La rivolta borghese della «nouvelle vague»

La rivolta borghese della «nouvelle vague» La rivolta borghese della «nouvelle vague» La terza Mostra internazionale del cinema libero, conclusasi in questi giorni a Porretta Terme, ha allestito un'interessante rassegna retrospettiva della «nouvelle vague». La rassegna ha riproposto una domanda: degli oltre centosessanta nuovi cineasti francesi che comunque hanno realizzato i loro primi lungometraggi dopo il 1959 — anno chiave, che vide a Cannes il « trionfo » dell'» ondata » — quanti hanno dato un certo contributo al cinema, e soprattutto, nell'ambito di una « restaurazione », di un ritorno alla lingua del film? Uno dei più noti esponenti del gruppo, Godard, parlando di Fino all'ultimo respiro scrive che voleva rifare, partendo da una storia convenzionale, un cinema già largamente sfruttato, ma in modo diverso: «intendevo offrire l'impressione di ritornare ai processi del film, come se li si vedesse per la prima volta ». Nel piccolo Larousse del cinema, compilato da Jean iYlitry. professore al centro sperimentale francese, e di recente uscito, alla voce « nouvelle vague » leggiamo tra l'altro: « Il movimento riflette uno stato d'animo ad essa congeniale, che si può sommariamente definire come una specie di anarchismo borghese, tendente a demolire i valori tradizionali non tanto per negarli quanto per adagiarvisi comodamente, cambiando le etichette senza badare ai concetti e ai valori di fondo ». Ciò vale, secondo Mitry, sia per la forma che per la sostanza. « Sembra che il loro eroe preferito sia Ra stignac ». A proposito di Alain Rcsnais. Mitry trova che egli abbia nettamente distanziato, con Hiroshima, 7iion amour e L'anno scorso a Uarienbad, tutti i cineasti francesi dell'ultima generazione. « Si parla già per lui — e senza che ciò possa sembrare una parola campata in aria — di una "rivoluzione": nella condotta degli attori, nell'impiego della "camera", nel ricorso soprattutto all'eloquenza filmica ». Anche in un precedente di zionario, quello edito da Scghers nel 196:, troviamo che la « nuova ondata i> non si e imposta né come rivoluzione formale né come arricchimento di contenuti; solo l'opera di Resnais pare « corteggi a una vera prospettiva estetica: « l'annuncia più che realizzarla ». 11 giovane cinema francese d'altra parte, aggiunge il dizionario, somiglia molto a quello che lo ha preceduto, ed è probabile che ci saranno poche differenze, agli occhi degli storici futuri, tra Aurenche e Bost — che lungo venti anni costituirono l'« équipe » di base del la produzione transalpina— ean tori che hanno creduto di assidersi sulle rovine degli anziani; tra le opere del i960 e quelle del 1935, .ra Vino all'ultimo respiro di Godard e II bandito delia Casbah di Duvivicr. Già Alessandro Bonsanti scriveva: davanti a La regie du jeu c il testamento del mostro, cntram In di Renoir, viene ribadita l'impressione che questi giovani inulto debbano agli anziani e che, per essere dei principianti 11011 tralascino di mostrarsi cauti e d'amar l'avventura soprattutto a parole. Pur dando della « nouvelle vacue » analogo giudizio restimi vii, entrambi i dizionari sono concordi uell'ammetterc, come si e visto, una particolare eccezione per Rcsnais. Di Godard a esempio, Mitry si limita ;: porre in evidenza più che la novi t.ì dei temi, il completo rifiuto della « grammatica » cinemato grafica. Secondo Sadoul il bilancio ri mane tutt'altro clic negativo: la maggior Darte delle prime rive lazioni si è definitivamente affermata (Truffaut, Godard, Re snais); e nello stesso tempo altri nuovi registi si son fatti conoscere (Gatti, Colpi, Dcmy ecc.). Ma aggiunge: « Per parte mia in diversa occasione, parlai di un "neoromanticismo" per caratterizzare i primi successi della "nouvelle vague"; oggi riconosco che quel neologismo non na avuto fortuna. L'improvviso, e confuso, incalzare dell'ondata non ha ancora dato origine una scuola ben definita come già l'espressionismo