L'ultimatum alla Serbia e la politica dell'Italia di Luigi Salvatorelli

L'ultimatum alla Serbia e la politica dell'Italia Mezzo secolo fa, l'Austria muoveva verso la guerra L'ultimatum alla Serbia e la politica dell'Italia Terminando, in questi giorni di gran calura, l'esame dei documenti diplomatici italiani riguardanti Io scoppio della guerra del 1914, mi è tornato in mente come anche allora — cinquantanni fa — il luglio romano riuscisse particolarmente torrido. E a questo ricordo si è associato l'altro (che anzi potrebbe essere stato, nell'intreccio subcosciente Hi reminiscenze, il primo) del travaglio fisico del nostro ministro Di San Giuliano, in quell'ultima estate della vita sua rifugiantcsi da Roma a Fiuggi a passare la notte, perche soltanto su quella altura riusciva a dormire. Di quel travaglio, attraverso un conoscente comune, mi arri vavano gli echi, incontrandosi c scontrandosi con gli attacchi irò si che quel suo apparente villeggiare destava in certi oppo sitori « liberali » che avrebbero voluto strappargli le dimissioni Erano i medesimi che già da allora incominciavano a compromettere la posizione di liberti" dell'Italia, svalutandone il peso in quel supremo momento internazionale: ebbene di tutto ciò ho ritrovato testimonianza nei documenti italiani della seconda metà del luglio 1914 (dodicesimo volume della quarta scric). Il zf\ luglio, alle 18,50, Salandra telegrafava — con « precedenza assoluta » — a Di San Giuliano a Fiuggi: «Oggi ho veduto Barrire. Per eventuali altre importanti conversazioni, e per risoluzioni che si richiedono immediate specialmente per indirizzo pubblicazioni stampati prego vivamente venire qui domattina senza ripartire ». Era un vero e proprio « cicchetto ». probabilmente impartito sotto la influenza diretta delle critiche acrimoniose del Corriere della Sera. Di San Giuliano risponde la sera stessa alle :o, con lettera particolare, clic si propone di essere a Roma il giorno dopo :y, che intenderebbe restare a Roma tutto il 29, c partire il 30 per Camaldoli, ove avrà un col loquio con Flotow, l'ambasciato re tedesco (in realtà, né lui né Flotow ebbero poi l'agio di recarsi a Camaldoli). E soggiunge (qui viene l'interessante dal punto di vista politico): « Mi è assolutamente impossibile, per ragioni di salute, rimanere a Roma più di due o tre giorni; e non sarebbe utile, ma anzi nocivo, per il modo come devono essere condotte le cose in questo delicato momento. Certo, ciò ini espone a cri tiche; ma svaniranno se il ri saltato, come spero, sarà soddi sfacente. Non occorrono affatto risoluzioni immediate, anzi sa rebbero pericolosissime; bisogna lasciare in tutti all'estero e al l'interno, per ora, l'incertezza sulla nostra attitudine e sulle nostre risoluzioni, per cercare di ottenere qualche positivo vantaggio. Per la prima volta, dacché esiste il Regno d'Italia, un ministro degli esteri tedesco di ce che è il -momento favorevole per avere il Trentino. La sola cosa che, per la riuscita, io di ploro, è di non poter andare più lontano che Fiuggi e Val lombrosa. Quanto ai comizi con tro la guerra per l'Austria, mi pare che possono più giovare che nuocere per le nostre trattative; ma non possiamo rassi curare l'opinione pubblica e dirle che noi non faremo la guerra a nessun costo, perché in tal caso non otterremo più nulla Perciò, secondo me, urge lavorare in silenzio, parlare poco non aver fretta e star lontano da Roma il più possibile ». Lascio andare i confronti che mi sorgono spontanei con quello che nel periodo delle neutralità si pensò e si disse da altre persone, di posizione e di influenza diversissime (per nomi narc il maggiore e il minimo da Giovanni Giolitti e da Lui gi