Moro ha presentato a Segni il governo Stamane i ministri prestano giuramento di Michele Tito

Moro ha presentato a Segni il governo Stamane i ministri prestano giuramento I decreti di nomina firmati ieri sera dal Capo dello Stato Moro ha presentato a Segni il governo Stamane i ministri prestano giuramento Rispetto alla precedente formazione rimangono immutate le rappresentanze tra i partiti e le attribuzioni degli incarichi - Non figurano nella lista Giolitti e Bosco - Il Bilancio affidato a Pieraccini, il ministero del Lavoro a Delle Fave - Mancini dalla Sanità passa ai Lavori Pubblici Nuovi ministri: Scaglia (de) e Mariotti (psi) - Vane le azioni per vincere l'intransigenza di Fanfani - Tuttavia Bo, che fa parte della sua corrente, accetta di restare alle Partecipazioni Statali - Merzagora non si trova nel suo ufficio a Palazzo Madama quando il Presidente del Consiglio, all'uscita dal Quirinale, si reca a fargli visita come vuole la consuetudine - Sottolineato l'episodio negli ambienti politici Un programma più concreto Roma, 22 luglio. Soltanto due ministri del precedente governo Moro non figurano nella lista del nuovo: gli onorevoli Giolitti e Bosco che rispettivamente avevano i portafogli del Bilancio e del Lavoro. Due sono i nuovi, Fon. Scaglia, che ha l'incarico dei rapporti fra governo e Parlamento, e il senatore Mariotti, ministro per l'Igiene e la Sanità. Tre dei ministri che erano già membri del governo precedente cambiano di incarico nel nuovo: l'on. Dalle Fave che passa dai rapporti fra governo e Parlamento al dicastero del Lavoro in sostituzione del ministro uscente, Bosco; l'on. Pieraccini, che lascia i Lavori Pubblici per succedere a Giolitti nel ministero del Bilancio, e l'on. Mancini che dalla Sanità passa ai Lavori Pubblici per sostituire Pieraccini. Il governo si presenta dunque praticamente immutato nella sua costituzione, anche perché si è avuto cura di effettuare quei pochissimi cambi rivelatisi necessari, fra uomini dello stesso partito. Un socialista era al Bilancio nel governo di prima, e un socialista vi è oggi ; socialista era il ministro dei Lavori Pubblici e un altro socialista gli succede; socialista rimane, come prima, il responsabile della Sanità e altrettanto si dica per il dicastero del Lavoro e per l'incarico dei rapporti fra governo e Parlamento dove il cambio è avvenuto fra democristiani. Immutata la rappresentanza proporzionale fra i partiti, è stata insomma confermata anche l'attribuzione degli specifici incarichi. Appare quindi evidente il proposito della continuità, che si manifesta attraverso un ' operazione definita di congelamento. Si è voluto congelare la situazione preesistente appunto per sottolineare, con la presenza fisica degli stessi uomini, che la soluzione della crisi non deve essere interpretata come un mutamento di rotta. Ciò non significa, ovviamente, che proprio tutto sia rimasto come prima. Il rifiuto dell'onorevole Giolitti a conservare l'incarico del Bilancio è stato determinato precisamente da quei ritocchi programmatici che hanno fatto temere a lui, come agli altri aderenti alla corrente lombardiana del psi, che la questione della programmazione possa venire impostata in maniera diversa da quella prevista nel piano di cui Giolitti appunto era l'autore. L'uscita dal governo dei lombardiani ha un'importanza politica da non trascurare, almeno come indicazione di possibili prospettive diverse quanto a gradualità di realizzazione e priorità degli obbiettivi da raggiungere. In questo senso, d'altra parte, si era già notato che il programma concordato per il nuovo governo è più concreto nelle sue definizioni, e reso meglio idoneo ad assicurare il passaggio alla fase delle pratiche applicazioni, ciò che non può avvenire senza qualche sacrificio o ridimensionamento, che non tutti i socialisti sono stati disposti ad accettare. Diverso, e in certo modo più sottile e quindi più difficile da apprezzare, è il caso della mancata adesione del gruppo fanfaniano al nuovo governo. In pratica, questa si è ridotta