Pascoli e D'Annunzio a contrasto per l'eredità di Giosue Carducci

Pascoli e D'Annunzio a contrasto per l'eredità di Giosue Carducci Pascoli e D'Annunzio a contrasto per l'eredità di Giosue Carducci Pretendevano entrambi di raccoglierla, con parole insincere di modestia e di reciproca ammirazione - Pascoli dimostrava più asprezza e malevolenza del rivale; ma tutti e due avevano qualità umane troppo inferiori al maestro A meglio intendere i libri dei poeti molto giovano memorie, cronache, ricordi, biografie, aneddoti che evochino climi e ambienti, e le «atmosfere» che furono propizie alla poesia. E' un genere di studi non molto diffuso in Italia, ed è peccato. Cogliamo qualche occasione. Gli editori Nistri-Lischi hanno pubblicato, postumo, un libro di Giuseppe Fatini, Il D'Annunzio e il Pascoli e altri amici, che descrive in parte ed episodicamente la fine del nostro Ottocento. Sullo sfondo il Carducci, aspro e solenne; intorno si agita il mondo pittoresco della Cronaca bizantina, della Nuova Antologia, del Convito, appaiono figure care e cordiali e altre ambigue e sfuggenti: v'è il critico poeta Enrico Nencioni, e il poeta garibaldino Giuseppe Marradi, vi sono Giulio Salvadori, Scarfoglio, il Martini, la Serao, Angelo Conti... Del carattere morbosamente sensibile, ombroso del Pascoli già molto si è scritto; ma anche qui, in queste pagine, il suo animo, non alieno da una dolciastra doppiezza, si manifesta subdolamente a contrasto con il fare spregiudicatissimo, infatuato, rettorico, ma ardito del D'Annunzio. Il DAnnunzio era sin da giovane, per naturale istinto, espertissimo della vita, cinico e audace; si deve tuttavia riconoscere che a confronto col Pascoli, amicizia e dissapori, fu il migliore dei due, il più distaccato, il più generoso. Nel giuoco delle ipocrisie e delle false effusioni si scoprono atteggiamenti, parole irritanti, che ci lasciano perplessi. I due poeti si incontrano a Roma ad ope ra di Adolfo De Bosis, che, a vincere la timidezza del Pascoli, lo aveva tratto in un inganno. Il DAnnunzio raccontò poi : « L'inganna toro rideva nel vederci così vergognosi, mentre tuttavia ci tenevamo per mano. Poi ci sedemmo su la panca felici, senza far molte pa rote, nessuno di noi temen do il silenzio che è sì soa ve quando il cuore si colma ». Ma anche più melli fluo è il ricordo estatico del Pascoli, che rievocò, un giorno, a scuola, il « fan ciullo divino .->, così elegante, raffinato e prezioso, che lo aveva abbracciato mormorando : « O mio Giovan ni! o mio Giovanni». In tanta soavità serpeg giavano viscidi mostriciat toli di invidia, di antipa tia, di insofferenza. Quan do DAnnunzio, invitato dalla «Comédie Frangaise a commemorare Victor Hugo, rispose : « Non posso venire, dovendo leggere una mia ode a Victor Hugo in Campidoglio », Pascoli ebbe uno scatto iroso, voi gare ; il poeta « f rancesca no » usò parole che non ci piace ripetere, inveì contro le sètte letterarie, « piccole e balorde e ignobili e spu tacchievoli », e finì, a spre gio dell'arte dannunziana, con l'associare la Francesca da Rimini alle pillole Pink In realtà i due non sì comprendevano; nati e cresciuti in una stessa atmosfera lirica, affini nella pre ziosità estetizzante e decadente, coglievano, l'un del l'altro, certe cadenze incan tevoli, il luccicore di una parola, di un'immagine, si compiacevano in un eguale magistero metrico e stilistico, negli artifici e nelle coloriture. Ma la loro di sita era sostanziale. Analizzando Mirycae, e rivelandone la deliziosa freschezza, D'Annunzio concludeva col