Il Papa in elicottero ad Orvieto prega per la guarigione di Segni

Il Papa in elicottero ad Orvieto prega per la guarigione di Segni Grandiosa manifestazione di tede nell'antico Duomo Il Papa in elicottero ad Orvieto prega per la guarigione di Segni Partito da Castel Gandolfo, scortato da un altro elicottero su cui erano Andreotti e il generale Remondino, è sceso sul piazzale dell'autostrada del Sole - Una folla immensa attendeva ■ Poco dopo la solenne cerimonia liturgica nel tempio in ricordo del 7° centenario del miracolo di Bolsena ■ Paolo VI in un illuminato discorso ricorda che per l'uomo c'è qualcosa di più importante del pane quotidiano: la vita dello spirito (Dal nostro inviato speciale) Orvieto, 11 agosto. €71 Pana viene dal cielo», esclama donn'Angela. E' una vecchia vecchissima, minuta: a dispetto della sua fragilità, se ne sta addossata alla transenna con i piccoli piedi calzati di scarpine di coppale ben piantati sull'assale di legno, le braccia minute abbarbicate sul parapetto. In una mano stringe il libro della Messa, nell'altra il rosario; dalle maniche del vestito di mussola nera, un po' scolorito, escono due sbuffi di merletto antico. L'elicottero riempie del suo rombo il cielo pulito, sono le 17,24, la gente ammassata nella piazza del Duomo urla d'entusiasmo, lo sguardo proteso a seguirne il volo; un mazzo di palloni colorati sfugge alla presa del rivenditore e prende a salire di sguincio sul filo del vento accompagnato da applausi allegri, i ragazzini danno mano alle «gallinelle» facendo forza sulla cordicella attaccata a un piccolo cilindro di pergamena: ne vien fuori un suono che dà l'idea del chicchirichì. Le « gallinelle » a Orvieto si suonano per il «Corpus Domini», le hanno tirate fuori dai cassetti perché oggi arriva Paolo VI, proprio nel settimo centenario della bolla di Urbano IV, « Transiturus », con cui quel pontefice estese a tutta la Chiesa la festa del «Corpus Domini» (già in uso nell'archidiocesi di Liegi), incaricando San Tomaso d'Aquino di comporre l'officio liturgico. Era 111 agosto del 1264, giusto un anno dal « prodigio di Bolsena »: in quella chiesa officiava un sacerdote boemo, Pietro Di Praga, tormentato dal duhbio che l'eucaristia fosse veramente il corpo di Gesù Cristo e fu al momento di elevarla, secondo la tradizione, che dall'ostia spicciò sangue, tanto da imporporare il corporale, il lino bianco che il sacerdote pone sul petto nell'accostarsl al sacramento. Pietro Di Praga corse dal pontefice, a quel tempo rifugiato in Orvieto,'per dirgli del «miracolo ». Urbano IV inviò a Bolsena vescovi e teologi, fra quest'ultimi sembra vi fossero San Tomaso e San Bonaventura. Accertato il « prodigio », lo stesso pontefice più tardi portò in processione il corporale. Il Duomo di Orvieto venne alzato per custodire la reliquia, nel 1290, per volontà di Nicolò IV e fu il Maitani a completarlo durante venti anni di lavoro: dal 1310 al 1330, disegnandone anche la mirabile facciata. Adesso la stringono d'assedio fedeli in tumulto, poliziotti, operatori cinematografici, sulla gradinata campeggiano i colori del « corteo del corporale », duecentocinquanta figuranti in costume del Trecento: gli «anteriori» dei quartieri cittadini in velluto e stole ricamate d'oro; il « podestà » avvolto nel suo mantello cremisi, con cocolla d'ermellino e tocco, la mazza argentea del comando. I «si attori sette consoli » delle arti maggiori con cocolla e cappuc ciò violacei. Il «capitano del popolo» comanda la scorta armata di alabarde, picche, roncole, lance « da scorreria », gli elmi grigioferro infuocati dal soie che accende di riflessi gonfaloni e vessilli in numero di novanta. Una signora di mezza età corre animosa lungo l'impetti to schieramento: a uno aggiusta la pettorina, a un altro la cocolla e si l'accomanda con gli armigeri che stiano col petto in fuori, per carità! E ora bisbiglia qualcosa al « gonfalo niere di giustizia», ora corre dai suonatori di chiarina: sono otto, dovranno dar liato al le loro trombe a forma di giglio all'arrivo del Papa. L'ani mosa signora si chiama Lea Pacini, la gente l'indica con compiaciuto alletto, è lei che « lia rimesso in piedi il corteo », dicono, i soli costumi valgono duecento milioni, li custodisce 11 «Palazzo del capitano». Col movimento che fanno tutte le teste e i gonfaloni del le trenta corporazioni cittadine — dai dottori agli orati, ai pizzicaroli, tessitori, scalpellini mugniari, falconieri... — il Duomo par che navighi su di un mare in tempesta, cosi bello nel suo colore annoso acceso dal sole al declino e l'occhio trascorre incredulo dalla mobile superficie d'un bassorilie vo al fiore prezioso del rosone conficcato nel cuore della fac ciata, a guisa di suggello. La statua di bronzo batte sei colpi sulla torre di Maurizio la folla si tace, di lontano giun ge il clam Te di coloro che acclamano il Papa, il suono del le voci e dei battimani cresce e s'abbassa per di nuovo montare via via che la Mercedes scoperta di Paolo VI, percor rendo il tortuoso, angusto per cisdsPndcpPacsgdratrsafilddccctnsstlc corso dal piazzale d'arrivo, giù in basso allo scalo ferroviario, s'approssima al Duomo. «Eccolo! Eccolo!»: è un grido solo: dalla strettoia del corso è sbucata l'automobile del Papa, la folla sembra scatenarsi, tutti urlano acclamando in una immensa poltiglia di consonanti, la voce umana supera le campane a stormo. Paolo VI, pallido sotto la lieve abbronzatura, allarga le braccia in un gesto ch'è insieme di sgomento e commozione: il grido della gente, la violenza degli applausi che crepitano rapidissimi, incalzanti, devono averlo investito come una ventata improvvisa. Ma è un attimo, adesso sorride e benedice. Quando discende dalla macchina con un agile balzo, I suonatori danno fiato alle trombe d'argento, rullano cupi i tamburi mentre da ogni lato accorrono i fedeli stringendolo da presso si che i poliziotti debbono faticare a creargli un varco perché possa salire i gradini del tempio, volgersi ancora a benedire prima di varcarne la soglia. Nell'arioso spazio basilicale le acclamazioni dei fedeli rimbombano centuplicate, tutti si protendono al di là delle transenne in uno sfarfallio di mani e Paolo VI, il volto di solito triste spianato da un largo sorriso, appare esultante. Sospinto, si direbbe, dal progredir degli applausi e delle invocazioni, il Papa percorre la navata centrale quasi a passo di corsa e intanto sfiora lieto le palme protese così come i fanciulli fanno correndo lungo le cancellate di campagna, ritmandone le sbarre in fretta, sempre più in fretta. Ma monsignor Ponte sussurra qualcosa nell'orecchio del Pontefice ed egli si arresta: al centro della navata centrale, ai due lati, sono le porte in bronzo di Emilio Greco. Paolo VI si sofferma ad ammirare la porta principale, mossa dallo snodarsi delle figure poderosamente sbalzate dall'artista; leva la mano a benedire. Poi, sempre sull'onda dei gridi festosi procede di nuovo, rapido e leggero. Dall'altare il Papa si volge a benedire i fedeli; suona l'organo e sulla sua musica si innestano le voci fresche del coro di Oosterhont, ventotto bambini venuti apposta dall'Olanda, chiamati dal vescovo di Orvieto che ora. con voce rotta, saluta il Papa: un discorso semplice, da pastore. Ricevuto l'omaggio d'un calice d'oro in forma di giglio, Paolo VI lascia che lo vestano dei paramenti sacri. La luce cruda delle fotoelettriche fuga ogni ombra ma anche così il Duomo è bellissimo: ardono sull'altare sei alti candelieri d'argento, in un riquadro è la reliquia del «corporale» di Pietro da Praga. « Introibo vos ad altare Dei», le parole rituali scandite dalla voce ferma del Papa aprono un grande silenzio, è cominciata la Messa. i. m. Paolo VI, sull'auto scoperta, in una via di Orvieto in festa (Tel. « Associateci Press »)