Ciombe (incredibile ma vero) è la sola speranza del Congo

Ciombe (incredibile ma vero) è la sola speranza del Congo II tragico paese che sfida ogni logica Ciombe (incredibile ma vero) è la sola speranza del Congo Tre anni fa, con l'aiuto dei « colonialisti », tentò di staccare il ricco Katanga e di farne il suo regno personale: fu combattuto ed espulso dall'Onu - Ora è tornato nel Congo come presidente di un governo di unione nazionale, riconciliandosi con i lumumbisti ed i filocinesi che perseguitava - E' un ambizioso, ma anche l'unico « uomo forte » capace di porre fine ad una paurosa anarchia - Se fallisce, il caos congolese può scatenare un nuovo Vietnam Al distratto lettore delle più recenti notizie dal Congo, il più attento osservatore delle vicende politiche africane non può fornire troppi lumi: unito dallo stesso senso di stupore, può semplicemente fornirgli qualche elemento in più e confermargli che ha capito bene. Proprio Moise Ciombe — colui che aveva tentato di staccare, conservandola in stato di sostanziale colonialismo, la ricca provincia del Katanga dal Congo appena assurto a libertà; il burattino delle grandi società minerarie belghe; il corresponsabile dell'assassinio di Lumumba; eccetera — proprio lui è tornato alla testa del governo non del Katanga ma di tutto il Congo. L'avevo intravisto per l'ultima volta ad Elisabeth ville in quelle giornate del dicembre '61 che parvero segnare la sua definitiva scomparsa dalla scena politica. Confortati da una opinione pubblica mondiale insolitamente concorde, i « caschi blu » dell'Onu si erano finalmente decisi a muoversi risolutamente contro i secessionisti, e gurka indiani e soldati etiopici avevano non senza difficoltà e sangue sgominato gendarmi e mercenari katanghesi. Salito su un aereo americano e trasportato a Kitona, Ciombe aveva firmato la sua definitiva rinuncia al sogno di un Katanga indipendente ; qualche tempo dopo, partiva addirittura per un dorato esilio in Europa. In Congo, militari e civili dell'Onu continuavano nel più grande sforzo di solidarietà internazionale che si ricordi: il sacrificio di duecentotrentasei caduti appartenenti a ventun paesi (ricordiamo i nostri aviatori trucidati a Kindu), la spesa di quasi trecento miliardi di lire (per più di metà offerti dagli Stati Uniti che hanno inviato anche doni per circa centocinquanta milioni di dollari oltre ad imprecisati aiuti militari), hanno per quattro anni consentito che le zuffe tribali non si trasformassero in guerre, che le essenziali strutture economiche rimanessero in piedi, che un qualche sistema di democratica convivenza tentasse di consolidarsi. L'ultimo tentativo è quello che è andato dimostrandosi sempre più vano. L'enigmatico presidente della repubblica Kasavubu, il debole primo ministro Adula, sono stati i primi a rendersi conto che con la partenza dei caschi blu — annunciata per il 30 giugno scorso e regolarmente avvenuta — il loro potere, già vago attraverso lo sterminato pae se grande sette volte l'Ita lia, minacciava di dissolversi anche al sole afoso di Léopoldville. C'era con loro, è vero, l'« uomo forte », il generale Mobutu: ma più che un'armata in grado di controllare il paese, i suoi soldati hanno sempre dato l'impressione di essere al massimo una guardia di pre toriani buona soltanto a difendere i suoi capi. Più si avvicinava il 30 giugno — quarto anniversario dell'indipendenza — e più scoppiavano focolai di rivolta. A Brazzavillo, capitale del Congo ex francese, che è di fronte a Léopoldville, dall'altra parte del grande fiume, è insediato un « comitato di liberazione » diretto da un ex ministro e seguace di Lumumba, Gbenie; nel Kwilu, capeggia un'insurrezione armata Mulele, anch'egli ex ministro, fuggito due anni addietro dal Congo e ricomparso dopo un lungo periodo trascorso — dicono — in Cina ad addestrarsi in marxismo giallo ed in guerriglia rossa; all'est, nel Kivu, si batte con successo Sumaliot anche lui appoggiato a quanto sembra dalla missione diplomatica di Pechino nel confinante ed indipendente Burundi. In più, a nord, Stanleyville rimane sempre una zona ostile che il governo deve tenere con la forza. I tre di Léopoldville capiscono che da soli, partiti