Dieci anni fa gli italiani conquistavano la vetta del K 2

Dieci anni fa gli italiani conquistavano la vetta del K 2 31 Muglio 1954e violata la seconda montagna del mondo Dieci anni fa gli italiani conquistavano la vetta del K 2 La notizia tuttavia giunse nelle redazioni dei giornali il 3 agosto - Soltanto un mese dopo si seppe che la cima (8611 metri) nel colosso del Karakorum era stata raggiunta dal valdostano Achille Compagnoni e dal cortinese Lino Lacedelli - La tremenda notte di Bonatti e del portatore Mahdi - L'impresa voluta e diretta da Ardito Desio La notizia che gli italiani erano arrivati in vetta al K2, seconda montagna del mondo, giunse nelle redazioni dei giornali verso le dieci di martedì tre agosto 1954, in tempo per gettare lo scompiglio nelle redazioni che stavano preparando l'edizione del pomeriggio. Era, come si dice nel nostro gergo, un flash, cioè una notizia diramata da un'agenzia con precedenza assoluta su tutte le altre. Ma si riferiva ad un avvenimento di ben tre giorni prima: e questo solo fatto, di un flash tanto ritardato, dava la sensazione di quanto grandi fossero le distanze, quanto selvaggia, isolata fosse la zona dove si ergeva la grande montagna. Cosi si seppe che l'uomo aveva messo piede per la prima volta sulla calotta del colosso del Karakorum, a 8611 metri d'altezza, il giorno 31 luglio 1954. Dieci anni fa. Tutta un'epoca, se si pensa agli avvenì menti che da allora si sono svolti: erano vivi De Gasperi e Pio XII, in Italia chi conosceva il nome di John Kennedy?, la possibilità di lanciare satelliti, razzi interspaziali era soltanto nella mente de gli scienziati e degli scrittori di racconti fantastici. Ma in molti il ricordo di quei giorni è vivo come per le cose di ieri. « La Stampa » pubblicò a commento dell'impresa un articolo di Paolo Monelli, in prima pagina, dal titolo «Come un flore all'occhiello»: titolo azzeccato se mai ve ne furono. Perché ricordiamo perfettamente che la notizia diffuse in tutti, anche in coloro che non erano alpinisti, un senso di orgoglio profondo, perché finalmente erano italiani coloro che avevano compiuto un'impresa che attirava su tutto il Paese gli occhi del mondo e soprattutto perché il trionfo sul K2 era dovuto non alla genialità, all'audacia, alla capacità di un singolo, ma alla perfetta organizzazione di un meccanismo complesso, in cui tutto era stato previsto con una esattezza, con una pignoleria, che, ecco, sembravano proprio incredibili in una spedizione italiana. Soltanto chi aveva seguito a fondo la preparazione dell'impresa, sapeva che il merito di tanta esattezza, di tanta pignoleria andava ad un uomo solo: ad Ardito Desio, professore di geologia, capo della Bp edizione. Un uomo che pareva uscito di peso da un romanzo avveniristico di Giulio Verne; piccolo, magro, con un gran naso da falco, una volontà di ferro ed una capacità straordinaria nel tenere a bada i giornalisti. Attitudine che gli valse subito, come è facilmente comprensibile, critiche ed antipatie, alle quali Desio non diede nessunissimo peso, anzi, crediamo, ignorò del tutto, essendosi imposto una specie di isolamento monacale, che lo serrava come in una campana pneumatica, impedendo che nel suo cervello entrasse qualsiasi idea che non fosse questa: vittoria, a tutti j costi, sul K2. Ed ecco un fatto incredibile: per fare parte della spedizione le raccomandazioni non contavano assolutamente niente. Desio esaminò il curriculum vitae dei principali scalatori italiani, scelse gli uomini migliori, li spedì ai laboratori fisiologici di Torino e di Milano perché fossero esaminati a fondo. Dalla lista definitiva rimasero fuori, fra lo sbalordimento generale nomi grossissimi: fuori Riccardo Cassin, fuori Cesare Maestri, fuori alcuni grandi di Courmayeur e di Cervinia, Ottoz (che doveva morire poco dopo sulla Brenva); «il gatto» Carrel, Jean Pellissier. Gente di primissimo ordine, nessuno ne dubitava; ma Desio temeva inframmettenze, voleva essere il solo a comandare, sul piano organizzativo e sul piano alpinistico. I fatti gli diedero ragione. Della pattuglia furono chiamati a far parte: Enrico Abram, Ugo Angelino, Walter Bonatti, Achille Compagnoni, Cirillo Floreanir.i, Pino Callotti, Lino Lacedelli, Mario Puchoz, Ubaldo Rey, Sergio Viotto, Gino Soldà: le Alpi occidentali e quelle orientali si trovarono così ugualmente rappresentate, ma senza che Desio l'avesse voluto. Se per caso i gabinetti fisiologici avessero rivelato doti eccezionali in un giovane arrampicatore abruzzese, non avrebbe esitato un attimo a metterlo in squadra. Alla spedizione furono aggregati alcuni altri elementi, topografi, geologi, un medico, un fotografo. Partirono senza eccessivo clamore: in Italia serpeggiavano polemiche, lo .