L'eccesso di prosperità della Germania è un rischio per i tedeschi e per l'Europa di Giovanni Giovannini

L'eccesso di prosperità della Germania è un rischio per i tedeschi e per l'Europa Perché l'inflazione può essere, nel Mercato comune, una malattia infettiva L'eccesso di prosperità della Germania è un rischio per i tedeschi e per l'Europa Mentre gli altri Stati (in primo luogo l'Italia) sono minacciati dall'aumento dei prezzi e dal passivo della bilancia commerciale, a Bonn il «miracolo economico» assume proporzioni mai viste - In Germania la produzione è cresciuta più dei consumi, i prezzi sono stabili, i salari non aumentano più del reddito nazionale; perciò il paese «affoga nell'oro e nelle valute straniere» - Ma è una situazione pericolosa: può spezzare l'equilibrio interno del Mec, o gettare nell'inflazione anche la Germania e quindi l'intero Continente (Dal nostro inviato speciale) BruxeUes, 11 giugno. Tra i sei personaggi del Mec, c'è chi sta male e chi (ci si perdoni l'espressione plebea ma efficace) crepa di salute. L'Italia, come già abbiamo detto nel riferire senza commentare il parere dei responsabili della Comunità, viene concordemente dipinta come un amico dalla struttura fragile, al quale perentoriamente si consiglia di spendere meno energie e di incamerarne di più, e magari di procedere d'urgenza a qualche iniezione : tipo quella americana da un miliardo di dollari del marzo scorso, o quella tedesca da due miliardi di dollari, di cui si sta parlando. La raccomandazione, anche se amichevole, non è dovuta soltanto a un disinteressato interesse per l'altrui salute. Com'è comprensibile per personaggi che da sette anni convivono, i nostri cinque partners si preoccupano delle possibilità di infezione inflazionistica, tanto più che anche fra loro non tutti appaiono tanto in forma. Qualche sintomo preoccupante, seppure in misura minore, è affiorato da tempo anche in Francia, in Olanda e, più recentemente, in Belgio e in Lussemburgo. La bilancia commerciale della Comunità col resto del mondo è passata da un attivo di un miliardo di dollari nel '58 a un passivo di tre miliardi nel '63 e probabilmente di quattro nel '64. Nei rapporti commerciali con gli altri cinque Paesi del Mec, la Francia, al termine del primo trimestre di quest'anno, è già in deficit per 62 milioni di dollari (contro un disavanzo di 19 milioni nello stesso periodo dell'anno scorso e un attivo di 29 milioni nel gennaio-marzo del '62). E' in assoluto molto, anche se è poco confrontato col deficit italiano nei confronti del Mec, che è salito da 84 milioni di dollari (sempre nel solo trimestre in esame) nel '62, a 134 milioni nel '63, a 204 milioni nel '64. Vediamo gli stessi dati per la Repubblica federale tedesca: attivo di 159 milioni di dollari nel '62, di 204 milioni nel '63, di 432 nel '64. A questi 432 milioni di attivo tedesco corrispondono i 266 milioni del passivo italiano e francese sommato insieme e i 166 del deficit belga-olandese-lussemburghese. Al tavolo del Mec noi siamo quelli che in questo momento perdiamo di più ; ma non siamo i soli : è la Germania soltanto che vince. Ha detto qualche giorno addietro il vice presidente della Commissione comunitaria, signor Marjolin: «.Se questo contrasto dovesse continuare o, peggio, accen tuarsi, lo stesso equilibrio interno del Mec correrebbe un serio pericolo. Altrettan to grave si farebbe evidente, mente la situazione, se fosse la Germania a cedere alla tendenza inflazionistica Non resta che procedere, e d'urgenza, a un vigoroso sforzo per tornare alla sta bilità nei Paesi più minac ciati ». Con quest'ultima, genericamente cortese, espressione ci si rivolge soprattutto all'Italia dalla quale con sempre maggior impazienza attendono a Bruxelles misure che giovino sia a lei che agli altri membri del Mec. « Neil' intervenire come stiamo facendo presso il governo di Roma — ci si preoccupa di chiarire a Bruxelles -— noi obbediamo fedelmente alla lettera e allo spirito del Trattato del Mec. E' ingiusto accusarci di ingerenza negli affari altrui: sono anche affari nostri ». Ha chiarito bene Carli nella sua relazione alla Banca d'Italia: « In avvenire molto più che in passato dovremo essere pronti ad affrontare nelle diverse sedi internazionali una costante critica costruttiva di ogni nostra azione o inazioìie, e a rendere conto di ogni ritardo nell'adozione di eventuali misure correttive di squilibri interni ed esteri. Ed è giusto che sia così, perché in regime di cambi fissi e di frontiere economiche aperte, gli anzidetti squilibri tendono a propagarsi rapidamente alle altre eco¬ Iir ¬ nomie senza che esse abbiano ampie possibilità di difesa ». E' strano ma ad apparire i più preoccupati sono proprio i rappresentanti di quella Germania che, per dirla col suo ministro dell'Economia, « rischia di affogare nell'oro e nelle valute ». Un settimanale tedesco è arrivato a consigliare i turisti che si recano in Italia a non cambiare subito tutti i marchi, a farlo solo di giorno in giorno secondo le necessità per evitare di essere sorpresi da un' improvvisa svalutazione della lira. Sono allarmi eccessivi; ma i fattori di preoccupazione psicologica fanno presto a tradursi in elementi di danno concreto. « E noi abbiamo invece bisogno — ci ripetono tutti a Bruxelles — di un'economia italiana sana. Un vostro eventuale ricorso alle clausole di