tedesco o il neorealismo italiano ». Anche al di là di ogni e qual siasi valutazione di giudizio, col pisce il persistente, malcelato en tusiasmo di Sadoul e di molti suoi colleglli, anche italiani. Co me avrebbe potuto, la « nouvel le vague », al pari del neoreali smo, diventare « scuola ben de finita »? Mancavano intanto li premesse, 'e istanze morali, l'impegno civile, una volontà di rottura sostanziale. Né va trascurata, a proposito del neorealismo, la diversa funzione avuta in Italia dalla critica. Quella certa compattezza, quei caratteri di sforzo e di lavoro comune, fino a un certo punto concorde — ricordava recente mente Giacomo Debenedetti — sono da attribuirsi in gran parte all'opera di incoraggiamento, di commento, svolta intorno ad esso, da una critica a volto acu- qtissima, a volte nobilmente in tercssata e fautrice. « Nobilmente, perché desiderava davvero che quella fosse arte realistica, cioè che esistessero le condizioni morali, sociali c civili, per un'arte realistica ». Anche per la nostra critica cinematografica vale l'obiezione mossa a quella letteraria: che la parola neorealismo era forse un po' ambiziosa, perché quasi sempre si rrattava di un neoverismo; «ma meglio che di ambizione sarebbe giusto parlare i speranza ». La compattezza c'è stata, .iella critica francese, anzi il critico e il regista spesso erano la stessa persona; e pure l'incoraggiamento, per non dire 'a « claque » Al commento si è sostituita ''iperbole, almeno da parte dei Cahìers du Cinema, la rivista dalla quale provenivano molti dei nuovi autori. Come altri ha sottolineato, contenuti banali, che presentati in modo tradizionale avrebbero manifestato di colpo la loro natura, vennero sovente spacciati come inconsueti e nuovi. Quanto di ciò clic ancora fa epoca finirà nella « fossa co mime » nel giro di qualche lustro? Oggi si tira fuori un po' di tutto e Io si dichiara importante anche se non è ne cessarlo. E' degno di ammirazione che il vecchio Goethe nell'anno della sua morte, ricorda Lukacs, avvertisse i valori del Balzac di Pelle di zigrino e dello Stendhal di // rosso e il nero e respingesse l'Hugo d Vi otre Dame: questo dimostra ancora che non si tratta di accettare le cose solo perché nuove, ma di sapere scegliere. Molta schiuma, molta più di rla«jastfpgng«udrdnmepldpzgvtpmvmccllipcrtgniillllinilt(llinMiHlllllllMltl11MIII1IMMIIMIIIIIIl quanto non vogliano ammette re Sadoul e altri, ha prodotto la « nouvelle vague », come ebbe a battezzarla sull'Express Fran«joisc Giroud; denominazione arbitraria, ritiene il Larousse. sotto la quale si indica di solito un gruppo di giovani registi francesi « che hanno potuto rapidamente arrivare alla regia grazie ai mezzi finanziari personali di cui disponevano ». Il giudizio nel complesso negativo da noi espresso sulla « nuova ondata » non deriva da un atteggiamento preconcetto, da una incapacità a comprendere le « forme nuove ». Proprio da Eliot abbiamo imparato a non inveire contro queste forme, ma a indagare come mai esse siano quelle che sono. Ci pare allora, pur riconoscendo l'interesse e il peso di un Godard, che non di « nuovo » si possa parlare, ma di restaurazione. Di ciò clic è risaputo e già da tempo assimilato, che viene restituito in vita apparentemente, con tecniche da un pezzo e in gran misura sperimentate, in molti casi ormai divenute maniera. Incapace di ammettere l'esistenza di inediti che non le appartengano, la società dalla quale i registi dell'» ondata » hanno origine non li ha infatti respinti. Oggi non siamo più quasi isolati, del resto, nella nostra posizione. Già passando dalle cronache dei quotidiani e delle riviste ai dizionari, gli esclamativi cominciano a perdersi, i giudizio si fa più meditato, meno stupefatto e inebriante. Si comincia forse a distinguere tra ciò che è durevole e ciò che e caduco? Guido Aristarco IlllllIlliIllMIMMIIIIIIIIIIIIIlllll HI II 11111111111

Luoghi citati: Cannes, Hiroshima, Hugo, Italia, Porretta Terme