negare al Pascoli il senso del mistero : « Nella sua poesìa raramente si sente l'Indefinito. Il fantasma poetico non sorge dalla me lodia... ». Negare al Pascoli la trepidazione interiore, la grazia e l'ingenuo terrore dell'occulto, ci pare strano da parte di un altro poeta. Il Pascoli, a sua volta, definiva D'Annunzio « il più sincero tra i sinceri », ed anche qui sentiamo un che di approssimativo. In che senso il fastosissimo D'Annunzio poteva apparire sincero a chi si vantava sem-l LtspdrgdiqmmdzemtNrnefirmsdaVsm La verità è che i due poeti, nati dalla decisiva trasfigurazione del linguaggio poetico italiano compiuta dal Carducci, si allontanarono poi tutti e due dal grande maestro, sostituendo il malaticcio, l'incerto, il tenero delle sensazioni^ quella poesia civile ampiamente umana, mossa dalla meditazione della storia e dalla vereconda contemplazione della natura. Alla morte del Carducci, essi si sentirono in qualche modo i successori. Ma, esattamente, quale dei due? Nell'attesa di un'immaginaria, chimerica proclamazione che indicasse l'eletto, essi si riunirono in un enfatico abbraccio spirituale, incominciarono a incensarsi reciprocamente, sicché l'omaggio al grande scomparso si risolse in una specie di improvvisa complicità e auto-esaltazione. D'Annunzio si trovava in Versilia, inviò un ramo di pino da deporsi sulla tomba, e contemporaneamente scrisse al Pascoli : « Non ho cuore di venire a Bologna, mio caro fratello; ma dal la terra ove Egli nacque, ti prego di baciare per me la fronte veneranda... ». E il Pascoli di rimando : « Caro grande fratello, ho baciato per te la nobile fron te. Egli non era lì. Egli era forse nel suo paese natale, presso a te, a ispirarti nell'aspra ascensione verso l'etra senza nuvole a cui giungerai..». Pascoli gli ce deva dunque la primogenitura? D'Annunzio non ebbe esitazioni nel dichiarare formalmente al popolo italiano: la fiaccola che viva Et mi [commette l'agiterò su le più aspre vette... L'irriverente umorismo della situazione non sfuggì all'attenzione; ed Enri co Thovez causticamente scrisse che quelle sconcertanti parole erano dettate da « pastorelli della grande Arcadia ». Una cosa si può affermare con certezza, os sia che mai e poi mai il Carducci avrebbe commesso a Gabriele quella tal fiac cola, o qualsiasi altra cosa anche più modesta e ma neggevole. L'infatuazione dei giovani per Gabriele fu a nostro avviso uno dei primi sintomi di un sordo cedimento dello spirito italiano; Ugo Ojetti diceva: « Sì, noi giovani s'amava Gabriele d'Annunzio... L'uno (il Carducci) era il padre burbero di puche parole e di semplici costumi tutto volto al passato, chiuso tra scrittoio e tinello, professore, commendatore, senatore, un'autorità ormai con tutti i bolli e visti. L'altro era e voleva essere il nostro fratello maggiore, libero e ardente, ribelle e seducente ». D'Annunzio fu dunque soprattutto un grosso successo mondano che condusse quei giovani così belli e seducenti a molte catastrofi, non solo artistiche. Il Carducci era stato un poeta integro e puro. Allorché presentò Cesare Pascarella come « il solo poeta sano, forte, semplice », Pascoli fece le bizze, e finse, con modi villani, di non intendere. Ma intendiamo noi. La sanità era la struttura stessa del Carducci, equilibrio perfetto di pensiero e di forma, di sentimento e di volontà; significava essere uomo vero. Grande tradizione che dopo di lui andò via via declinando. Carducci era veramente morto, senza eredi, Francesco Bernardclli

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