sa quello che mi occor- ' re, trova gli uffici adatti, è un interprete impareggiabile. Quanto hanno speso i giapponesi per preparare le Olimpiadi, ecco le cifre: Mi squaderna sotto gli occhi il bilancio del governatorato di Tokio: circa 700 miliardi di yen, quasi il doppio in lire italiane, ma non soltanto per gli impianti sportivi: il bellissimo stadio ideato dall'architetto Maachika Murata, col soffitto delle tribune librato come un grande girasole, con grandi petali in cemento armato. La torre olimpica coi terrazzi a sbalzo che la rendono simile ad un albero di calcestruzzo, la palestra col tetto poligonale, il villaggio olimpico sono soltanto una voce delle spese. Ci sono le strade rifatte, quelle costruite di nuovo, c'è l'ampliamento della metropolitana, la costruzione di una monorotaia che in dicci minuti traspoita 1 passeggeri dall'aeroporto al centro olimpico, il rifacimento della ferrovia Tokio-Osaka per consentire ad uno spcciae treno espresso una velocità di crociera di 250 chilometri all'ora, il più veloce del mondo. Con John Bosco andiamo da un punto all'altro di Tokio sotto il sole che cola piombo fuso da un ostile cielo grigiastro (trentacinque all'ombra) a cercare notizie, a immagazzinare impressioni. Chi accenderà la lampada olimpica il 10 ottobre? Forse Yosiaki Sakay, un ragazzo di 19 anni, nato a Hiroshima il 6 agosto 1045, il giorno della bomba atomica. Perché forse? Capisce, potrebbe essere interpretato in senso polemico dagli americani. John Bosco mi propone un bagno turco, in seguito potremo riprendere la corsa con lena nuova in questa Tokio arroven tata. Bisogna approfittare di questi ultimi giorni, dice John Bosco, i bagni turchi stile francese sono condannati. Il governatore di Tokio, per presentare la sua metropoli ai turisti col volto austero che si conviene ad una capitale mondiale degli sport ha ordinato la radicale trasformazione dei bagni, la specialità giapponese nota nel mondo ,,iù delle radioline e degli apparecchi fotografici. Nei camerini particolari deve essere aperta dnleedzlt1dscdntgscdgr una finestra, la porta deve rimanere aperta, spalancata, mentre la massaggiatrice svolge le sue funzioni. Inoltre, innovazione iconoclasta, le massaggiatrici non potranno più presentarsi in bikini, ma indossare severissimi abiti lunghi fino alle caviglie. Che delusione proveranno i cosmopoliti inseguitori di emozioni erotiche trovando questa Tokio sterilizzata dalla morale olimpica. Proprio sterilizzata, però, non direi: rimangono le 5000 squillo schedate, le Daianc 1 i 4 ■ I ■ 11 II 1111111111M1111111111MIMI ! 111M M1111M11111111M dai mille bar e ristoranti, dai night clubs e sale di varietà, e le circa 10.000 professioniste che esercitano a domicilio a dispetto delle leggi contro la prostituzione. Rassegnato alla sconfitta nella lotta contro l'imponente armata del piacere, il governatore di 1 okio ha disposto che tutti le donne impegnate per un qualsiasi motivo al villaggio olimpico subiscano un rigoroso esame del sangue: sia garantita l'immunità fisica degli atleti almeno nel tempio in cui si esalta la gagliardia muscolare e la salute spirituale. Concepite con simili concetti puritani, le Olimpiadi di 1 okio potrebbero essere inaugurate al grido: « Viva la morale, abbasso le gheise ». Francesco Rosso

Persone citate: Daiana, Eiffel, John Bosco, Tower