salvaguardia sareb be il segno più grave delle vostre difficoltà ma al tem po stesso danneggerebbe anche noi che ci troveremmo, sia pur provvisoriamente, un mercato chiuso ». La Germania sta facendo il possibile — soprattutto, naturalmente, nel suo interesse — per ridurre la sua eccessiva tensione. E' di pochi giorni addietro la decisione del suo governo di dimezzare le sue tariffe per tutti i prodotti industriali importati dagli altri paesi del Mec, a partire dal 1° luglio. Con questo provvedimento, che praticamente anticipa di un paio d'anni il progressivo smantellamento dei dazi interni della Comunità, Bonn affronta un onere che si calcola sui 180 milioni di marchi, e cioè sui 27 miliardi di lire. Per quanto la cifra possa apparire ragguardevole, il beneficio sarà relativo sia per i partners sia per la stessa Germania; sarà come togliere una goccia di sangue ad un personaggio tanto sanguigno da giustificare qualche timore di ai tacco apoplettico. E valga no pochi ma aggiornatissi mi esempi che dobbiamo al la cortesia del dott. Heinrich Eichner, rappresentai te permanente della Confindustria tedesca presso le Comunità Europee. L'attivo della bilancia commerciale di Bonn è pas sato da 3,5 miliardi di march' nel '62 a 6 miliardi nel '63, a 3,5 miliardi nel solo primo quadrimestre di que stanno: le prevision, per l'intero 1964 sono di un avanzo record di circa 10 miliardi di marchi, pari a 1500 miliardi di lire. Le riserve auiee e mone tarie si avviano a raggiun gere, come già abbiamo det to, la cifra record di 9 miliardi di dollari, e cioè di 5500 miliardi di lire. La produzione industriale è aumentata del 3,5 per cen ta nel terzo trimestre del 1963; del 5,2 per cento nel quarto trimestre del '63; dell'11,3 per cento nel pri me trimestre di quest'anno. Da febbraio a marzo, l'indice della produzione industriale — fatto pari a 100 i) 1950 — ha segnato un balzo record: da 292,7 304,8. Il ritmo produttivo sta accelerandosi in maniera impressionante: in confron to all'analogo periodo del l'anno precedente, gli ordini alle industrie sono au mentati del 4,5 per cento nei terzo trimestre del '63; de' 7 per cento nell'ultimo trimestre del '63; del 16 per cento - altra cifra record — nel primo trimestre di quest'anno. L'aumento vertiginoso delle commesse garantisce un ulteriore aumento della produzione nei prossimi mesi Come forse mai durante tutto il famoso periodo del miracolo economico, l'apparato produttivo delld Repubblica federale lavora oggi al limite delle sue possibilità, in mezzi ed in uo mini. I posti di lavoro va canti sono ulteriormente saliti in un anno da 580 mila a 630 mila, nonostante il continuo aumento dei lavoratori stranieri, che si avviano a toccare — ed è l'ul tima cifra record che citiami — le 900 mila unità (di cui circa un terzo italiani). « Why the Ger?nan mira- Tnnsmp cle keeps going ? » chiedono, con il « Financial Times », gli osservatori di tutto il mondo ; « quali sono i motivi di questa permanente, crescente esplosione ? », domandiamo anche noi al signor Eichner. « Sono — è la risposta — sostanzialmente tre: la Germania produce più di quello che consuma; l'industria tedesca punta sempre e soprattutto sull'esportazione in tutto il mondo, e naturalmente si avvantaggia in particolare nei confronti dei partners di una comunità dalle barriere interne sempre decrescenti; governo, imprenditori e sindacati operai possono avere, ed hanno, vedute diverse su qualsiasi punto, tranne che sulla ineluttabilità di un ancoramento delle variazioni dei redditi a quelle del prodotto nazionale lordo ». Tutti e tre questi motivi di successo possono però in breve tempo attenuarsi o scomparire. U troppo dana- si iro disponibile può invoglia¬ re la popolazione tedesca a spendere anche lei più di quel che dovrebbe; il deficit delle rispettive bilance con la Germania può indurre (al di là di un certo limite, in qualche caso forse già raggiunto) i partners del Mec anche a chiudere le frontiere; i sindacati hanno già deciso di muovere all'attacco subito dopo le ferie estive e di chiedere molto ( i rappresentanti a Bruxelles dei lavoratori tedeschi ci dicono che non accetteranno meno di un 8%). Così, anche i maggiori esperti di Bonn (eurocrati, confindustriali o sindacalisti) concordano nella diagnosi di Marjolin : nonostante il suo successo, proprio anzi per le sue eccessive proporzioni, anche la Germania corre dei rischi: o continua così, accentuando e rendendo intollerabile il suo distacco dagli altri partners del Mec, compromettendo lo stesso equilibrio interno della Comunità; o corre anch'essa il rischio di essere contagiata dall'ondata inflazionistica, rendendo generale la crisi economica della Piccola Europa. Di qui l'attesa impaziente della Comunità, la pressione amichevole sui governi di tutti gli Stati mem bri, ma soprattutto su quel lo italiano, affinché prendano quelle immediate drastiche misure antinflazionistiche che la Commissione ha suggerito, come già abbiamo detto, e sulla cui adozione dovrebbero riferire a Bruxelles entro una decina di giorni al massimo. «Al punto in cui siamo arrivati — conclude un eurocrate in vena di reminiscenze hemingwayane — la campana non suona più per uno Stato soltanto, suona per tutti e sei i Paesi che stanno tentando di dar vita ad una Europa nuova, diversa ed unita ». Giovanni Giovannini

Persone citate: Carli, Heinrich Eichner