all'esclusione di un solo ministro, il senatore Bosco, della corrente di « amici di Nuove cronache », Il giudizio negativo dell'on. Fanfani pare essenzialmente fondato su un suo netto disaccordo sul modo di considerare il problema della parità della scuola di Stato e di quella privata. In altri termini, egli sostiene che proprio la questione che ha dato origine alla crisi — la mancata approvazione dell'art. 88 del bilancio — non ha trovato una corretta soluzione in sede di accordo programmatico, e quindi pe¬ serebbe come incognita grave sulla sorte del governo che prima o poi sarà chiamato ad affrontarla in condizioni non propizie. Si tratta quindi di una riserva formale ed esplicita, quasi di un ammonimento rivolto dall'ex presidente Fanfani al suo successore, e il senatore Bosco, un fedelissimo di Fanfani, già ministro della Pubblica Istruzione in precedenti governi, lo ha fatto proprio, declinando l'offerta che gli era stata fatta perché conservasse il proprio posto. Singolare, anzi increscioso, appare invece l'incidente sorto in conseguenza del mancato incontro di Moro con Merzagora, il quale non ha atteso a Palazzo Madama il presidente del Consi¬ glio per la visita rituale. L'atteggiamento del presidente del Senato non è forse casuale, se si ricorda che già esisteva un certo stato di tensione, per effetto del telegramma che Merzagora aveva spedito sabato scorso ai capi gruppo del Senato deplorando il modo di soluzione della crisi, lesivo — a suo giudizio — delle prerogative del Parlamento. Tenendo conto, anche, di precedenti analoghi che risalgono al febbraio del 1960, in occasione della crisi allora apertasi per le dimissioni del governo Segni, si guarda quindi con una certa preoccupazione alle conseguenze che potrebbe avere questo nuovo incidente. Vittorio Gorresio ano senza riserve al governo Moro. Tutto sommato le cose sono andate in maniera da segnare, per l'immediato, un successo di Moro e di Rumor, che miravano al t congelamento » del governo per sottolineare la continuità tra il primo e il secondo ministero Moro e dare alla, nuova compagine più precisa forza politica. L'atteggiamento di Fanfani e il resto riguardano la vita interna democristiana. Ma è sorto, per il governo, un problema nuovo, il problema Merzagora. Il presidente del Senato, che aveva proclamato, all'inizio della crisi, la necessità di un governo di emergenza e aveva protestato per la procedura usata dai quattro partiti di centro-sinistra, non ha potuto farsi trovare a Palazzo Madama quando Moro, come vuole la consuetudine, si è recato, appena uscito dal Quirinale, a rendergli visita. Impegni improvvisi di carattere familiare, a Roma, avevano costretto Merzagora a non attendere il presidente del Consiglio; ma nessuno dei vice presidenti del Senato è stato avvertito affinché si sostituisse al presidente e Moro è stato ricevuto dal segretario genetale dell'assemblea, che è un altissimo funzionario ma è sempre un funzionario. La cosa ha suscitato scalpore: vi sono versioni che tendono ad attribuire precise intenzioni polemiche a Merzagora, ma negli stessi ambienti, compresi quelli della Camera, che non dubitano della correttezza di Merzagora, non si nascondono sentimenti di allarmato stupore. Né la. Presidenza del Consiglio né altri hanno commentato ufficialmente l'accaduto, e si e rimasti fino a tarda sera in attesa di un comunicato della Presidenza del Senato che valesse a chiarire un po' le cose, die significasse un segno di considerazione verso il Presidente del Consiglio che non ha trovato nessuna personalità politica ad accoglierlo al Senato. L'imbarazzo generale c tradito da una notizia diramata dall'agenzia « Ansa » a tarda ora. Il comunicato si riferisce al calendario dei lavori parlamentari per la fiducia e dice che se ne parlerà in un colloquio che Merzagora avrà domani con Moro. Probabilmente, è dal colloquio di domani, concordato all'ultimo momento, che verranno segnati gli sviluppi della insolita vicenda. Michele Tito

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