-cetticismo si faceva strada, molti dicevano che il Karako rum e l'Himalaya erano pane per i denti degli inglesi e dei tedeschi, gente che con l'organizzazione ci sapeva fare sul serio. Gli italiani, dicevano, pimcgkddPnevPrleKadsszssfICtTbnpstdairttsmri—nsnmB e o . n n i o l o a , o e a i o a o n à e e o , , a n i : e apotevano riuscire solo nelle imprese sulle Alpi, arrampicare nn giorno o due con bagaglio leggero, e tutto è finitoA metà luglio giunse dal Pakistan una notizia che sembrò dar ragione ai pessimisti: uno dei più forti, il leonino Mario Puchoz, un ragazzo valdostano che pareva fatto di bronzoera morto di polmonite. L'avevano sepolto sul ghiacciaioPoi si seppe vagamente di una rivolta dei portatori, poi che le tempeste infuriavano fra iKarakorum e l'Himalaya. Chama davvero l'alpinismo ricorda quei giorni tristi con un senso ài angoscia. L'incubo fu squarciato dalla grande notzia della vittoria. Anche in quella giornatstraordinaria, certo la più sensazionale nella sua vita di professore, Desio non si smentIl telegramma da lui inviato aClub Alpino diceva esattamente: «Vittoria trentuno luglio Tutti bene - Assieme al campbase ». Non una parola di piùnon una parola di meno. Soprattutto: niente nomi degscalatori che avevano raggiunto la sommità. Desio aveva avvertito primdella partenza i suoi uominanzi gli aveva, fatto firmare uimpegno scritto: «Noi vinceremo, ma la vittoria sarà dtutti. Soltanto io, a trionfo otenuto, potrò dire chi è statsulla punta. E lo farò quandmi parrà meglio ». Tutti (altro fatto che appare quasi incredibile) mantennero la promessa. A Rawalpindi, a Skardu, tempestati di tlefonate, assediati da corrspondenti di agenzie di tuttil mondo, non parlarono. «Dusono stati in vetta, alle 18 dtrentuno luglio, — ripetevan— ma la vittoria è di tutti. nomi li dirà il professore ». Soltanto il venticinque agsto, quasi un mese dopo, seppe che in vetta erano arrvati Achille Compagnoni, Cervinia, e Lino Lacedelli, Cortina d'Ampezzo. Alpi occdentali ed orientali avevancooperato in eguale misura serrate finale. La vittoria avva avuto fasi drammatichCompagnoni e Lacedelli erannella loro tenda a circa ottmila e cento metri, e WalteBonatti con il portatore Mahsalì a recare loro le bombodi ossigeno per il balzo finalDovettero fermarsi cento mtri più sotto, invocando chquegli altri scendessero ad aitarli. Compagnoni e Lacedenon udirono, o non poteronscendere. Bonatti e Mahpassarono all'aperto la pspaventosa notte che esseumano abbia mai sopportattra rinfuriare della tempestAlle prime luci lasciarono respiratori e scesero. Compgnoni e Lacedelli vennero prenderseli al mattino, risarono, giunsero in vetta stremti, tornarono fra slavine e vlanghe, toccarono nel cuodella notte il porto miracolodella tenda all'ottavo campAvevano vinto. Il ripiegmento al campo base non prsentò pericoli, la spedizionrientrò in Italia accolta coi più grandi onori. Il massimforse, fu il solenne riconoscmento conferito da due sommi dell'alpinismo mondiale: generale Hunt, che capeggla spedizione inglese all'Himlaya dell'anno precedente, Lord Hillary, che conquis e iao. aò o o ao, eo. a he il l'Everest. Entrambi definirono!la scalata come « eccezionale >: Iaggettivo straordinario, per quelle tempre doppiamente dure: come alpinisti e come anglosassoni Non saremo fedeli cronisti se non ricordassimo che, cessato il ferreo controllo del prof. Desio, nacquero fra \ membri della spedizione polemiche, anche aspre, alcune delle quali durano ancora. E' il destino delle cose del mondo. I due vittoriosi cessarono quasi completamente l'attività hi alpinistica di grado superiore; r-j degli altri, ben pochi tornaro- un fu tita notì. al n po ù, ogli nma ni, no ancora alla ribalta delle cronache, come se la grande impresa avesse tolto loro ogni energia. Della pattuglia il solo Bonatti rimase sulla cresta dell'onda, fra i massimi al mondo. E molte delle imprese che ha compiuto le ha fatte — dice lui stesso — « per la rabbia clic ha dentro di quanto gli è successo sul K 2 ». Il mese scorso uno della pattuglia se ne è andato per sempre: il valdostano Sergio Viotto, cadute in palestra. Un'ombra di lutto sul decennale della conquista. Carlo Moriondo mi ii 1111 uni i ■ 11 imi 11111 iimm 11 ii i ti ti i min ■ ii i > r u a à a i i i i . La celebre foto di Achille Compagnoni sulla vetta del K 2, scattata da Lacedell mulinili immuiuiiiuiumuiimui m min immmmumumummmmiuimiiuiuiiui

Luoghi citati: Ampezzo, Courmayeur, Italia, Milano, Pakistan, Rawalpindi, Torino