Due esperimenti narrativi

Due esperimenti narrativi Due esperimenti narrativi In L'impagliatore di sedie, Ottiero Ottieri tenta un indefinibile « racconto visivo » con la tecnica della sceneggiatura cinematografica - La Cali0a di Alberto Bevilacqua è un poema in prosa, nello stile della « canta popolare », su una patetica ragazza di strada L'impagliatore di sedie non è, almeno nell'evidenza più grossa, l'Ottieri che conosciamo, cioè l'Ottieri della letteratura cosiddetta « aziendale y>. Infatti quel che c stato il limite di quella moda è oggi abbastanza superato. Ma anche l'Ottieri desiderava uscirne e in qualche misura l'ha fatto. Dietro a sé ha lasciato un'opera ben compiuta, degna di ricordo, Donnarumma all'assalto. ÌVeHa Linea gotica erano già segnate nuove inquietudini, che ritroviamo ne L'impagliatore di sedie (ed. Bompiani). Un romanzo che francamente non saprei raccontare. C'è un dirigente milanese («E' uno di quei dirigenti che sembrano aver superato da secoli e per sempre il tempo dell'improvvisazione, delle urla. Questa compostezza di Carlo è chiusa nell' involucro della stanza, di una leggera allucinazione »); una sua amica dall'amore lacerato, inquieto; una « settimana corta » del dirigente, con week-end a Roma e poi ancora lunedì, martedì, mercoledì, e potrebbe continuare. Parallela a questa, anzi intrecciata in parte con essa, c'è un'altra vicenda in progress, di persone alienate, nel gorgo della nevrosi, nel labirinto della schizofrenia Il racconto è lì, in un sofferente equilibrio tra lo spaccato della fatuità (un night, per esempio) e quello dell'angoscia. La pace assorta di un ospedale psichiatrico (scena finale) sembra trovare un accordo tra le due parti, nella smemoratezza. La novità di questo libro è detta tutta nella prefazione, che bisogna leggere: vi sono esposte le inten¬ zioni dell'autore, alla cui luce si possono valutare meglio i risultati. L'impagliatore di sedie è una sceneggiatura cinematografica, dice l'Ottieri, ma come traduzione di un soggetto « in linguaggio parlato, in movime7ito, in espressione mimica », ricorrendo ancora alla scrittura là dove essa è capace di esprimere da sé. Una tecnica composita? Un'idea confusa? E' difficile dirlo, come è difficile dire che cosa è La notte, o che cosa è L'eclisse di Antonioni, e non si accenna a caso a due film per il solo fatto che il libro di Ottieri è scritto come sceneggiatura di un racconto visivo, ma anche per l'esperienza, che è richiamata in questa prova narrativa, di un Ottieri collaboratore del regista Antonioni nel film La. notte (se non mi sbaglio). /( procedimento e l'esito deli libro e del film sono gli stessi; ma lo scritto non coagula come le visioni, mi sembra, non stabilisce rapporti interni così segretamente, suggestivamente rapidi e intensi e unitari. * * La «Califfo» è una «slandra »: questi due titoli, nel romanzo La. Califfa di Alberto Bevilacqua (ed. Rizzoli) si riecheggiano a vicenda. « " Califfa, ma che nome hai... Ma com'è?..." e lei s'era rivista con la treccia, quando appena il suo nome di Irene — strano persino per lei stessa, dopo il lungo disuso — cominciava a mutarsi, a corrompersi. Una Califfa che prometteva così bene, con quei grandi occhi e quel enrpicino impetuoso e ardito, dove già si poteva leggere che gambe avrebbe avuto, e che seno. Irene bambina, con tutti quei ragazzi che già le andavano dietro, e lei se li trascinava per i borghi con burbera tenerezza... Per questo l'avevano chiamata Califfa». Dunque, una capitana. Eccola altre volte, donna fatta, sicura di sé, del suo bel corpo, spavalda, là nel quartiere di ricchi dove penetra dal suo quartiere di poveri (un ponte da attraversare, in una Parma mai nominata): « Piantava i tacchi sul marciapiede, procedendo ad occhi fissi, senza guardare in faccia nessuno, con tanta rabbia e tanta superbia che sembrava esserci soltanto la protesta dei suoi piedi sotto i portici che immettevano nella piazza del Municipio. E quando passava lei, passasse un funerale, la strada era sua ». E «slandra»? E' quello stesso aggettivo «landra» che nella frecciata clic andava a ferire anche Gaspara Stampa, la cortigiana poetessa del Cinquecento, faceva rima col nome della compagna sua, Cassandra? Cioè donna di liberi costumi. Libera, ma franca, istintiva, ribelle, incapace di compromessi, generosa, dunque sana di fondo e, a suo modo, innocente. La necessità l'ha fatta «slandra », lei come altre povere ragazze « che la fame e la solitudine spingono a ricercare la loro morte al di là al un ponte, nelle strade pulite della città nuova, oggi come secoli fa, senza che nul la sia mutato». Il giorno che se ne vanno a cercare la loro rovinosa for tuna, un legame resta tuttavia tra (juelle e il popolo da cui son partite. « Le " slàndre sono i fiori più belli di quella gioventù sconsolata e c'è una amara fierezza nel vederle sparire nella luce di una vita sconosciuta, rinata dalla morte dei loro sentimenti veri, dal loro orgoglio, perché quel mondo di benessere proibito verso il quale esse vanno dovrà ammirarla — prima di corromperla e di distruggerla — la loro bellezza altera e selvag¬ gia, che si trascina la bellezza di tutto un popolo umiliato, ma gagliardo dl vita vera, Balia, splendida ». La Califfa dunque (ha perduto il figlio, il marito) bellissima di giovinezza passa il ponte e diventa l'amante del potente della città, il maggiore industriale, una sorta di Mastro don Gesualdo venuto su a forza di ambizione: una amante senza servilità' nella cui schiettezza, nel cui affetto il vecchio industriale ritrova una voglia nuova, diversa, di vita e la sua stessa libertà. Contro quella relazione si armano tutti i potentati cittadini, ma sarà solo la morte improvvisa a stroncarla. E la Califfa torna dov'era nata, nel suo quartiere d'Oltretorrente, sola, ma volta ad affetti materni. « Per questo, ì viaggiatori che risalgono dall'Emilia verso il nord possono scorgere, nell'aria velata dalla polvere di carbone che si alza dalla scarpata, quel balcone che, sopra la ringhiera, lascia spuntare il mazzo dei capelli della Califfa. E, più in su, dalla curva che domina la città, appare lei china, tra i figli della Viola che le siedono intorno ». Con questa immagine, si chiude il romanzo: la Califfa come una lontana bandiera, un'immagine-simbolo. La Califfa, nonostante tutto, è una vittoria, se, entrata nella cittadella della sua resa, è riuscita a inserirvi, attraverso il cuore del suo amante, un desiderio di verità, di vitalità redentrice, di comprensione umana. Una storia anticamente ingenua (raccontata a due voci, dalla stessa Califfa e dal suo romanziere, ma senza distinzione di toni, e con il solo alternarsi di tempi verbali presenti e imperfetti): Bevilacqua poeta non ha scritto un vero e proprio romanzo, ma un poema, così liricamente teso è il suo ritmo narrativo, e così fantasticata e accarezzata come in una ideale <canta», o leggenda, è la. sua eroina. Nelle vie tentate dal romanzo d'oggi quella di Bevilacqua senza dubbio ha la sua inimitabile originalità, anche se~appare che l'abbia risvegliata in lui una remota lezione verghiana. Franco Antoniceli i

Luoghi citati: Bevilacqua, Emilia, Roma