La scopa e la bilancia di A. Galante Garrone

La scopa e la bilancia UNA SENTENZA ESEMPI* ARIS La scopa e la bilancia Ho sotto gli occhi il testo integrale della sentenza, da poco depositata, del tribunale di Roma sullo « scandalo delle banane ». E' una sentenza bellissima, esemplare. Presidente estensore è il dott. Salvatore Giallombardo : un magistrato che sa e vuole veder le cose fino in fondo, e lo ha dimostrato fin dagli anni dello scandalo del Poligrafico dello Stato. Non è questa la sede appropriata per illustrare i pregi dottrinali di questa sentenza (che sarà riportata dalle riviste giuridiche) in tema di falso ideologico e di rivelazione di segreti d'ufficio. Sono questioni ardue, « pareti ripide del processo », affrontate con piglio sicuro e con la precisione del microscopio. Ci preme, piuttosto, mettere in luce l'inquadramento storico e morale dei fatti di causa, e la nettezza discriminante del giudizio. I fatti di causa, come i lettori ricorderanno, si riferiscono alla pubblica gara indetta nel 1962 dalla Azienda Monopolio Banane per il conferimento di 132 concessioni di vendita all'ingrosso delle banane. Non si poteva valutare appieno il comportamento delittuoso ascritto agli imputati senza ripercorrere il lungo, tortuoso e paradossale cammino dell'ente monopolistico, dalle sue origini fino agli ultimi anni. Questa ricostruzione panoramica in cui la sentenza si è cimentata non è un fuor d'opera, ma la premessa logica delle condanne e delle assoluzioni. L'Azienda Monopolio Banane (A. M. B.) era sorta nel 1935, come strumento della politica coloniale allora perseguita dal regime Alla fine della guerra, venute meno, con la perdita delle colonie, le ragioni giù stificanti il monopolio, con Decreto luogotenenziale 15 febbraio 1945 furono sciol ti gli organi deliberativi dell'A.M.B, e nominato un Commissario straordinario con il compito di provvedere alla liquidazione della Azienda. Ma purtroppo si ebbe anche qui la solita, lamentevole storia di enti rimasti in vita per il consolidarsi dei voraci appetiti privati contro ogni pubblico interesse, e per l'arrendevole debolezza dello Stato. Nel 1949, si costituì l'Associazione italiana commercianti grossisti banane (Assbanane ) : che da un lato si proponeva di prolungare indefinitamente la vita della Azienda, dall'altro di sbarrare il passo, nell'interesse dei vecchi concessionari, agli altri commercianti che aspiravano anch'essi — come dice bene la sentenza — a « salire sulla rocca del privilegio ». Cosi che, a diciotto anni dalla fine della guerra, la A.M.B. era ancor viva e vegeta. I propositi abolizionisti della pubblica amministrazione si erano via via stemperati e illanguiditi in una inerte e fiacca politica di continui rinvìi. Era fatale che, a perpetuare questo stato di cose, ci si appigliasse ai subdoli mezzi di sollecitazione indebita, clientelismo, larvata commistione di interessi politici e di affaristica ingordigia, a cui la malinconica realtà dei nostri tempi ci ha purtroppo avvezzati. II processo delle banane ha tratto dall'ombra alla luce fatti assai poco edificanti: la sistematica erogazione di somme, da parte dei produttori, trasportatori e concessionari di banane, a favore dei funzionari dell'A.M.B. (e cioè proprio dell'Azienda che avrebbe dovuto esercitare un'attività di controllo nell'interesse dello Stato e dei consumatori), «in una forma che, con il volgere degli anni, veniva accettata come se avesse assunto una parvenza di legittimità»; l'impegno del l'Assbanane nel favorire finanziariamente la campa gna elettorale di un partito, con la speranza di ottener ne appoggi in sede politica e amministrativa; un autorevole parlamentare, ex sottosegretario alle Finanze, e, addirittura, presidente della Commissione legislativa antimonopolio, che viene assunto dall'Assbanane come suo « alto consulente », a svolgere un'azione necessariamente in dif- sa dei più assurdi privilegi monopolistici; tutto un segreto «lavorio », e una serie di « interventi concreti » per mettere in moto « le ruote che devono girare » (come pittorescamente si esprime un verbale segreto dcll'Assbanane)... Quando alla fine lo Stato ha un sussulto di energia, e indice l'asta pubblica, e il Consiglio di Stato — sdegnosamente sordo alle raccomandazioni degli interessati — distrugge le ultime speranze di un rinvio della gara, è ben naturale che qualcuno si lasci indurre a un ultimo, disperato tentativo ormai tipicamente delittuoso: e saranno i reati della rivelazione di segreti d'ufficio e della turbata libertà degli incanti. La china sdrucciolevole del malcostume, dell'ingordo affarismo, dello scarso rispetto dello Stato ha finito per allentare e travolgere le ultime remore. Quando non si respira più « un'aria pura di rigida applicazione ed osservanza della legge », tutto diventa possibile: anche il delitto. Ma il pregio maggiore della sentenza sta, ci sembra, nell'avere distinto con estrema chiarezza l'illecito penale da tutto ciò che, pur presentandosi come rilassatezza, insensibilità civica, deplorevole andazzo amministrativo e politico, non è, penalmente, rilevante. La sentenza non si nasconde la gravità « angosciosa » di certi fenomeni, che suscitano l'« universale disapprovazione » ; ma non dimentica quello che è il suo solo dovere: accertare i reati previsti dalla legge. E i fatti di causa sono così sottoposti a un sereno e pacato « ridimensionamento ». Il compito del magistrato non è assecondare gli impetuosi (e in sé certo salutari) moti di indignazione e di disgusto dell'opinione pubblica di fronte a certi preoccupanti e dilaganti fenomeni di scorrettezza amministrativa; ma piuttosto un accurato sceverare l'illecito penale dal magma indistinto della disonestà. A lui non si addice il vigoroso colpo di scopa, che manda tutto per aria in un nugolo di polvere, ma piuttosto il freddo e prudente ago della bilancia. La sentenza non ha ignorato tutto il male che era sullo sfondo; anzi, lo ha sviscerato senza indulgenze, perché bisognava pure illuminare l'ambiente, spiegar si i lontani moventi, gli incoraggiamenti, le spinte o i troppo deboli argini al de litto; ma lo ha lasciato, co me doveva, sullo sfondo. Questo male, che la sentenza ci addita con parole tanto accorate, e che non è ancora delitto, ma ne costi tuisce la premessa e il clima, tocca a tutti noi estirparlo, a ogni livello, nelle sedi più appropriate. Ci torna alla mente l'invocazione di un foglio partigiano del 1944: «aria, luce e pulizia». Rimettersi ai giudici per la riconquista di questo bene supremo, è un ripiego troppo comodo: ingenuo o tartufesco. E vorremmo concludere con una nota non pessimistica. Un paese dove questo male comincia ad avvertirsi così acutamente, e suscita reazioni allarmate, e non affoga più nel torpido scetticismo di qualche anno fa, è, a ben guardare, un paese vivo. A. Galante Garrone

Persone citate: Salvatore Giallombardo

Luoghi citati: Roma