Salvatorelli). Lascio andare, e vengo al sodo. In questa lettera — che a me era ignota fin qui — abbiamo la chiave di tutta la politica del Di San Giuliano riguardo alla guerra del 1914. prima c dopo il suo scoppio. Di San Giuliano non lasciò mai in dubbio gli alleati sul punto che, scoppiando la guerra europea per l'attacco dell'Austria alla Serbia, il nostro governo non avrebbe ammesso il casus foederis. Del resto, lui e Giolitti avevano parlato chiaro in proposito; a Vienna e a Berlino, esattamente un anno ' avanti. Luigi Albertini ha fatto strepito — uno strepito proveniente dal suo cervello geometrico, e cioè antipolitico — per il fatto che una dichiarazione altrettanto precisa e categorica nel luglio '14 non ci fu. Egli non ha considerato il punto di partenza differente: che nel '13 fu un quesito posto dallo stesse, governo austriaco, per una guerra preventiva, mentre nel '14 fu l'ultimatum in seguito all'eccidio di Serajevo. Ala lasciamo andare la questione puramente formale: pro¬ pmcaipqafdagsedcdtttncfVfiatsoldddtspnatpr■ prio l'insieme di questi documenti provano luminosamente come Di San Giuliano abbia, anche nel luglio '14, sempre parito con gli alleati partendo dal presupposto che, se guerra in quel caso ci fosse, l'Italia non avrebbe riconosciuto il casus foederis. Basterebbero le sue dichiarazioni riportate nel mio articolo precedente (del 30 giugno) a provarlo. Ma in questo secondo periodo c'è qualcosa di più e di meglio: c'è il fatto che celi impianta la questione dei compensi per l'art. 7 della triplice c ci insiste tenacemente, tenendola nettamente distinta da quella della partecipazione italiana, o no, alla guerra. E c'è infine, il 17 luglio, l'incarico a Bollati e ad Avarna di far comprendere a Berlino e a Vienna che, se l'Austria modificasse anche in piccola parte a proprio vantaggio lo statu quo territoriale nei Balcani: «Noi sarctmi/o prosciolti da tutti gli obblighi anche morali dell'alleanza c tutta la nostra politica dovrebbe essere identica e coordinata a quelle della Russia e di tutte le potenze contrarie tWingrandimento territoriale del' Austria ». Dunque: non più soltanto neutralità, ma guerra fianco dell'Intesa. Se poi il rimprovero si appunta sul fatto di non aver pronunciato un vero e proprio veto all'azione austriaca e anzi di tvcre ammessa in ipotesi una partecipazione nostra alla guerra (nel qual caso i compensi avrebbero dovuto esser maggiori), allora si rivela anche più chiara l'incomprensione politica, c si fa un ragionamento alla fra Cristoforo. Precisamente questa era la politica del Di San Giuliano: dato che la guerra scoppiasse, suprema regola di condotta diventava quella della mano libera, in tutti i sensi, per maggior vantaggio del paese. Politica pura? Sacro egoismo? Neanche questo sarebbe esatto. Di San Giuliano fece e fu disposto a fare il possibile per evitare la guerra. Per ciò spinse avanti la Russia a far sapere che non avrebbe tollerato lo schiacciamento serbo; e contemporaneamente premette e fece premere sulla Serbia perché si mostrasse arrendevole all'estremo, fino anche all'acccttazione totale, letterale, dell'ultimatum austriaco. Spinte apparentemente contrarie, di fatto convergenti. E anche per questo, sebbene egli non lo dica espressamente (almeno nei documenti finora noti), egli voleva mantenere in certa il più a lungo possibile la decisione dell'Italia: perché que sta incertezza creava per ambe due le parti una remora, un mo rivo di incerto equilibrio nelle forze in contrasto. Che è poi il motivo (o più esattamente, uno dei motivi) che giustificano, o almeno spiegano, il mancato pronunciameli to di Lord Grcy, avanti la pri ma dichiarazione di guerra. Luigi Salvatorelli