i caschi blu, non ce la faran¬ nbslacrMpaaaervtbrinrgbunnzp e no. A chi ricorrere? Probabilmente è Kasavubu, col suo prestigio di « padre dell' indipendenza congolese » ad avere il coraggio di accennare a Ciombe, di avviare contatti con l'esule di Madrid, di cercare le opportune approvazioni, tutto alla sua maniera, nel più assoluto segreto. Ciombe, naturalmente sta al giuoco, ad un giuoco che egli però imposta in maniera sorprendentemente nuova: lui — il servo dei capitalisti, il nemico dei lumumbisti e dei comunisti filorossi o filogialli — verrà sì in Congo, ma a condizione di un abbraccio generale. Si liberi subito Gizenga, il successore di Lumumba, da due anni recluso in un'isola; si discuta con Gbenie a Brazzaville, con Mulele nel Kwilu, con Sumaliot nel Kivu; ci si unisca tutti in un governo di unione nazionale per salvare il paese. Quando Ciombe, quattro settimane addietro, scende da un aereo a Léopoldville, gli avversari sono ancora sbalorditi da questa sua impostazione, Adula si affretta a cedergli il governo, Kasavubu ad investirlo ufficialmente. Con prontezza e con innegabile coraggio, il nuovo primo ministro non si ferma nella capitale a far proclami, sale su un aereo, va di persona a parlare alla gente delle province più inquiete: giorni addietro era a Bukavu, nel Kivu tenuto in gran parte dai guerriglieri di Sumaliot; ora sta andando nel Kwilu di Mulele. Come un attore consumato, perfettamente a suo agio nella nuova parte di patrocinatore dell' abbraccio generale, ha messo in difficoltà i suoi avversari politici, può cattivarsi la simpatia di un popolo che dicono abbia avuto in quattro anni un milione di morti (su quattordici milioni di abitanti) per le guerre, le epidemie, la fame. Né gli nuoce oggi l'accusa del passato di essere legato ai ricchi del Katanga e di tutto il mondo: battendogli le mani, la gente di Léopoldville gli ha trovato un nuovo soprannome che suona più speranza che derisione, quello di Monsicur Argcnt, Signor Quattrini. Ad ogni buon conto, Moise Ciombe insieme alla veste non ha certo acquistato la mentalità del missionario disarmato. Non per nulla, ha lasciato finora al suo posto il generale Mobutu e soprattutto si è messo per prima cosa accanto come ministro dell'Interno quel Godefroy Munongo che nello stesso ruolo lo assistette in Katanga con un'energia ed una spietatezza degne di altri tempi se non di altri luoghi (almeno per lui, sembra provata la partecipazione all'assassinio di Lumumba).Se troverà resistenza, il nuovo governo non si comporterà certo passivamente come quello ora dissolto; gli stupri, le mutilazioni, le stragi delle guerriglie oggi in corso nel Kwilu e nel Kivu, potranno riestendersi a tutto l'orrendo scenario congolese. E' una prospettiva drammatica per la disgraziata terra, ed al tempo stesso un pericolo da non sottovalutare per la distensione nel mondo. La stampa anglosassone parla in questitiiiiiiiiiiiiiiiiriiiiiiitiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii giorni di un nuovo Vietnam in cui gli Stati Uniti inevitabilmente saranno costretti ad impegnarsi a fondo per evitare un' infiltrazione comunista, cinese o russa. Così, per quanto stupefacente e paradossale possa apparire, non solo i pochi amici col loro clamore ma anche i molti nemici col loro imbarazzato silenzio sembrano tutti ammettere che l'unica anche se relativa speranza di pacificazione è riposta in Moise Ciombe. A chi nei giorni scorsi gli chiedeva un giudizio sul governo di colui che fu il peggiore avversario dell'Onu nel continente africano, il se¬ gretario delle Nazioni Unite, Thant, ha risposto seccamente, venendo per un attimo meno alla sua consueta impassibilità asiatica: « Ogni popolo ha il governo che si merita ». Osservazione meno banale di quel che sembra: parlando del Congo giustamente assurto all'indipendenza, si è troppo spesso dimenticato che non basta importare da un giorno all'altro una costituzio- ne, che la strada della liber-fa è sempre lunga, difficilei iui.6a, e dolorosa, soprattutto — anche se non soltanto — nella foresta africana. . " . . tjiovannt Gtovannini i min i iiiiiiiiiiiiiitiiiiiii

Persone citate: Gizenga, Lumumba, Moise, Moise Ciombe, Quattrini, Thant